(NPG 1980-09-21)
Questo dossier ha una piccola storia da raccontare. Significativa, a sei anni ormai dalla pubblicazione del nuovo rito della penitenza.
Eravamo partiti dicendo: «basta con il parlare della crisi della penitenza...; perché non dare spazio ad esperienze che lascino intuire l'uscita dal tunnel?» ed avevamo sollecitato in questo senso diversi operatori. Molti hanno risposto dicendo che il tema era di attualità, ma che non avevano alcun contributo da offrire nella linea della soluzione della crisi.
A questo punto abbiamo rinunciato al primo progetto sul «nuovo» elaborato dai gruppi giovanili per riparlare da capo della crisi nella sua complessità.
Occorre riconoscere che siamo in una fase in cui il vecchio modello di sacramento è ormai scomparso, soprattutto a livello giovanile, mentre il nuovo fatica a crescere. E non esistono bacchette magiche... Tuttavia all'idea del nuovo non abbiamo rinunciato. L'attuale sensibilità pastorale ha ormai maturato un metodo soddisfacente con cui affrontare la crisi.
Essa di fatto non viene più affrontata in termini puramente rituali o moraleggianti, ma in termini di crisi culturale e di dialogo rinnovato tra esperienza cristiana e cultura moderna.
I «materiali» per una nuova costruzione in effetti non mancano. Occorre metterli insieme.
Una prima serie di materiali è offerta con abbondanza dal nuovo rituale sulla penitenza che in effetti è quasi sconosciuto. La grande rivoluzione a cosa si è ridotta in molti casi se non al cambio della sola formula di assoluzione?
Una seconda serie di materiali è costituita dal confronto tra la cultura moderna e la riflessione cristiana, da cui è maturato un modo nuovo di parlare di grazia e di
peccato, di atteggiamento di conversione e di sacramento, di responsabilità personale e collettiva.
Una terza serie di materiali è quella che offre l'attuale condizione giovanile proprio in un tempo di abbandono della pratica penitenziale. Hanno qualcosa da dire i giovani su peccato, conversione, riconciliazione?
La risposta va data in una «lettura di fede» della condizione giovanile, assumendo il principio che una risposta alla crisi della penitenza può nascere solo da un corretto processo di «dare» e «ricevere» tra condizione giovanile ed esperienza cristiana. Crediamo che, in questa direzione, i giovani abbiano molto da dare.
FATTI
Il fatto più evidente su cui di solito si volge l'attenzione è l'abbandono della confessione personale. Ma di che cosa è sintomo questo abbandono? Per capire la crisi occorre in effetti rendersi conto dei legami che stringono insieme la confessione, intesa come pratica rituale penitenziale, con gli altri aspetti della cultura e della religione. Ciò che è in crisi, in effetti, è l'intero sistema penitenziale ecclesiale, che per secoli aveva regolato la vita religiosa e culturale nella «società cristiana».
Ogni cultura ha un suo sistema penitenziale di cui fanno parte tre elementi tra loro interdipendenti:
- un insieme di informazioni condivise da tutti su cosa sia peccato, responsabilità, gesto di conversione e penitenza, perdono;
- un codice etico di riferimento che aiuta i singoli a valutare, in modo sufficientemente chiaro ed omogeneo rispetto agli altri, il proprio agire alla ricerca di responsabilità, colpe, peccati;
- un insieme rituale che riprende in modo simbolico i vari momenti del processo penitenziale e permette di uscire dalla situazione di colpa o scaricando su dei soggetti espiatori la propria colpa o sottomettendo il peccatore ad alcune pratiche di liberazione.
Che dire del sistema penitenziale oggi? La crisi coinvolge tutti e tre gli elementi. Il sistema penitenziale cristiano non è riuscito a fare i conti con l'evoluzione culturale, si è progressivamente irrigidito fino a diventare quasi senza senso, soprattutto per le nuove generazioni.
Una riflessione a livello di «fatti» sulla crisi della confessione tra i giovani non può dunque svolgersi che tenendo ben presenti i tre elementi. L'analisi diventa così abbastanza complessa, come complessa diventa la proposta di rinnovamento. È facile rendersi conto che una azione pastorale non può che svolgersi sui tre fronti della acculturazione dei concetti penitenziali di base, della educazione ad una corretta valutazione morale del proprio agire, della proposta di un rito che accolga le istanze culturali dell'uomo e del giovane d'oggi.
Per ora, all'interno della rubrica «fatti», ci interessa cogliere la crisi del sistema penitenziale nei suoi vari elementi. Per aiutare gli operatori in questa direzione riportiamo due «tavole rotonde», la prima tra adolescenti e la seconda tra alcuni responsabili di pastorale giovanile. Le due conversazioni, nelle quali si è preferito lasciar parlare a ruota libera i partecipanti, offrono una prima percezione «dal basso» della crisi, stimolante anche per iniziare un dialogo tra i giovani e gli animatori nei gruppi e nelle associazioni.
PROSPETTIVE
Per una riflessione articolata in termini di «prospettive» riprendiamo i tre elementi del sistema penitenziale: concetti-base, codice etico di riferimento, insieme rituale.
Premettiamo tre considerazioni.
- È bene ricordare anzitutto che la crisi prima che personale o di gruppo, è culturale e come tale va affrontata, senza sottovalutarla perché rimette in discussione l'identità cristiana e anche umana delle nuove generazioni, ma anche senza rifugiarsi in semplificazioni come l'accusa ai giovani di perdita del senso di peccato. Solo da una impostazione complessiva del problema può venire una soluzione adeguata, che per forze di cose sarà a lungo termine.
- La crisi va affrontata con un metodo che permetta un processo di «dare» e «ricevere» tra la memoria culturale e religiosa sedimentata nell'attuale sistema penitenziale e l'esperienza umana e cristiana dell'uomo d'oggi. E permetta un rapporto di «dare» e «ricevere» tra esperienza ecclesiale e cultura giovanile attuale. Cosa hanno da dare i giovani alla penitenza? Qualche indicazione è possibile, altre sono da ricercare. Ci sono nella condizione giovanile alcuni spazi dentro i quali è possibile riformulare il sistema penitenziale come, per fare alcuni esempi, la elaborazione di nuovi valori (cf NPG 1980/7), la ricerca anche se caotica di una identità, il bisogno di affrontare l'attuale crisi sociale attraverso una «rigenerazione globale», la rinnovata attenzione alla dimensione «personale» della vita, il bisogno di festa e di altri momenti simbolici che diano consistenza alla attesa di speranza, la sensibilità per l'esperienza comunitaria... Non mancano le controindicazioni, nella direzione soprattutto della fuga dalla responsabilità e della esaltazione gelosa della propria autonomia fuori da ogni confronto sociale e religioso.
- Non bisogna sottovalutare la crisi, anche se la preoccupazione maggiore non deve forse essere per la gestione del sacramento, quanto per la crisi più generale di cui è sintomo. È in gioco non solo la fede delle nuove generazioni ma prima ancora la loro identità culturale. Ogni gruppo umano per essere responsabile e creativo elabora un minimo di sistema penitenziale, anche se non di tipo religioso. Poiché nella cultura occidentale il sistema riconosciuto era quello ecclesiale, l'abbandono della religione è diventato per molti l'abbandono di ogni sistema penitenziale, contribuendo alla attuale disgregazione. L'esperienza ecclesiale può e deve dare, senza cadere in forme integriste, un contributo alla elaborazione di un sistema penitenziale che rispetti l'autonomia del profano e aiuti i giovani a entrare in quell'area di elaborazione collettiva delle norme morali entro cui può crescere la loro identità.
1. Riformulare i concetti-base
1.1. Il primo spazio in cui va attivato il processo di dare e ricevere tra memoria ecclesiale e nuova visione antropologica, è quello dei «concetti-base» come legge, debito, responsabilità, colpa, peccato, pentimento, perdono, dove c'è da riconoscere un forte scollamento di linguaggio. L'uomo moderno ha elaborato una sua ideologia penitenziale ed ha parlato di volta in volta di Ingiustizia, Alienazione, Sistema, Sfruttamento, Assurdo, Volontà di potere, Libertà... Questi elaborati, ormai di uso comune, sono distanti dal linguaggio biblico e tradizionale cristiano.
I due linguaggi non si incontrano che raramente. A volte ci si chiude nel linguaggio tradizionale e i giovani non capiscono. Altre volte ci si rifugia nella ideologia penitenziale, ma si finisce per tradire lo spirito penitenziale lasciando pochi spazi alla responsabilità personale o esaltando unicamente la libertà del soggetto.
Un secondo scollamento riguarda le aree di responsabilità. Il linguaggio ecclesiale tradizionale offre una ricca serie di analisi nell'area sessuale (un'area in cui oggi è in atto una grossa trasformazione dei modelli di comportamento) e nell'area sacrale (la cui importanza religiosa oggi viene ridefinita - in termini culturali - per fare spazio ad un «rapporto druso» con Dio nel quotidiano).
Al contrario sono relativamente assenti, nel linguaggio ecclesiale, aree di esperienza a cui l'uomo d'oggi è più attento, in particolare quelle della vita sociale, politica ed anche quella della sfera dei rapporti interpersonali.
Dallo scollamento del linguaggio deriva ai giovani una forte incertezza religiosa. I «vecchi concetti» e le vecchie pratiche non sono facilmente utilizzabili perché non esprimono la nuova realtà. I «nuovi fatti», a loro volta, non trovano parole sufficienti per esprimere il loro contenuto e riportarlo ad un adeguato itinerario penitenziale. problema diventa a questo punto quello di dare un contenuto esistenziale ai vari concetti-base. In questa direzione presentiamo due contributi. Il primo, di Carmine Di Sante, riformula il concetto di peccato e di perdono dentro la «nuova» cultura. Il secondo, di Giannino Piana, seguendo lo stesso procedimento, cerca di avvicinare maggiormente vissuto dei giovani e tradizione cristiana.
1.2. Il ripensamento dei concetti di base va fatto attivando anche un confronto tra l'attuale linguaggio della chiesa e la «memoria messianica», l'evento Gesù Cristo.
La memoria messianica deve anzitutto aiutare a riscoprire il contesto in cui parlare di peccato, conversione, perdono..., cioè il contesto della salvezza. Solo in uno sguardo di fede ha senso parlare di peccato, perché solo la fede svela il senso profondo delle «cose che non vanno», degli «sbagli delle «incoerenze». Ciò che è in crisi però, prima che il concetto di peccato, è la consapevolezza che ci muoviamo in uno spazio di salvezza e che al centro della storia non sta il peccato, ma il Cristo vincitore del peccato. Ciò che è in crisi, prima della consapevolezza che uno «sbaglio» è peccato, è la consapevolezza che ogni azione umana pone immediatamente in rapporto con Dio. È in crisi la consapevolezza teologale, nel bene prima che nel male, delle nostre azioni. Il sistema penitenziale va dunque riformulato dentro la «confessio fidei et laudis», dentro il riconoscimento gioioso della presenza del Regno di Dio in mezzo a noi. In questo spazio va successivamente riformulata la responsabilità, che nasce dall'esperienza della assoluta e gratuita accoglienza che Dio fa all'uomo. Una riformulazione del sistema penitenziale è dunque possibile solo nel nome della speranza evangelica. Solo entro una ripresa di speranza, la chiesa avrà la capacità di «convincere di peccato» i giovani d'oggi, sarà in grado di dire loro in termini comprensibili cosa sia peccato e quale peccato reprima la loro sete di autenticità. E solo una celebrazione del sacramento impregnato di speranza sarà convincente per loro.
2. Ridefinire un codice etico
2.2. Il secondo elemento che caratterizza un sistema penitenziale è la condivisione di un «codice etico».
Rileggendo da questo punto di vista l'abbandono della penitenza va ricordato da una parte che esso nasce dalla crisi di responsabilità personale nel nostro tempo, e dall'altra che la confessione (dove si permetteva di rifugiarsi negli «elenchi» di peccati) e la celebrazione comunitaria (in cui spesso non si pone in gioco, se non in maniera formale, la responsabilità personale) hanno favorito un rapporto con Dio che ha svilito la dignità dei singoli. Per rinnovare la pratica penitenziale occorre rivalutare la responsabilità personale, e non tanto per un falso controllo sociale sui singoli, quanto per consolidare uno spazio in cui ognuno può costruire se stesso in modo sempre più cosciente e responsabile.
Se è da vedere positivamente il superamento di un sacramento centrato sull'accusa meticolosa delle colpe, non altrettanto si deve dire di un sistema penitenziale che non preveda una seria analisi delle responsabilità personali e collettive. Non stanno forse moltiplicandosi le celebrazioni in cui si esalta la «confessio fidei», ma non si fa attenzione a mettere in luce i peccati dei singoli, dei gruppi, delle nazioni?
2.2. La giusta importanza alla responsabilità personale non può essere naturalmente esaurita dentro la celebrazione, ma deve riguardare tutta la vita del giovane. I problemi in questo senso sono molti e non è possibile affrontarli qui. Ci limitiamo ad alcuni accenni.
La difficoltà maggiore è la mancanza di un codice morale sufficientemente condiviso da tutti, in grado di aiutare i singoli a valutare i comportamenti concreti. Al soggettivismo giovanile si oppone una morale che
nell'ambito del sacramento (ma non solo in questo ambito) finisce per essere oggettivista. Non è di un ritorno ad una morale oggettivista, magari nel nome della radicalità della fede, che c'è bisogno, quanto di un'educazione dei giovani a formulare valutazioni morali assumendo la dialettica tra natura e cultura, personale e politico, intenzione e azione.
Va sottolineato un certo risveglio della «domanda etica», a cui è tuttavia possibile rispondere solo se si riattivano i canali di accesso dei giovani alla memoria sociale ed ecclesiale, e solo se in concreto si individuano all'interno della chiesa, spazi in cui giovani e adulti possono incontrarsi, accogliersi reciprocamente, entrare in
ascolto delle reciproche prese di posizione davanti i fatti della vita.
Va quindi riscoperto il ruolo della comunità cristiana non come luogo in cui si recepiscono criteri morali elaborati altrove, ma come luogo in cui direttamente si elaborano nuovi valori e nuovi stili di vita. Ciò suppone una comunità che ascolta la Parola ed insieme si fa interprete della nuova domanda etica, soprattutto giovanile, sapendo che il confronto con il nuovo è la condizione della sua stessa crescita nella fede. Se a volte si è di fronte ad una morale giovanile «selvaggia», non è forse anche perché la morale delle comunità ecclesiali è molto formale, senza incidenza non solo nella vita dei giovani ma anche in quella degli adulti?
3. Quali riti?
Il terzo elemento del sistema penitenziale è l'insieme dei riti che rendono sperimentabile in concreto il cammino di conversione e di perdono. Anche qui non ci si può che limitare ad accenni veloci.
3.1. La crisi dei riti non è in primo luogo crisi di forme liturgiche: il vero nodo è la funzione del rito nel sistema penitenziale.
Il problema nasce come risvolto della accentuazione dell'incontro con Dio nel fratello, nel povero, nelle situazioni esistenziali, nel quotidiano. Proprio perché si afferma che l'incontro con Dio (e perciò anche la riconciliazione con Lui) avviene nel quotidiano si pone la domanda: ma allora perché confessarsi?
Con quali categorie presentare oggi il momento rituale della penitenza?
Due categorie di linguaggio si stanno imponendo come risposta a queste domande: il rito è un momento di «espressione» e di «celebrazione». Il rito è un momento espressivo-celebrativo dell'azione di Dio nel cuore della storia. Ed è insieme un momento espressivo-celebrativo degli atteggiamenti vissuti nel quotidiano da chi ora confessa Dio come colui che lo «libera» e lo «giudica» accogliendolo e perdonandolo.
L'esperienza di liberazione e di giudizio, che il cristiano vive giorno per giorno, non può andare persa. Per riconoscerla il cristiano «celebra» il sacramento: un gesto simbolico in cui, scendendo in profondità dentro la propria storia, si «fa memoria» in un clima pasquale e quindi di speranza e di festa, dell'azione liberatrice di Dio e del suo perdono gratuito.
Così visto il sacramento acquista un senso più immediato, più vicino alla vita di ogni giorno nella sua dimensione di crescita e di progetto ed insieme di rifiuto di crescita e di progetto. Non è anzitutto un confessare i peccati, ma un confessare che giorno per giorno si sperimenta Dio che «converte il cuore dell'uomo». Per una ulteriore
riflessione si può vedere l'articolo di Franco Floris, nel quale si cerca appunto di ridefinire il ruolo del rito nel cammino penitenziale.
3.2. Molti problemi nascono tuttavia dal modo concreto con cui si celebra il sacramento. Raramente purtroppo si riesce ad uscire dai vecchi schemi. Dove ancora non ci si limita alla confessione, la celebrazione comunitaria stenta ad essere un gesto comprensibile e coinvolgente. Il rito è ancora di tipo giuridico amministrativo più che teologico-
celebrativo, più una somma di confessioni individuali (fra l'altro affrettate) che un momento di riconciliazione fra fratelli, più incentrato sui peccati dell'uomo che sulla esaltazione della misericordia di Dio. Queste difficoltà hanno spinto in questi anni a ripensare la celebrazione del sacramento in tre direzioni: il recupero della dimensione «tempo», l'equilibrio fra esperienza personale ed esperienza comunitaria, il clima di preghiera e di confessione di fede. Per vivere concretamente queste tre attenzioni si sta diffondendo una celebrazione in forma di «itinerario penitenziale», cioè di una celebrazione distribuita nel tempo (una giornata, una settimana, la durata dell'Avvento o della Quaresima) per permettere di compiere in modo autentico i vari gesti del sacramento e per invitare ad una conversione autentica. Esso si articola in momenti comunitari (l'ascolto della Parola, la revisione di vita, la
«riconciliazione», la confessione di fede, il ringraziamento per il perdono) e personali (la conversione, la riformulazione del proprio progetto di vita, il dialogo con un adulto nella fede, l'incontro con il sacerdote in modo non formale o burocratico), in un clima di ascolto della Parola di Dio, di preghiera, di intensa esperienza di Dio, di festa e insieme di silenzio.
Per una proposta concreta si veda nelle pagine seguenti l'itinerario proposto da Andrea Fontana.
3.3. Confessione individuale o celebrazione comunitaria? In questi anni spesso le due forme di celebrazione sono state considerate come alternative, e si è perso di vista il problema di fondo di un'esperienza che garantisca un equilibrio tra momento personale e momento comunitario, tra riconoscimento del peccato personale e quello della comunità, tra ruolo del sacerdote e ruolo della comunità. Questo equilibrio non può essere facilmente garantito, soprattutto per i giovani, se non è possibile sperimentare delle celebrazioni che di volta in volta esaltano qualcuno dei momenti e gesti caratteristici del sacramento. Non si può negare, ad esempio, che partecipare unicamente a celebrazioni comunitarie in cui l'incontro col sacerdote è ridotto ad una formalità, finisca con deresponsabilizzare i giovani che non si sentono chiamati in modo significativo ad uscire dall'anonimato ed assumersi le proprie responsabilità.
Più che ad opporre le varie forme di celebrazione si deve quindi pensare a come utilizzarle all'interno di un progetto organico che permetta ai giovani, come singoli e come gruppo, di toccare con mano la ricchezza dell'esperienza di Dio in questo sacramento. Ai giovani deve essere garantita l'esperienza non solo della riconciliazione personale (accompagnata da momenti di verifica del progetto di vita) e della riconciliazione comunitaria, ma anche di qualche itinerario penitenziale e di tutti gli altri momenti simbolici penitenziali che costituiscono il tessuto del sacramento (come l'eucaristia, i vari incontri di preghiera, i recitals, le veglie attorno al fuoco, le marce di pace o di non-violenza..).