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    Gesù e la donna

    di Samaria

    Bruno Maggioni

     

    4,5. Così (Gesù) giunse a Sicar, una città della Samaria, nelle vicinanze del podere che Giacobbe diede a suo figlio Giuseppe.
    6. Là c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù stanco del viaggio si sedette sull'orlo del pozzo. Era verso mezzogiorno.
    7. Arriva una donna samaritana ad attingere acqua. Gesù le dice: Dammi da bere.
    8. Intanto i suoi discepoli erano andati in città a comprare da mangiare.
    9. Risponde la donna samaritana: Come? Tu, un giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana? Infatti i Giudei non mantengono buoni rapporti con i Samaritani.
    10. Rispose Gesù: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: dammi da bere, tu stessa me lo avresti domandato ed egli ti avrebbe dato dell'acqua viva.
    11. Signore, gli dice la donna, tu non hai nulla con cui attingere e il pozzo è profondo: da dove hai l'acqua viva?
    12. Sei forse più grande del nostro padre Giacobbe che ci diede questo pozzo e ne bevette lui e i suoi figli e i suoi greggi?
    13. Rispose Gesù: Chi beve quest'acqua avrà sete di nuovo;
    14. chi invece berrà l'acqua che io gli darò non avrà più sete: anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una fontana di acqua generatrice di vita eterna.
    15. Soggiunge la donna: Signore, dammi di quest'acqua, così non avrò più sete e non verrò più qui ad attingere.
    16. Le disse: Va' a chiamare tuo marito e ritorna.
    17. Rispose la donna: Non ho marito. Le disse Gesù: Hai detto bene: non ho marito.
    18. Infatti ne hai avuto cinque, e quello che hai ora non è tuo marito.
    19. E la donna: Signore, vedo che sei un profeta.
    20. I nostri padri hanno adorato su questa montagna mentre voi dite che il luogo dove bisogna adorare è in Gerusalemme.
    21. Gesù le disse: Credimi, donna, viene l'ora in cui per adorare il Padre né questa montagna è necessaria né Gerusalemme.
    22. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
    23. Ma viene l'ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità: sono questi gli adoratori che il Padre cerca.
    24. Dio è spirito, e perciò chi lo adora deve adorarlo in spirito e verità.
    25. La donna rispose: So che deve venire un Messia, chiamato Cristo; quando verrà ci annuncerà ogni cosa.
    26. Gesù affermò: Sono io che ti parlo.
    27. A questo punto ritornarono i suoi discepoli e si meravigliavano che discorresse con una donna. Nessuno però gli disse: che cosa cerchi? Oppure: perché parli con lei?
    28. Intanto la donna, dimenticata la brocca, corse in città dicendo a tutta la gente:
    29. Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutte le cose che ho fatto: che sia il Messia?
    30. Così, uscirono dalla città e vennero da Lui.
    31. I discepoli frattanto gli dicevano: Maestro, mangia.
    32. Gesù rispose: Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete.
    33. Si domandavano i discepoli: Forse qualcuno gli ha portato da mangiare?
    34. E Gesù: Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a compimento la sua opera.
    35. Non dite voi: ancora quattro mesi e viene la mietitura? Ebbene, alzate gli occhi e osservate i campi che già biancheggiano per la messe.
    36. Già il mietitore riceve la ricompensa e raccoglie frutto per la vita eterna perché ne godano insieme chi semina e chi miete.
    37. In questo si avvera il proverbio: altri è chi semina, altri è chi miete.
    38. Io vi ho mandato a mietere dove non avete faticato: altri vi hanno faticato e voi raccogliete i frutti della loro fatica.
    39. Molti Samaritani di quella città credettero in Gesù a motivo della parola della donna che aveva testimoniato: mi ha detto tutte le cose che ho fatto.
    40. Quando i Samaritani giunsero da Lui, lo pregarono di rimanere con loro. Egli rimase due giorni.
    41. Molti di più credettero in Lui per la sua parola.
    42. E dicevano alla donna: Non è più per la tua parola che crediamo. Noi stessi lo abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo.

    L'episodio della Samaritana comprende essenzialmente due dialoghi, inquadrati da alcuni versetti narrativi. I due dialoghi si sviluppano secondo uno schema già noto: l'alternanza delle rivelazioni di Gesù e delle incomprensioni degli uomini. Il colloquio mette in luce l'incomprensione dell'uomo di fronte al mistero di Dio, e la pazienza di Dio che non solo soddisfa le attese dell'uomo, ma prima ancora le suscita [1].
    Giustamente è stato asserito che «la maggior parte dei personaggi del vangelo di Giovanni sono figure kerigmatiche, atte a incarnare plasticamente la proclamazione di determinate verità teologiche» [2]. Anche la Samaritana si allinea in questa serie di figure kerigmatiche. Scrive A. Jaubert: «Questa Samaritana è portatrice di un senso che va oltre lei stessa. È la figura della Samaria sincretista che si perdeva dietro gli dei stranieri. I profeti avevano applicato ad essa, come a Giuda, l'immagine della sposa infedele (Os 2,4; 3,1ss.), ma avevano pure annunciato che in avvenire la Samaria – come l'insieme di Israele – sarebbe tornata a Dio (Os 2,21; Ez 16,53-61)» [3].
    I personaggi principali sono Gesù e la donna. Si aggiungono a Gesù come personaggi di secondo piano i discepoli, e alla Samaritana i compaesani, ma il vero dialogo avviene fra loro due. Il resto fa da sfondo o da strumento interpretativo.
    Il dialogo fra Gesù e la donna (4,7-26) si svolge in modo del tutto lineare: i due interlocutori semplicemente si alternano. Dopo l'introduzione narrativa che precisa il luogo e il momento (4,4-6), scorre una prima sequenza – costituita da due brevi dialoghi di tre battute ciascuno – che ha come tema il dono dell'acqua viva (4,7-15). Segue una seconda sequenza (4,16-26) che ha come tema la vera adorazione di Dio e che – come la precedente – risulta di due dialoghi di tre battute ciascuno.
    Attraverso tappe successive, la donna viene condotta alla rivelazione della vera adorazione del Padre, che certamente costituisce il vertice della narrazione, come è sottolineato dalla doppia ricorrenza (4,21.23) del termine «ora» [4].
    Il dialogo fra Gesù e la donna termina qui, ma la narrazione continua, perché la donna ha un ulteriore passo da compiere. Tornano i discepoli (4,27) e la donna corre al villaggio per raccontare ai compaesani il suo incontro e per invitarli a «venire» e «vedere» (4,28-29). Ma la loro venuta (4,30) viene lasciata in sospeso per inserire un dialogo (4,31-38) tra Gesù e i discepoli: una semplice parentesi o qualcosa di più? Poi il filo interrotto dalla narrazione viene ripreso (4,39-42) e si conclude l'incontro dei Samaritani con Gesù.
    Giovanni utilizza in questo episodio gli strumenti espressivi che gli sono abituali: il simbolismo, le allusioni anticotestamentarie, il fraintendimento e l'incomprensione, il botta e risposta.
    I tratti narrativi non mancano. Ne mancano però alcuni che per un racconto sarebbero importanti e che il lettore si aspetterebbe. Per esempio: la donna ha dato da bere a Gesù? Gesù ha preso il cibo portato dai discepoli? Evidentemente queste assenze e altre analoghe hanno lo scopo di subordinare totalmente il racconto al dialogo. L'attenzione deve concentrarsi sul dialogo, non sull'azione. Tanto più che sia la donna sia Gesù non compiono gesti, come se tutto avvenisse a livello di parola [5].

    Là c'era il pozzo di Giacobbe

    «Stanco del viaggio, Gesù si sedette sull'orlo del pozzo. Era verso mezzogiorno» (4,6). Già questa semplice annotazione di luogo è ricca di suggestioni. Il pozzo è quello di Giacobbe [6]. Il pozzo è il dono che Dio ha fatto al suo popolo in cammino nel deserto (Nm 21,16-18). Nella più ampia tradizione giudaica il pozzo e l'acqua diventano la legge, la sapienza, la liberazione di Dio. Tutti questi significati si affacciano nel dialogo di Gesù con la donna, anche se diversamente compresi: per la donna l'acqua del pozzo è l'acqua che disseta, per Gesù è l'acqua della rivelazione di Dio, che si fa dono nello Spirito. Nel vangelo di Giovanni (7,37) l'acqua che sgorga «dal suo seno» è il dono dello Spirito «che scorre come un fiume di acqua viva». Per il lettore attento la composizione di luogo già introduce il tema del dialogo. Gesù dirà alla donna: «Se tu conoscessi il dono di Dio» (4,10) e parlerà di una «sorgente che zampilla» (4,11).
    Il momento dell'incontro è il meriggio di un giorno di viaggio di Gesù, che casualmente viene a trovarsi nelle vicinanze del pozzo di Giacobbe. Stanco e accaldato, Egli chiede dell'acqua. Apparentemente la sua richiesta è motivata da un bisogno del tutto materiale. Ma non è così: in realtà Gesù ha un'altra sete. Visto in superficie, l'incontro fra Gesù e la donna è l'incontro casuale di due bisogni elementari: la donna giunge casualmente al pozzo per attingere acqua e Gesù, stanco e accaldato, le chiede da bere. L'incontro non potrebbe essere più casuale [7], ma è una casualità secondo gli uomini, non secondo Dio, come si è già visto nella chiamata dei primi discepoli.
    «Dammi da bere» (4,7): il dialogo si apre con questa domanda di Gesù e si concluderà con una solenne affermazione dello stesso Gesù («sono io, che ti parlo»). Non c'è dubbio: come sempre, il protagonista è Lui, non la donna.
    Uno dei modi più diretti e profondi per esprimere la propria accogliente simpatia verso una persona è di chiedere un favore. Così fa Gesù. Eppure si tratta di una donna che egli avrebbe dovuto evitare per diversi motivi: perché Samaritana (i Giudei – annota l'evangelista – non mantengono buoni rapporti con i Samaritani); perché, come si vedrà, convive con un uomo che non è suo marito; e perché donna semplicemente, dato che era ritenuto sconveniente che un maestro si fermasse a parlare con una donna.
    Il comportamento di Gesù suscita una doppia meraviglia: quella della donna, del tutto sorpresa di fronte a quel «Giudeo» così diverso dagli altri (4,9), e quella successiva dei discepoli che si meravigliano che il loro maestro si sia intrattenuto con una donna (4,27). Gesù rompe gli schemi e dialoga con la donna come fosse una discepola: non importa se donna, Samaritana e convivente. Non si lascia condizionare dai giudizi degli uomini e la sua accoglienza è totale. Non accoglie la donna alla fine, quando ella ha compreso. La sua accoglienza è già totale in partenza. Non è l'ascolto da parte della donna che suscita la simpatia di Gesù verso di lei. Al contrario, è la simpatia previa di Gesù che dispone la donna all'ascolto. Ascoltata e compresa nella sua situazione (nel dialogo non c'è alcun rimprovero verso di lei), la donna, alla fine, dimenticherà ciò che prima le interessava. Venuta a prendere acqua, dimentica la brocca (4,28). Ha trovato di meglio.

    L'acqua viva

    Alla domanda della donna che desidera sapere come mai lui, un giudeo, chieda da bere a una donna di Samaria (4,9), Gesù sembra non rispondere. E tuttavia il testo dice «rispose» (4,10). Domanda e risposta sembrano andare ciascuna per conto proprio. In realtà Gesù risponde, anche se non direttamente, attirando l'attenzione della donna sul dono di Dio («se tu conoscessi il dono di Dio»), sulla sua identità («Chi è Colui che ti dice: dammi da bere») e sull'atteggiamento che la donna dovrebbe di conseguenza assumere («tu stessa me lo avresti chiesto»). È alla luce di tutto questo che la donna può comprendere la profonda ragione dell'accoglienza di Gesù nei suoi riguardi.
    Ella si incuriosisce e si meraviglia perché un Giudeo le chiede da bere. La vera meraviglia – le risponde Gesù – dovrebbe essere un'altra: nel fatto che proprio Lui le chieda dell'acqua, mentre dovrebbe essere il contrario, questa è la vera meraviglia a cui Gesù vuole condurre la donna. È il paradosso del Salvatore del mondo (è proprio questo il titolo che conclude l'intero episodio: 4,42) che si fa bisognoso come gli altri uomini per avere la possibilità di incontrarli nei loro stessi bisogni e dare loro l'acqua che disseta. È la meraviglia di un Dio che chiede per dare. L'accoglienza di una donna samaritana da parte di un Giudeo deve trasformarsi nella meraviglia dell'accoglienza dell'uomo da parte di Dio: un'accoglienza che supera le discriminazioni, gratuita al punto da precedere ogni conversione.
    La complessa risposta di Gesù induce la donna a porre due domande (4,11-12). La prima riguarda l'ultima cosa che Gesù ha detto: «Egli ti avrebbe dato dell'acqua viva». La domanda della donna, però, non si sofferma direttamente sul significato dell'acqua (di quale acqua sta parlando? Perché la chiama acqua viva?), ma più semplicemente su come Gesù possa darle da bere, dal momento che il pozzo è profondo e lui non ha nulla con cui attingere. La donna è dunque ancora ferma all'acqua del pozzo che è venuta ad attingere. Non sospetta che possano esserci un'altra acqua e un'altra sete. E tuttavia nella sua domanda si nasconde già, senza che ella lo sappia, qualcosa di più profondo: «Da dove hai l'acqua, quella vivente?». «Da dove» (pothen) dice l'origine, che nel linguaggio giovanneo significa l'essenza di una cosa, la sua verità che spesso le apparenze occultano. Purtroppo non sempre l'uomo avverte che anche nei suoi bisogni più immediati e terreni possano nascondersi bisogni più alti. È solo la parola di Gesù che riesce a rendere l'uomo avvertito, liberando la verità dal suo nascondimento. È la parola di Gesù che svela all'uomo la profondità dei suoi bisogni. Gesù è venuto per chiarire l'uomo a se stesso.
    La seconda domanda della donna riguarda più direttamente l'identità di Gesù: «Sei forse più grande del nostro padre Giacobbe?» (4,12). Rispondendo (4,13-14), Gesù lascia cadere il confronto con Giacobbe, dilungandosi invece nel confronto fra l'acqua del pozzo e quella che egli dona. L'acqua del pozzo è per una sete che non si estingue: ogni giorno lo stesso bisogno e la stessa fatica. L'acqua che Gesù dona è «una fontana zampillante generatrice di vita eterna». Certamente l'acqua di Gesù non sottrae l'uomo ai bisogni e alle fatiche di ogni giorno, però gli permette di viverli con un altro respiro e in un altro orizzonte. L'acqua di Gesù non cambia le cose, ma fa molto di più: rinnova l'uomo.
    «Signore, dammi di quest'acqua, così non avrò più sete e non verrò più qui ad attingere» (4,15): la donna non riesce a guardare oltre le sue feriali necessità. Chiede l'acqua per non venir più al pozzo, tuttavia nella sua incomprensione comincia a farsi strada il desiderio: «Dammi quest'acqua». Avviene un'inversione di ruoli: all'inizio era Gesù che chiedeva da bere, ora è la donna che lo chiede. Con questo la donna, anche se ferma nel suo fraintendimento, compie un passo importante, assumendo un atteggiamento che Gesù le aveva suggerito fin dall'inizio: «Tu stessa me lo avresti domandato» (4,10). Chiedere è il modo corretto di stare davanti al Signore. I doni di Dio sono gratuiti, ma vanno anche domandati e desiderati. Dio li distribuisce a piene mani, ma non li svende.

    Vedo che sei un profeta

    La strada intrapresa da Gesù e percorsa sin qui non riesce a condurre la donna più avanti. Resta ferma nella sua incomprensione. Si è aperta una breccia nel suo desiderio e il suo atteggiamento è passato dal dare al chiedere. Tuttavia il fraintendimento non è ancora stato scalfito.
    Gesù decide allora di tentare un percorso che più direttamente entri nella vita personale della donna (4,16-19). Il botta e risposta qui si fa più incalzante. «Va' a chiamare tuo marito», le dice improvvisamente Gesù. E la donna: «Non ho marito». E ancora Gesù: «Hai detto bene, infatti ne hai avuto cinque e quello che hai non è tuo marito».
    «Signore, vedo che sei un profeta», conclude la donna. Vedo: il verbo theorein qui adoperato non significa un qualsiasi vedere, ma un vedere che si sofferma con attenzione, sorpreso e stupito. Convinta che Gesù è un profeta, la donna subito ne approfitta per chiarirsi un problema che le interessa: il luogo della vera adorazione di Dio è il monte Garizim, come sostengono i Samaritani, o Gerusalemme come sostengono i Giudei (4,20)? Non è una banale curiosità. Il luogo dove incontrare Dio è questione essenziale per ogni uomo. Per il vangelo di Giovanni è addirittura la da manda più importante di tutte.
    Gesù non si lascia rinchiudere nel dilemma che la donna gli pone. È venuto il tempo in cui tutto è rinnovato. «Né questa montagna è necessaria né Gerusalemme» (4,21): con la sua venuta la questione del luogo è superata. Questo non significa che Gerusalemme e Garizim siano alla pari, identica la tradizione dei Samaritani e dei Giudei. La tradizione autentica passa attraverso i Giudei (4,22). Gesù, dunque, afferma una superiorità dei Giudei, che ora però non conta più: non perché quella superiorità si sia svilita o sia stata tradita, ma perché è arrivato qualcosa di nuovo che la supera. Giudei e Samaritani non sono uguali: ma ora non è più il tempo di attardarsi su questa differenza.
    La questione del luogo è, dunque, superata. Tuttavia, una volta liberata la donna dal suo modo vecchio di porre la domanda, Gesù riprende l'immagine del luogo (en): il luogo dell'adorazione è lo spazio (en) dello Spirito e della Verità.
    Il verbo «adorare» – che in questi versetti (4,20-24) ricorre ben nove volte – non significa soltanto un modo di pregare, ma più profondamente un modo di porsi davanti a Dio, nella preghiera come nella vita. L'adorazione è l'atteggiamento di chi vive riconoscendo in tutto il primato di Dio, qui significativamente indicato col nome di Padre. Di chi? Gesù non lo dice, ma proprio la sua indeterminatezza è significativa: suo e nostro. Il termine Padre – che viene ripreso tre volte – è introdotto da Gesù, non dalla donna. Il rivelatore del volto paterno di Dio è Gesù.
    «Sono questi i veri adoratori che il padre cerca» (4,23): l'aggettivo «vero» (alethinos) nel linguaggio giovanneo non significa necessariamente una cosa vera in opposizione a una cosa falsa, ma può anche significare una realtà conclusiva in opposizione a una realtà precedente già positiva, e tuttavia non conclusiva. Il plurale «adoratori» scavalca ogni distinzione, è universale, non è più solo questione di Giudei e Samaritani. Il verbo cercare (zetein) illumina l'intero episodio. Zetein va inteso, in primo luogo, come desiderare e richiedere. Ma è anche possibile un significato più forte, come sforzarsi di ottenere, lottare per ottenere. Dio è un Padre che cerca l'uomo con passione e si sforza – quasi lottando – di incontrarlo.

    In Spirito e Verità

    Come intendere «in Spirito e Verità», che è certamente una delle più alte rivelazioni del quarto vangelo? Secondo il vocabolario di Giovanni lo Spirito non è una realtà che si oppone al corpo, una realtà interiore che si oppone alla realtà esteriore. Di conseguenza il culto nello Spirito non è il culto interiore, spirituale, individuale, in contrapposizione al culto esteriore pubblico. Lo Spirito è la forza attiva (ma perché non chiamarla amore?) che solleva l'uomo dalla sua impotenza, collocandolo nell'unico luogo in cui veramente si incontra il Padre.
    E questo luogo è la Verità. La verità è per Giovanni il disegno salvifico di Dio che si è svelato (è divenuto) nella Parola fatta carne. Più precisamente la verità è il dialogo di comunione che unisce il Padre e il Figlio: comunione che in Gesù si allarga a tutti i credenti (c. 17). Di tale comunione Gesù è la trasparenza, la manifestazione piena e concreta, raggiungibile. In questo senso si può dire che Gesù è la verità (14,6). Lo spazio in cui adorare Dio è, dunque, Gesù. Lui è il tempio: non è soltanto la strada che conduce al Padre, ma più profondamente il luogo, l'unico luogo, in cui il Padre si mostra a noi: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (14,9).
    Ma quale legame fra lo Spirito e la Verità? Nel nostro passo lo Spirito e la Verità sono congiunti da un e, quasi un semplice accostamento. Ma poi, nel discorsi di addio, Gesù parla di «Spirito della Verità» (14,17), dove il genitivo dice una stretta appartenenza, non un semplice accostamento. E difatti in questi discorsi di addio si precisa che lo Spirito rende viva e ferma la memoria di Gesù, porta a pienezza la sua Parola, la testimonia e la interiorizza. Lo Spirito rende «attuale» l'evento di Gesù, lo spazio – appunto – dell'incontro col Padre.
    E nella prima lettera di Giovanni (5,6b) si dice addirittura che «Lo Spirito è la Verità»: come Gesù è la Verità (14,6), così anche lo Spirito è la Verità: Gesù perché è l'incarnazione storica del piano di salvezza e la manifestazione storica del volto del Padre; lo Spirito perché ci comunica questa stessa rivelazione, rendendola attuale per noi, trasparente e convincente. Non basta, dunque, dire che lo Spirito è veritiero, e che è il testimone della Verità. È la Verità, dunque quasi una sorta di «sovrapposizione» fra lo Spirito e Gesù, che è – appunto – lo spazio della verità di Dio. Ma invece di sovrapposizione potremmo parlare di «trasparenza»: lo Spirito è la trasparenza di Gesù, come il Figlio è la trasparenza del Padre. Lo spazio del culto è Gesù presente nel suo Spirito.

    Sono io

    Alla lunga spiegazione di Gesù – introdotta con particolare solennità («credimi, donna») – sul luogo della vera adorazione, la donna risponde manifestando la sua speranza nel Messia che deve venire (4,25). È una speranza formulata secondo l'attesa messianica dei Samaritani. Essi attendevano un Messia/profeta che avrebbe rivelato le cose ora nascoste, sarebbe stato di famiglia sacerdotale e avrebbe restaurato il culto. Lo attendevano anche come restauratore politico. Alla luce di questa attesa messianica tipica dei Samaritani si comprendono meglio alcune affermazioni disseminate nel dialogo: il riconoscimento di Gesù come profeta (4,19); la proclamazione del nuovo culto (4,23-24); le parole della donna «quando verrà ci annuncerà ogni cosa».
    Gesù risponde alla donna correggendo ancora una volta la sua attesa: l'avvento messianico non è un futuro ma un presente, e il Messia non è un personaggio sconosciuto ma lui stesso.
    «Sono io, che ti parlo» (4,26): con questa affermazione che non ammette obiezioni, Gesù conclude il suo dialogo con la donna. L'ultima battuta, quella conclusiva, resta così la sua. La rivelazione ha raggiunto il suo vertice (la donna di Samaria è la destinataria del primo «Io sono» dell'intero vangelo) e non c'è altro da aggiungere.
    La donna non manifesta a parole la sua adesione. L'ultima parola deve restare quella di Gesù. Ma la broccadimenticata e la sua fretta di correre al villaggio dicono più di molte parole (4,28).

    Dimenticò la brocca

    La brocca dimenticata (4,28) assume il significato di un gesto «di abbandono di più unilaterali preoccupazioni terrene e di funzioni femminili socialmente precostituite, in vista di nuove, più proprie della fede. A muovere la donna è ormai l'acqua viva della fede che ha dentro, e già comincia a sgorgare con il suo annuncio testimoniale» [8]. La brocca abbandonata dice che la Samaritana «ormai conta unicamente sulla promessa di Gesù» [9].
    Con l'Io sono la rivelazione di Gesù si è conclusa, ma si è aperto lo spazio per la fede della donna che si fa contagiosa e missionaria, come quella dei primi discepoli. Il discorso della donna ai compaesani è breve e sorprendentemente discreto, formulato con un interrogativo (4,29). Riprende l'invito di Gesù ai primi discepoli: venite e vedrete. Non svela subito tutta l'identità di Gesù (lo definisce semplicemente «un uomo») e pone un interrogativo che lascia lo spazio per una personale ricerca («Che sia il Messia?»).
    Fatta la sua testimonianza e posta la domanda, la donna si tira da parte, come il Battista. Così la donna di Samaria diventa la figura della comunità missionaria, chiamata a mostrarsi per lasciar trasparire Gesù e al contempo chiamata a mettersi da parte per non rubargli spazio.
    Il fatto che Gesù abbia incontrato la donna nella sua particolare condizione (donna, samaritana e convivente) è il segno che il cammino della fede non è precluso a nessuno. E la conversione dei suoi compaesani è una prefigurazione dell'universalismo evangelico: la salvezza non è solo per i Giudei.
    Come gli è abituale, Giovanni riflette sulla natura della testimonianza (4,39-42), sottolineando che essa avvia il processo della fede, ma non lo conclude. È l'incontro personale con Gesù il vero fondamento della fede: «Non è più per la tua parola che crediamo», dicono i compaesani alla donna (4,42). E aggiungono: «Noi stessi abbiamo udito e sappiamo che è il Salvatore del mondo». Il verbo udire è al tempo perfetto: si tratta di un ascolto che perdura, vivo nella loro memoria. E il verbo sapere dice che hanno capito bene quanto hanno ascoltato (così normalmente il verbo oida in Giovanni).

    Che cosa cerchi?

    Nella storia della donna che corre in città e dei suoi concittadini che vengono da Gesù, l'evangelista ha inserito, a modo di parentesi, un dialogo fra Gesù e i discepoli (4,3138). Non è una inutile digressione. Non rompe la compattezza del tema teologico che emerge dall'incontro con la Samaritana. Al contrario, lo colloca all'interno della tensione che ha diretto e unificato l'intera vita di Gesù: «Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato» (4,34). La sequenza narrativa è disposta in modo da dare l'impressione che le due vicende – quella della Samaritana e dei suoi compaesani e quella di Gesù con i discepoli – avvengono in contemporanea.
    La prima annotazione importante è che anche i discepoli, come la Samaritana, fraintendono le parole di Gesù: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete» (4,32). Essi pensano al cibo terreno («forse qualcuno gli ha portato da mangiare?»), non sospettando che Gesù possa avere un'altra fame. Approfittando della loro incomprensione, Gesù pronuncia un'affermazione che può considerarsi una delle più importanti per comprendere la sua coscienza, il suo rapporto con Dio e con gli uomini: «Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a compimento la sua opera» (4,34). La metafora del cibo esprime bene la forza ela totalità di un desiderio che non lascia spazio ad altri desideri. Il cibo è un bisogno primario. Così è stato il desiderio di Gesù di obbedire al Padre e di rivelarlo agli uomini. L'episodio della Samaritana ne è un chiaro esempio.
    Nel vangelo di Giovanni ci sono episodi che sono anticipazioni di quanto sarebbe avvenuto successivamente nella missione della Chiesa. Uno di questi – come si è già detto –è la conversione dei Samaritani. Gesù invita i discepoli ad alzare gli occhi e a osservare i campi che già biondeggiano per la messe (4,35). La messe è pronta, e di questo la conversione dei Samaritani è la prova. L'attesa è compiuta e la missione è urgente perché il grano è già maturo. Con questo Gesù ricorda ai discepoli e alla sua Chiesa che la missione deve avvenire in un clima di umiltà. È Lui che ha seminato e fatto crescere, non loro: una situazione di grazia che continuerà anche nella Chiesa («Altri chi semina, altri chi miete»).
    La domanda che i discepoli non hanno avuto il coraggio di porre a Gesù («Che cosa cerchi?») ci suggerisce un'ultima annotazione. Penso che il verbo «cercare» (zetein) debba anche qui – come già a proposito della ricerca del Padre (4,23) – essere inteso nel suo senso forte. Non semplicemente: che cosa chiedi alla donna? Bensì: che cosa ti sforzi di ottenere da lei? In ogni caso, è interessante che si ricorra allo stesso verbo sia per parlare del Padre che cerca i veri adoratori, sia per parlare di Gesù che cerca di portare la donna alla vera adorazione del Padre. Le due ricerche si sovrappongono. La ricerca del Padre si fa storica e visibile nell'invio del Figlio e nella ricerca che questi compie. All'origine c'è sempre la ricerca del Padre, di cui quella di Gesù è la trasparenza. Il cammino dell'uomo verso il Padre è sempre un lasciarsi cercare.

    Uno sguardo all'indietro

    La lettura analitica dell'episodio che abbiamo fatto può forse – come spesso in casi analoghi – avere indotto il lettore a disperdere la sua attenzione in troppe direzioni. I molti particolari possono scolorire la forza della visione d'insieme. Ritengo perciò non inutile un ultimo sguardo retrospettivo. È come quando si visita una cattedrale: dapprima, sull'entrata, il visitatore intelligente indugia per una prima e ancora sommaria contemplazione della vastità degli spazi, del gioco degli archi e delle colonne, della luce e delle ombre; poi, con più calma, inizia il viaggio lungo le navate, soffermandosi su tutti i particolari; infine, prima di uscire, si concede un altro sguardo complessivo, non più sommario, come all'inizio, bensì arricchito dai tanti particolari che ha avuto l'opportunità di osservare.
    Ciò che maggiormente colpisce nel dialogo che abbiamo preso in esame è che Gesù stesso suscita e guida il cammino della donna, dall'inizio alla fine. Egli è l'oggetto della ricerca e nel contempo colui che la suscita e la guida.
    Gesù prende la donna là dove essa si trova, prigioniera delle proprie attese, ma per condurla altrove. Col suo gesto di strano giudeo che chiede da bere a una donna di Samaria, suscita una prima meraviglia nella donna, ma è una meraviglia che deve aprirsi a un'altra: la meraviglia che Gesù dà da bere a lei mentre dovrebbe essere il contrario. Le parole di Gesù sull'acqua viva suscitano nella donna il desiderio dell'acqua, ma Gesù si sforza di condurre quel desiderio su un altro piano. Le parole di Gesù, che leggono nella vita della donna e lo rivelano come profeta, inducono la donna a porre la domanda sul luogo del culto, una domanda che costituisce per Gesù il punto di partenza della grande rivelazione sul vero luogo dell'incontro col Padre. E la dichiarazione sul Messia atteso dai Samaritani offre a Gesù l'occasione per affermare chiaramente la sua identità (4,26). Gesù suscita le attese della donna, quasi la costringe ad esprimersi, e da quelle parte, ma per poi via via lasciarle cadere o dilatarle.
    Il cammino della donna è un itinerario che gradualmente, scopre chi è Gesù: un Giudeo diverso, forse più grande del patriarca Giacobbe, un profeta, il Messia, il Salvatore del mondo. «Le idee ed i concetti, con i quali gli uomini gli si fanno incontro, vengono lasciati cadere uno dopo l'altro come insufficienti, finché si arriva a quello decisivo: egli è il Messia, atteso da Giudei e Samaritani, che li porterà al di fuori dei loro contrasti fin là dove la comunità adorerà Dio nel modo che è conforme al suo essere [10].
    A questo punto è importante osservare che oggetto della ricerca è Gesù, ma Gesù è uno spazio che si apre sul Padre. Gesù è la via che conduce oltre se stesso. Anche Gesù – se così si può dire – si tira da parte perché in lui si veda il Padre.
    Il cammino che la donna percorre non è senza resistenze. Giovanni sa molto bene che la ricerca di Dio da parte dell'uomo corre di continuo il pericolo di rinchiudersi in se stessa, sempre minacciata, e di queste resistenze l'evangelista mette lucidamente a nudo le radici.
    Giovanni sfrutta molto – qui e altrove, e non solo per quanto riguarda la donna, ma anche i discepoli – il motivo dell'incomprensione. Vuole evidenziare che l'uomo, abbandonato a se stesso, non è capace di capire la parola di Dio, né di raggiungerla, né di interpretare correttamente le proprie attese.
    La donna intuisce qualcosa del dono di cui Cristo parla, ma lo interpreta a partire dalle proprie preoccupazioni. Non diversamente faranno i Galilei (cap. 6). La tentazione di chi cerca Dio è sempre di rinchiudere il dono di Dio dentro la propria attesa. Ma Dio non si lascia rinchiudere nelle attese dell'uomo: le dilata. Di qui la crisi.
    La donna cerca di situare Gesù nelle categorie religiose tradizionali, ma Egli non esista a mostrarne la inadeguatezza. Per due volte – a proposito del dono dell'acqua e a proposito del luogo del culto – la donna evoca la grandezza dei patriarchi (4,12.20), evoca il passato: la sua ricerca è chiusa nel passato. Gesù la costringe a guardare al futuro e a prendere coscienza che nel mondo è arrivata una novità che rinnova il problema dalle fondamenta.
    Con la sua ultima affermazione (4,25) la donna mostra di restare ancora in attesa di un futuro, chiusa dentro l'attesa messianica tradizionale: Gesù attira l'attenzione su di sé, sul presente. La donna deve accorgersi – e solo così il suo cammino giunge al termine – che il futuro che spera è già iniziato.
    A questo punto la donna ha capito quello che doveva capire. Ma resta un ultimo passo da compiere: lascia le sue precedenti preoccupazioni e corre in città. Il suo incontro con Gesù si fa corale e missionario. A loro volta i Samaritani giungono alla fede stimolati dalla testimonianza della donna, ma poi abbandonano questa testimonianza per far posto a una loro personale esperienza.
    Il cammino della donna può certaménte essere visto come un'immagine del cammino dell'uomo verso Dio. Gesù guida la ricerca, la disincaglia dalle chiusure che via via incontra e la libera dalle alternative che l'uomo riterrebbe inevitabili (la donna non deve farsi giudea, ma restare samaritana). La ricerca termina in Cristo, rivelatore e salvatore, ma l'accoglienza del dono di Cristo è uno spazio aperto sulla vera adorazione del Padre. Importante, e sottolineato, è l'invito al superamento di ogni altra attesa religiosa: le attese religiose – evocate dalle espressioni e dai simboli attorno a cui si svolge il dialogo – sono tutte superate e concentrate in Cristo. In Lui acquistano un senso di presenzialità e di pienezza.

     

    NOTE

    1 Oltre ai commentari già citati, vedi soprattutto R. Vignolo, Personaggi del quarto vangelo, cit., pp. 129 ss.
    2 G. Friedrich, Chi è Gesù?, Brescia 1975, pp.12-13.
    3 Come leggere il Vangelo di Giovanni, Torino 1978, 63.
    4 Cfr. G. Ferraro, L'«ora» di Cristo nel quarto vangelo, Roma 1974, p.136.
    5 Vedi le annotazioni di R. Vignolo, Personaggi del quarto vangelo, cit., pp.135-136.
    6 Per il molteplice simbolismo del pozzo, vedi ibid., pp. 138-143.
    7 «In questo assolato contesto di fatica feriale, entra in scena una anonima donna di Samaria, che giunge al pozzo spinta da un'ancora più feriale necessità» (R. Vignolo, Personaggi del quarto vangelo, cit., p.132).
    8 R. Vignolo, Personaggi del quarto vangelo, cit., pp. 170.
    9 X.-L. Dufour, Lettura dell'evangelo secondo Giovanni, cit., p 501.
    10 H. Strathmann, Il vangelo secondo Giovanni, Brescia 1973, p.152.

    (da: La brocca dimenticata. I dialoghi di Gesù nel vangelo di Giovanni, Vita e Pensiero 1999, pp. 47-64)


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