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    Laicità


    Carlo Molari

    (NPG 2009-07-69)


    Quando si parla di laicità, almeno nell’ambito ecclesiale, entrano in gioco due aspetti ben distinti.
    Il primo riguarda il laico all’interno della chiesa, il secondo riguarda la persona nell’ambito della società civile, della vita politica, dell’attività quotidiana: per cui il termine usato «laicità» è perlomeno ambiguo, essendo diversi i sensi nei due ambiti.
    Ci sono stati periodi nei quali il termine laico era prevalentemente utilizzato in senso ecclesiale; oggi nell’uso quotidiano dei mass media tale termine viene utilizzato nel senso sociopolitico, civile.

    L’ambito ecclesiale

    Nell’ambito ecclesiale dove il termine è nato, esso indica oggi – soprattutto dopo il Concilio e dopo le riflessioni a partire da Sinodo del 1985 sui laici – il battezzato che consapevolmente assume il compito della missione della chiesa nell’ambito profano.
    L’ambito profano indica, etimologicamente, l’ambito «fuori del tempio» («fano» = il tempio), cioè quello della vita quotidiana; e siccome oggi l’ambito sacro (che designava appunto lo spazio del tempio) è ridotto – anzi per i cristiani di per sé è scomparso perché per i cristiani ogni spazio è l’ambito dell’azione di Dio – il laico ha acquistato nella chiesa un’importanza primaria, anche se è un dato non ancora acquisito pienamente, sia a livello di coscienza che a livello concreto.
    Ma cosa vuol dire che il laico è il battezzato che assume consapevolmente la missione della chiesa nell’ambito profano?
    Vuol dire anzitutto che laici non si nasce ma si diventa, attraverso una decisione, una scelta: anche la laicità nella chiesa è uno stato di vita, una scelta consapevole.
    Ma decisivo è comprendere la «missione ecclesiale», che è il compito fondamentale della Chiesa: esso è l’impegno di rivelare Dio nella propria vita – quindi annunciare la verità di Dio – e di testimoniare l’efficacia salvifica del vangelo di Gesù.

    Rivelare la verità di Dio

    Verità di Dio vuol dire che «Dio è».
    E credere che «Dio è» significa ritenere che al fondo e a fondamento della nostra esistenza esiste un bene sommo, una vita piena, una verità senza tenebre, una giustizia rigorosa. Significa che noi come creature siamo alimentati, sostenuti, attraversati continuamente da una forza più grande di noi, che ci sovrasta, che ci alimenta, da un bene che ancora non si è espresso compiutamente nella specie umana, da una verità che ancora non è diventata cultura compiuta, è solo frammentaria, in processo, ma esiste già ed è ragione del cammino che la creazione sta svolgendo e che l’umanità porta avanti.
    La ragione per cui il dono di vita che è già non si è ancora espresso compiutamente è che noi siamo creature, non siamo in grado di accogliere tutto subito: emergiamo dal nulla, da una realtà minima, e possiamo accogliere la perfezione che è già e che ci alimenta solo a piccoli frammenti, passo dopo passo. Perché noi, come creature, siamo tempo: cioè ci portiamo dietro un passato, dobbiamo attendere un futuro, e tutto questo in un piccolo spazio che è l’istante della nostra esistenza.
    Questa realtà che ci sovrasta e ci alimenta, che noi chiamiamo Dio, ha espressioni molto concrete nelle diverse dimensioni della nostra persona.
    In modo molto semplice possiamo distinguere quattro livelli della persona: il livello fisico, il livello biologico, il livello psichico e il livello spirituale. In tutti questi livelli noi dipendiamo continuamente da qualcosa di cui noi non abbiamo il possesso, di cui non possiamo disporre come desideriamo.
    * A livello fisico, noi siamo un’espressione straordinariamente ricca di materia, un condensato di energia che si è accumulato in miliardi di anni: il ferro, il calcio, tutti gli elementi materiali che abbiamo nel sangue, nelle ossa, sono stati formati nelle grandi stelle 7-10 miliardi di anni fa, e adesso fanno parte del nostro corpo, provvisoriamente. Tutte le energie che ci sostengono, l’energia elettromagnetica, la forza gravitazionale, l’energia nucleare, l’energia antigravitazionale, essenziali per noi, ci attraversano continuamente, ma non possiamo disporne come vogliamo: a un certo momento vengono meno e noi scompariamo.
    * Anche a livello biologico noi continuamente dipendiamo da qualcosa che non possiamo gestire completamente, come il respiro.
    In questo senso la vita ci è continuamente donata. Noi ci illudiamo di essere vivi in modo autonomo, in realtà noi siamo vivi provvisoriamente in virtù di qualcosa che ci alimenta e ci sovrasta. È un’illusione quella di essere noi «già viventi», poi arrivano quei momenti in cui scopriamo che la vita è molto precaria in noi e una piccola condizione diversa ci può portare fuori dal cammino della vita.
    * La terza dimensione, quella psichica è egualmente continuamente alimentata dall’amore degli altri, dalla loro vicinanza, dall’apporto che continuamente ci offrono: per cui noi viviamo in virtù dei rapporti che stabiliamo e assumiamo la nostra identità proprio attraverso i rapporti che viviamo.
    * Quando giungiamo a prendere coscienza di questa nostra condizione, che cioè tutto è precario in noi, tutto è provvisorio e continuamente dipendiamo da forze che ci sovrastano, cominciamo allora ad assumere l’atteggiamento spirituale, che fiorisce in noi quando assumiamo un atteggiamento nuovo nei confronti della vita: la consapevolezza di dipendere continuamente da una realtà più grande, e l’atteggiamento di accoglienza, di ascolto per interiorizzare quella forza di vita che ci può condurre a un’identità nuova, per cui, nella tradizione cristiana (altre tradizioni spirituali utilizzano altre formule), come dice Giovanni, giungiamo ad acquisire un nome scritto nei cieli, diventiamo «figli di Dio», cioè un’identità che resta per sempre.
    Ho tracciato questo orizzonte velocemente per capire qual è la missione della chiesa per quanto riguarda testimoniare la verità di Dio. Ma la possiamo accogliere solo se viviamo un atteggiamento di accoglienza, di interiorizzazione, di riconoscimento dell’azione di Dio, che consente pian piano all’umanità di pervenire a traguardi nuovi.
    E questo è di un’importanza straordinaria, perché oggi l’umanità sta vivendo un passaggio epocale che può avere uno sbocco drammatico, la distruzione dell’umanità stessa o una nuova tappa della storia umana. Quale delle due possibilità sarà realizzata? La risposta può venire solo dalla fedeltà di chi nel mondo testimonia la verità di Dio, cioè che esiste la possibilità di forme nuove di vita, e che la possibilità non è legata semplicemente alle iniziative e alla buona volontà degli uomini, ma può dipendere solo dall’irruzione di nuove qualità umane, che possono maturare solo all’interno delle esperienze umane che si aprono così alle forze della vita da far fiorire modalità nuove di fraternità, di condivisione, di giustizia, di pace.
    Questa rivelazione-testimonianza di Dio oggi avviene nelle fabbriche, negli stadi, nella vita politica, nelle famiglie… nel mondo. L’incontro nella comunità ecclesiale invece alimenta la propria vita per essere in grado di testimoniare la verità di Dio, dove oggi si svolge l’esistenza.

    Mostrare l’efficacia salvifica del vangelo di Gesù

    È il principio fondamentale dell’agape.
    Dceva André Chouraqui che oggi l’unica speranza che rimane all’umanità è che tutti impariamo ad amare come Gesù ha vissuto e ha insegnato.
    L’efficacia del vangelo è riducibile a questo, tutto il resto è in funzione dell’imparare ad amare in un modo così radicale da rivelare la potenza dell’azione di Dio nel mondo, che in noi si traduce come amore. Ma di amare come Gesù ha amato: cioè di un amore creatore, di un amore oblativo, di un amore gratuito e di un amore universale.
    * Un amore creatore.
    Diventare testimoni dell’amore creatore significa apprendere un amore che cresce di fronte al male, al difetto.
    Nell’ambito psichico, di fronte al difetto l’amore diminuisce, e di fronte all’insufficienza delle persone noi ci allontaniamo.
    Gesù ha insegnato invece ad amare in modo creatore, come è l’amore di Dio, che si esercita nel vuoto, nell’insufficienza. È questa la verifica dell’azione di Dio in noi. Quando ad esempio una coppia riesce a crescere in questa dimensione man mano che i difetti emergono, le insufficienze si impongono, vuol dire che l’amore è diventato creatore e comincia a rivelare la potenza dell’azione di Dio.
    * Un amore oblativo.
    Certo non possiamo pretendere l’amore puro oblativo che è di Dio, ma nella creatura a un certo momento la forza della vita può diventare radicalmente oblativa. Noi tutti cominciamo la nostra esistenza con la possessività: ci aggrappiamo alla madre, al padre, ai giocattoli, alla realtà fuori di noi perché è essenziale, ma poi pian piano la vita – cioè l’azione di Dio, la forza creatrice – ci conduce ad offrire vita, non semplicemente a succhiare la vita dagli altri, finché nella morte ci chiederà proprio di consegnare tutto, senza trattenere nulla. Ora questo cammino dell’oblatività è possibile proprio perché l’amore creatore è radicalmente oblativo.
    Oggi anche le scienze umane hanno scoperto questa legge di vita, come condizione fondamentale per vivere. Per esempio la filosofia del dono: solamente chi offre diventa vivente.
    Gesù l’aveva detto in un modo molto chiaro: chi vuole conservare la vita per sé la perde, chi la offre la ritrova. Il che vuol dire che noi diventiamo figli, diventiamo viventi in modo definitivo, secondo il grado di offerta che facciamo.
    * La gratuità.
    Nel senso che se il mio dono ha dei ricatti sottintesi, delle attese di risposta, non è più dono, è un gesto inquinato dal punto di vista vitale. E qui sta anzitutto la responsabilità dei genitori, di tutti nella comunità ecclesiale: la responsabilità di diffondere dinamiche di amore oblativo e gratuito per non indurre un amore possessivo, un amore di esigenza, di richiesta, che non consente alla vita di svilupparsi, perché la soffoca, anche magari con buone intenzioni o inconsapevolmente.
    * E infine l’amore che Gesù ha insegnato e che ha indotto è un amore universale, cioè che non ha confini, al punto di giungere ad amare i nemici, ad avvolgere il male di un amore più grande.
    Essere testimoni di questa possibilità implica per la storia umana un’opportunità straordinaria. Di qui l’importanza di fare una scelta ben decisa. Il compito della chiesa è appunto questo, di mostrare che realmente si può giungere alla nonviolenza nel mondo, che realmente si può giungere ad una forma di fraternità inedita, ad una pace senza riserve. Si può giungere perché c’è già la forza che contiene queste qualità. Si tratta solo di accoglierla, frammento dopo frammento, nella pazienza del tempo diffondere questa consapevolezza e questa dinamica nel mondo.
    E qual è lo spazio di questa diffusione? È la nostra vita di ogni giorno; sono gli ambiti della vita sociale, della vita politica e lavorativa, dove la vita si svolge oggi: appunto gli ambiti profani.
    Per questo la chiesa ha oggi le sue forze fondamentali nel laicato. Inteso appunto in questo senso: quel gruppo di battezzati che consapevolmente, liberamente, assumono il compito di svolgere la missione ecclesiale nel mondo.

    L’ambito sociale

    Nell’ambito sociale il termine laico indica un’altra caratteristica, implica un aspetto complementare ma molto diverso.
    Che cosa implica dunque la laicità?
    È il vivere, anche la missione di cui abbiamo parlato, ma senza richiamarsi pubblicamente all’orizzonte di fede e pertanto senza imporlo agli altri.
    Occorre cioè rintracciare le ragioni intrinseche alla vita per diffondere le dinamiche autentiche di cui abbiamo detto, cioè la testimonianza di Dio e la testimonianza dell’efficacia del Vangelo.
    E questo non ricorrendo ai principi di fede, alla Scrittura, a ciò che ha detto Gesù come tale. Perché questi argomenti, che potevano valere in altri secoli, oggi – e già da diversi secoli – non valgono più.
    Perché questa è la convinzione di fondo del credente nei confronti della laicità: che l’azione creatrice ha espresso nelle dinamiche della storia e della creazione delle costanti di vita, delle leggi reali di vita, che possiamo individuare.
    Ma questo richiede riflessione, confronto, dialogo con coloro che hanno una prospettiva diversa, che hanno anche individuato leggi diverse di vita, perché è proprio solo quando giungiamo a questo livello nell’utilizzazione della ragione e nel confronto con tutti gli altri che siamo in grado di rendere plausibile la nostra testimonianza.
    Allora in questo senso oggi dobbiamo difendere la laicità, anche a livello teologico: cioè assumere l’impegno di trovare le ragioni interne alle dinamiche della storia e della creazione per mostrare quale è la verità della vita e quindi per rendere significativa anche la duplice testimonianza di cui abbiamo parlato.
    Ho accennato ad esempio alla filosofia del dono: essa è un’espressione di ricerca delle dinamiche della vita, della scoperta quindi razionale delle leggi di vita, che corrispondono a quello che la fede aveva scoperto, ma che non viene imposta in nome della fede.
    Questo è un compito grave oggi, che spesso noi saltiamo illudendoci di poter accontentarci della testimonianza che ci viene dalla tradizione cristiana o dalle diverse tradizioni religiose.
    Ma oggi questo non è più sufficiente.
    E il compito oggi è diventato essenziale, perché gli orizzonti della fede cristiana e anche in genere della fede in Dio sono molto più ristretti che nel passato, e molte volta la vita religiosa e l’orizzonte di fede diventano ragione di divisione e di contrasti: tante forme di violenza che anche oggi si esercitano nel mondo hanno spesso riferimenti e richiami esplicitamente religiosi, essendo la religione in questo senso è ambigua e prestandosi a strumentalizzazioni di violenza.
    La soluzione resta solo proprio questa: quella di trovare insieme le ragioni interne della nonviolenza, le ragioni interne della pace, le dinamiche interne della fraternità, della giustizia nel mondo, perché solo così renderemo possibile il cammino della storia umana e renderemo plausibile, significativa, la testimonianza che siamo chiamati a dare.
    Ecco dunque perché oggi la responsabilità, soprattutto dei laici nella chiesa, è enorme.
    È in gioco la sopravvivenza dell’umanità, e in questo senso quindi il fallimento o meno della missione ecclesiale, dell’avventura storica cominciata con Gesù.
    Per questo è importante raccogliersi a riflettere, a interrogarsi: cosa ci chiede oggi il mondo? E sappiamo che si può rispondere, anche se a volte non sappiamo come: perché Dio è, perché c’è una forza di vita più grande, che contiene già quelle ricchezze di umanità che ancora non abbiamo accolto (per il tempo insufficiente, per le molte resistenze storiche, i molti peccati, le molte incomprensioni…), ma è possibile oggi accogliere ancora questa forza creatrice, farla fiorire in noi, in forme nuove di umanità. Altrimenti la posta in gioco, come sappiamo, è la fine della storia umana.

    (Conferenza di Carlo Molari all’équipe Notre-Dame, Torino 10 novembre 2007)


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