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    I giovani della vita quotidiana


     

    a cura di Giancarlo De Nicolò

    (NPG 1981-06-37)


    Ci sono almeno un centinaio di ricerche in atto in Italia sulla condizione giovanile, alcune a livello locale o regionale, altre a livello nazionale; alcune su tematiche specifiche (come per esempio: religiosità, droga e devianza, comportamento sessuale, atteggiamento soggettivo verso il lavoro, ecc...), altre di carattere più generale, di visione complessiva sulla problematica giovanile, sulla presunta peculiarità dei giovani degli anni '80.
    E segno di un desiderio di conoscere di più il pianeta giovani, ma è anche segno di un certo disagio davanti a un mondo che sembra sempre sfuggire a una duratura interpretazione e comprensione. C'è almeno la certezza che le categorie di interpretazione del passato non servono più, o sono molto limitate; non solo quelle di un lontano passato (tipo anni '50 o anche solo fine '60-inizi '70), ma anche quelle del passato più recente, di cui tuttora abbonda la letteratura (cfr. ad esempio Il trionfo del privato, Laterza 1980).
    Tutte queste categorie, tentativi di interpretazione globale del fenomeno giovani (siano l'individualismo integrista e consumista, o l'impegno di rinnovamento totale, come pure il riflusso), sembrano non comprensivi di una realtà che si presenta troppo sfaccettata e varia, con troppe differenziazioni al suo interno, e abbastanza mutata anche da solo pochi anni fa.
    Tra tutte le ricerche ne citiamo due, tra le più interessanti sull'argomento. La prima è: Ricolfi Luca - Sciolta Loredana, Senza padri né maestri, De Donato 1980.
    Anche se il suo campo è limitato (è una ricerca sull'immagine della politica, condotta nel maggio 1978 su un campione di oltre 1000 studenti delle scuole medie superiori pubbliche di Torino), tuttavia rileva chiaramente come la figura di studente che emerge non si lascia restringere a schemi precostituiti, ma si colloca nel segno di una radicale diversità, tant'è vero che - si dice - occorrerebbe inventare nuove categorie. Rispetto al modello culturale degli anni '50 infatti si nota un nuovo tipo di individualismo, meno coniugato con valori acquisitivi e più attento ai rapporti microsociali, e anche più aperto (per lo meno a nuove forme di rapporti associativi). Rispetto poi al modello del '68, si nota oggi certo una caduta di tensione, ma una più intensa generalizzazione del desiderio di mutamento, prima limitato a fasce di giovani culturalmente preparati e di estrazione medio-borghese, e ora diffusa invece all'intera fascia giovanile, desiderio di mutamento diluito e stemperato rispetto ai toni accesi di dieci anni fa, ma più sedimentato nella mentalità e nel costume collettivo.
    Ne emerge, per Ricolfi-Sciolla, l'immagine di un giovane che afferma la propria autonomia, la diversità radicale e l'irriducibilità dei propri bisogni e interessi rispetto al mondo degli adulti, che si costruisce l'identità attraverso meccanismi non più verticali (senza padri né maestri») ma orizzontali (gruppi dei pari, amicali); e in tal modo la sua identità tende a diventare aperta, differenziata, riflessiva, individuata, e quindi multidimensionale, sottoposta a una complessità di livelli. L'orizzontalità dei meccanismi attraverso cui avviene il processo di formazione dell'identità permette anche l'emergere di contenuti nuovi rispetto ai modelli passati, di valori» tipicamente giovanili di oggi, come per es. un nuovo modo di vedere la politica, più allargata rispetto al passato, una più profonda attenzione ai rapporti interpersonali e ai fenomeni microsociali, un nuovo modo di considerare il lavoro.
    Anche l'altra ricerca (I giovani degli anni '80, Atti del Convegno Nazionale della Gi.O.C., Cooperativa Lorenzo Milani, Torino 1981) atttraverso più di 6000 interviste soprattutto in Piemonte ma anche in altre aree italiane, scorge nella gioventù d'oggi non un semplice ritorno a valori tradizionali, né una perdita generalizzata di valori, ma l'emergere dalla frammentarietà del quotidiano, dalla centralità accordata all'esperienza, dall'esigenza di relazioni umanamente soddisfacenti, dalla contradditorietà di atteggiamenti e dalle ambivalenze delle istanze, (di) un tipo di giovane alla ricerca dell'identità» secondo canoni che non si rifanno al passato, ma si presentano con caratteri del tutto originali.
    Sono i giovani della vita quotidiana, che tendono a vivificare in modo costante la vita quotidiana, a privilegiare una continuità di esperienze e di significato da realizzare a scapito di momenti e di mete privilegiate ritenute velleitarie e irrealizzabili».
    Ci pare questo un interessante campo di indagine e una chiave interpretativa promettente.
    Ne parliamo con Franco Garelli, che ha lavorato a quest'ultima ricerca, professore di Sociologia all'Università di Torino, attento ai fenomeni religiosi e della condizione giovanile, e collaboratore della nostra rivista.

    IL TRAMONTO DI VECCHI SCHEMI

    Dalle recenti indagini, e anche dalla ricerca a cui hai lavorato, emerge un tipo di giovane più articolato di quello che lasciano supporre le etichette usate dagli adulti e dai mass-media. Credi, per esempio, che sia tramontata l'immagine del giovane del '68?

    Non si possono impostare così le analisi sui giovani oggi, se sia cioè definitivamente tramontato il giovane politico oppure no.
    Perché questo modo di impostare i problemi significherebbe che dieci anni fa c'è stata un'espansione e oggi invece c'è una regressione a livello di ideale politico e di coscientizzazione politica, un ritorno quindi di condizioni precedenti, cioè espansione del consumismo, del giovane privatizzato.
    t errato pensare che la storia abbia una ciclicità, che si ritorni sempre al punto di partenza. Invece il processo storico è cumulativo (non dico necessariamente nel senso qualitativo): istanze e tensioni presenti nella società in qualche modo si accumulano, si intersecano e fanno intravedere una situazione di diversità. La condizione giovanile oggi è diversa da quella della fine degli anni sessanta e inizi settanta.
    Il giovane d'oggi respira, è vero, da un lato la disillusione verso il politico, è smitizzato rispetto allo sviluppo; però dall'altro bisogna anche ammettere che si è formata, proprio grazie alla espansione del politico e consequenziale ad essa, una memoria storica. Memoria che è formata da elementi di espansione del soggettivismo, di forte coscienza dei diritti civili, di presenza di movimenti emergenti (femminista, giovanile per certi versi), delle minoranze, di istanza partecipativa, di senso rivendicativo, di desiderio di autodeterminarsi. Elementi che costituiscono il sub-strato del modo di essere, lo stato d'animo secolarizzato della condizione giovanile, conseguenza del recente passato: una memoria storica generalizzata.

    Anche rispetto al consumismo è un giovane evoluto?

    È un giovane che al limite utilizza anche il consumismo, però immerso in un contesto di espansione della soggettività, come momento di ridefinizione di sè: ad ogni modo all'interno di quegli aspetti che sono stati consequenziali al politico.
    In fondo c'è una logica un po' diversa rispetto a quella del giovane di inizio degli anni sessanta, quella del consumismo classico, di integrazione in una società in forte espansione economica e produttiva.

    Tu dici che c'è espansione del soggettivismo. Eppure tutta una serie di fenomeni lasciano intuire una forte crisi del soggetto.

    Questo è un problema che io vivo in modo contraddittorio rispetto alle indicazioni di alcuni filosofi. La mia impressione è che il giovane d'oggi non sia proiettato verso esperienze di forte ricerca, di senso ultimo (che poi magari gli sfugge, o gli appare in frantumi), perché tutto sommato ha trovato una quadratura della propria vita quotidiana nella ricerca di un significato nei piccoli spazi che si ritrova, teso alla ricerca di una risposta al problema dell'identità sua. Di un'identità immediata, direi, non esistenziale ma sociale: come precondizione magari a porsi delle domande di fondo, dopo il soddisfacimento dei suoi bisogni primari.
    So che dicendo questo contraddico quanto dicono filosofi o osservatori che pensano, ad esempio, che il giovane d'oggi sia ossessionato dal problema della morte.
    Probabilmente una spiegazione di questa contraddittorietà sta nel fatto che i due punti di vista, quello sociologico e quello filosofico, occupano due spazi ben diversi: il filosofo riflette più a livello ultimo delle cose, e intravedendo che in questa società complessa non ci sono prospettive, è portato a porre dei problemi ultimi, che però a mio avviso il giovane contemporaneo non vive direttamente.

    QUALE GIOVANE NEGLI ANNI '80?

    Se la situazione giovanile oggi è diversa rispetto al passato, che immagine emerge del giovane negli anni '80?

    L'immagine di un giovane che pratica la differenziazione sociale: anzitutto un giovane che rispetto alle molte occasioni che il contesto sociale gli offre, cerca di praticarne molte, di realizzarsi in campi assai diversi, evita di determinare in modo univoco la propria vita. Basta vedere la pluralità delle appartenenze che il giovane ha: non ha una sola appartenenza sociale, ne ha molte, fa parte di gruppi di interesse, di amici, sta anche all'interno delle istituzioni tradizionali, perché vede in questa molteplicità di appartenenze un arricchimento della propria esistenza. Quindi un giovane molto sfaccettato, non uni-dimensionale.

    La conseguenza non è un'identità contraddittoria, una lacerazione interiore?

    Certo un esito, per lo più non voluto dal giovane, è la contraddittorietà, l'ambivalenza dell'esperienza. Facendo parte di contesti, di gruppi diversi, è esposto alla dissociazione di aver a che fare con modèlli di comportamento, con stili di vita a volte tra loro incongruenti. Però è un rischio che il giovane non avverte, in quanto non è più legato a un ideale di vita» che utilizza come criterio di giudizio dei propri comportamenti, ma tutto sommato è mosso essenzialmente dall'esigenza di rispondere a determinati bisogni, quello di esprimersi, di partecipare, di orientare la propria vita.

    Che cosa nell'ambito della vita sociale spinge a questi bisogni, a cercare pluralità di appartenenze ed esperienze?

    Credo che sia questa società complessa altamente differenziata nella quale siamo inseriti che, in qualche modo, ci fa capire come la socializzazione dei giovani (e quindi l'atteggiamento verso la società, le istituzioni, il lavoro, il modo stesso di vivere) sia oggi molto diversa da quella che vivevano i loro padri. Per esempio, il giovane degli anni '50-'60 era figlio di un contesto sociale per lo più integrato, o che comunque tendeva all'integrazione. In un contesto di questo tipo, egli era legato al sistema sociale, e trovava la sua identificazione, attraverso il meccanismo dello sforzo a cui conseguiva una ricompensa.
    Il giovane vedeva cioè che il suo impegno era ripagato da una ricompensa, da uno status sociale: lavorando, ma lavorando anche in senso tradizionale, incarnando i valori tradizionali, poteva sperare di ottenere una posizibne sociale migliore.
    Oggi questo meccanismo è caduto. Oggi siamo di fronte a un giovane che non si sforza più, perché sa benissimo che a una serie di sforzi non conseguono determinati risultati; e allora non è vincolato da questo meccanismo a un'identificazione sociale. In ogni tipo di presenza sociale (anche nel lavoro), più che trovare momenti di identificazione col sistema, il giovane cerca momenti di realizzazione personale. Nasce qui allora lo scollamento tra identità individuale e identità collettiva: non si verifica più un senso collettivo ampio che accomuna molti soggetti, una unitarietà di intenti, ma una compresenza di diverse identità, di stati corporativi, dove ognuno ricerca una sua strada. Anche da questo punto di vista il giovane è figlio di una società disincantata.

    UN REALISTA A PICCOLO RAGGIO

    Hai detto che i giovani dell'ottanta come prima caratteristica praticano la differenziazione sociale. Ci sono altre caratteristiche?

    Oltre a praticare la differenziazione sociale, è un giovane molto aderente al quotidiano: disincantato sui grossi obiettivi, non mira più alle grandi mete sociali e anche personali, ma in qualche modo ha interiorizzato un certo realismo», per cui comincia ad avviare a soluzione i propri problemi nell'ottica del qui-ora possibile. Non abbiamo più il giovane che punta a 100 per ottenere 35, ma punta a 40 in modo che lo scotto da pagare sia minore.
    E in questa ottica il giovane tenta di realizzare ciò che un tempo era agognato, per esempio l'egualitarismo, la giustizia sociale. Il giovane oggi non ha più questi grossi ideali», però è impegnato a realizzarli».
    Più che tendere all'egualitarismo, direi che cerca di praticarlo, di vivere concretamente dei rapporti di tipo egualitario; tende a vivere una vita più a sua dimensione, più corretta. Meno esposta allo sfruttamento nel lavoro, ad esempio, meno centrata sulla carriera. Il giovane cerca un ambiente in cui realizzarsi, in cui ci siano rapporti umanamente, affettivamente caldi. Pur avendo perso la dimensione della lotta sindacale o della lotta collettiva.
    Questa, a mio avviso, è la peculiarità del giovane d'oggi, per cui si potrebbe quasi parlare, per certi versi, di una piccola rivoluzione della vita quotidiana. Magari a livello inconsapevole.
    Ciò ha ovviamente delle ambivalenze: è positivo per il fatto che una serie di idee grosse diventano pratiche di vita, stile di vita; però il rovescio della medaglia è che non c'è più una grossa tensione collettiva, una tensione di modifica della realtà.
    Altri elementi che caratterizzano il giovane: egli accentua molto i rapporti interpersonali, il senso dell'amicizia, la ricerca di un ambiente affettivamente caldo, in cui identificarsi. Mentre, tutto sommato, il giovane di una decina di anni fa era più proiettato sul discorso strutturale, sul mutamento, sul gruppo politico di compagni con cui condivideva lotte e progetti.

    Forse è per questo che alcuni parlano del giovane come idealista piccolo piccolo».

    Se per idealista piccolo piccolo si intendono prospettive intermedie di esistenza, direi di sì: anche se poi, per altri versi, i giovani sono dei realisti.
    Siamo di fronte a una realtà giovanile che non può più essere spiegata in termini dicotomici, come del resto la realtà sociale.
    Questo è uno slogan, tutto sommato, giornalistico. Ma nasconde una preoccupazione legittima: che i giovani, i quali nella loro socializzazione fanno esperienza autonoma» di realizzazione, saranno portati un domani a inserirsi nella società senza grosse prospettive collettive.
    Il problema di fondo è che mancano agenzie di mediazione tra le istanze del giovane e le istanze della società. Da questo punto di vista oggi sono entrate in crisi la famiglia, la scuola, probabilmente anche i gruppi giovanili.

    Comunque è esagerato parlare di privatismo, di appiattimento della prospettiva sociale, di riflusso.

    Senz'altro. Non credo alla dimensione del riflusso, anzi, secondo me, i giovani oggi sono molto disponibili. Esprimono certo aspetti di integrazione sociale, di consumismo, ecc., però la loro prospettiva è più aperta.
    A parte poi che quando i giovani incontrano proposte abbastanza chiare, sono disponibili, anche se mancano probabilmente di metodo, di capacità di cogliere gli aspetti di fondo, perché hanno una formazione carente a livello di istituzioni primarie.

    AUTONOMI SÌ, OMOGENEI NO

    Sei d'accordo su ciò che, secondo alcuni, caratterizzerebbe la condizione giovanile: autonomia e omogeneizzazione? Autonomia come radicale diversità, senza padri né maestri; omogeneizzazione come ritrovarsi attorno ad alcuni contenuti» che tagliano trasversalmente la divisione tra maschi e femmine, tra classi sociali, tra destra e sinistra.

    L'immagine dei giovani che mi presenti - delineata da Ricolfi e Sciolla nel loro volume - è forse un'immagine che si applica più alla condizione studentesca che all'insieme dei giovani.
    Nella ricerca Gi.O.C., che consta di quasi 7.000 interviste a giovani, di cui la metà lavoratori, il quadro è molto più complesso. Si potrebbe quasi dire che è il fattore scolarizzazione che può portare all'omogeneità culturale, o comunque è una precondizione favorevole all'omogeneità culturale.
    È vero che i giovani oggi sono autonomi per certi versi dagli adulti, perché, come dicevo prima, non vivono la stessa socializzazione. Hanno valori diversi perché fanno esperienze diverse. Però non si può enfatizzare questo come omogeneità, come un gruppo che non ha differenza nel suo interno. Per es., una differenza grossa si riscontra tra giovani lavoratori e giovani non lavoratori; inoltre nel modello del tempo libero le ragazze dichiarano mediamente al giorno due ore, due ore e mezzo di tempo libero, e i maschi coetanei il' doppio. La quota di tempo libero di cui le ragazze sono prive rispetto ai maschi, è quella che impiegano nei lavori domestici. Abbiamo allora il riprodursi anche a livello giovanile della differenziazione dei ruoli che si riscontra nel mondo degli adulti.
    Un altro aspetto interessante. Le ragazze più costrette» nei lavori domestici, e che quindi hanno meno libertà, evidenziano maggior attenzione ai rapporti gratificanti, e sono anche politicamente più a sinistra.
    Vi sono differenze anche nell'atteggiamento nei confronti del lavoro. Il giovane tende, anche nel lavoro, a una realizzazione personale, però in modi differenti a seconda delle situazioni che vive. Gli studenti, per es., sottolineano il contenuto concreto del lavoro: un lavoro che interessi, che piaccia, e per certi versi anche di utilità sociale. Ma è gente che non lavora, quindi ha questa visione tutto sommato utopica. Chi già lavora, sottolinea invece non il contenuto concreto, ma le condizioni umane del lavoro. Sottolinea maggiormente la possibilità di realizzare in esso rapporti soddisfacenti. Non c'è, ad ogni modo, solo l'attenzione alla realizzazione nel lavoro; c'è anche l'attenzione alla carriera, alla ricerca di un lavoro garantito.
    Non è possibile, ancora una volta, parlare dei giovani in senso unidimensionale, però non è che riprendono gli atteggiamenti dei loro padri. Si dimentica infatti che i giovani coniugano questi aspetti con altri: questa è proprio la peculiarità della situazione attuale.

    I GIOVANI DELLA VITA QUOTIDIANA

    Hai parlato più volte di vita quotidiana. Cosa intendi per vita quotidiana: quali valori, quali ruoli vengono sperimentati?

    Parlo di generazione della vita quotidiana per dire che siamo di fronte a un giovane che non si realizza nei tempi eccezionali, ma ha in qualche modo saldato tempo eccezionale e tempo ordinario. È una novità, o per lo meno una specificità del momento.
    Mentre i giovani degli anni '50-'60 probabilmente centravano la vita sui momenti eccezionali e da lì partivano per far luce su quelli quotidiani, i giovani d'oggi sembrano vivere in termini più costanti, ma a una tensione di basso livello, perché si limitano alle cose che possono in qualche modo controllare. È nelle pieghe della vita quotidiana che ricercano soddisfacimento dei loro bisogni, soluzione delle loro contraddizioni, senso ad ogni situazione o pratica di vita.
    Per esempio, oggi, secondo me, i giovani non fanno più grossa differenza tra lavoro e tempo libero, e questo mi sembra interessante. Mentre per un adulto il tempo libero è eccezionale e il lavoro è il vero spazio della realizzazione sociale, il giovane invece tenta di dare un senso più omogeneo a tempo libero e lavoro. Chiaramente vive il lavoro anche come alienazione, però cerca in qualche modo di umanizzarlo, di dargli un senso, di non lasciarsi vivere.
    Per paradosso, si può dire che i giovani degli anni '50-'60 vivevano dietro un ideale: erano i don Chisciotte della situazione e non vivevano il momento presente. Molti la giovinezza la mettevano tra parentesi in vista di un ideale. Anche la generazione del '68 lo ha fatto: l'ideale politico faceva sì che le contraddizioni e i problemi personali venivano messi tra parentesi. Il fatto politico significava che tu lottavi per un domani, per chi veniva, per un mondo più egualitario.
    Oggi il giovane non è più disposto a questo. Secondo lui non ha senso lottare se non si comincia dalla soluzione ai suoi problemi, dalla sua storia presente, e anche dalle sue frustrazioni.

    C'è contatto tra vita quotidiana dei giovani e struttura sociale, o vi è invece distacco, impermeabilità?

    Di per sé la vita quotidiana è il microcosmo in cui si riflettono e si articolano le strutture, i conflitti, le tensioni, i mutamenti dell'ordine sociale esistente, e nel quale si scaricano, in ultimo, tutte le azioni dirette a modificarle. Tuttavia il rapporto non è così immediato, così forte. Le tensioni sociali le avverti se vivi molto in contatto col sociale. Ora i giovani vivono il sociale dal loro punto di vista, nella loro soggettività, e quindi sono portati a reinterpretare in termini autonomi anche le tensioni, i problemi sociali. Nel '68 i giovani - una fascia almeno - vivevano una marginalità rispetto al sistema e vivevano una centralità rispetto alla società alternativa. Oggi i giovani mentre toccano con mano una marginalità oggettiva rispetto al sistema (anche perché hanno difficoltà ad entrarvi, basti pensare al mercato del lavoro), vivono però una centralità soggettiva, cioè ricuperano a livello personale e di piccolo gruppo la sensazione di essere protagonisti, autonomi.

    Quali valori vengono elaborati nella vita quotidiana? Quali modi» di vita quotidiana emergono?

    Un aspetto abbastanza interessante è la selettività, come dimensione di fondo: i giovani stanno nella società, non è che si discostino, però assumono le cose che più interessano loro tralasciando le altre: tutto nel segno della realizzazione personale. Le forme sono molto diverse perché ci sono tipi diversi di giovani. C'è chi sta dentro le istituzioni e qui gioca la selettività, nel senso che se si identifica con il gruppo a cui appartiene, con il movimento, non è detto che si identifichi con l'istituzione.
    Chi invece più in generale fa scelte di piccolo cabotaggio, fa agire la sua selettività ad altri livelli, con esiti diversi rispetto al modello precedente. Non solo il giovane individualista è selettivo. Lo è anche il giovane integrato, che spesso non si riconosce nei valori degli adulti e delle istituzioni: è selettivo dentro al suo modello di vita.
    E qui scatta la seconda dimensione che può essere un valore o un disvalore: la tolleranza. I giovani sono selettivi sì, ma nella tolleranza. Le cose che a loro non interessano, non interessano punto a basta. Non diventano elemento di conflitto, come poteva essere dieci anni fa. I giovani stanno a scuola per lo più assumendo le cose che interessano; quelle meno interessanti le lasciano senza grosse tensioni personali o critiche all'istituzione. Anche in famiglia i punti di rottura non vengono vissuti in termini conflittuali, drammatici, come un tempo. Perché questo?
    Perché ha la possibilità di realizzarsi da altre parti e perché non c'è una tensione sociale che lo porti alla conflittualità. La crisi infatti attraversa non soltanto la società dominante, ma anche ogni ipotesi di una società alternativa. Si nota inoltre una maggiore interscambiabilità tra maschi e femmine, pur essendoci un riproporsi a livello giovanile della differenziazione dei ruoli. Se senti i giovani su una serie di aspetti del rapporto di coppia, vedi che la maggioranza ti dice che i compiti vengono ripartiti alla pari. Compreso il fare la spesa. È un dato nuovo rispetto a un tempo. Per le giovani coppie è segno di un processo di egualitarismo che diventa pratica di vita.
    Un ultimo aspetto può essere la maggiore elasticità anche culturale. Oggi i giovani sono meno fissi, più aperti a una serie di esperienze, anche una dietro l'altra. Credo, ad esempio, che oggi nei giovani sia abbastanza accreditato il rispetto delle minoranze, il riconoscimento che anche i gruppi di minoranza hanno i loro diritti.

    I LUOGHI E I MODI DELLA SOCIALIZZAZIONE GIOVANILE

    Vi sono nuovi luoghi di socializzazione e di trasmissione dei modelli culturali e di comportamento? Basta dire solo piccolo gruppo, gruppo dei pari, gruppo amicale?

    Secondo me il modello di socializzazione è più allargato, nel senso che, a mio avviso, oggi i giovani si trovano abbastanza bene dentro le istituzioni. Magari anche perché spinti dalla necessità, però ci stanno dentro. Il modo di stare in famiglia ne è un esempio. Si è di fronte tuttavia ad una socializzazione molto differenziata. I giovani vivono in famiglia, stanno nella scuola, girano nel gruppo di amici, in parte frequentano la chiesa. Dove stanno poco sono sindacati e partiti, perché sono ambienti che portano pochi contributi alla soluzione delle loro contraddizioni. Li avvertono di conseguenza come estranei, fuori dal loro mondo. Proprio perché la socializzazione è differenziata sono portati a rivalutare anche gli ambiti di socializzazione tradizionale, sempre nel segno della selettività. Ad ogni modo non è detto che perché vivono nelle istituzioni tradizionali si identifichino con esse, con i loro valori.

    E i modi di socializzazione? Si afferma che sono passati da verticali ad orizzontali. È così?

    Sì, è avvenuto un passaggio di trasmissione dei valori da verticale a orizzontale, proprio per la diversità di contesto in cui è avvenuta la socializzazione. Con quali modalità? Direi che i giovani per lo più sperimentano autonomamente. Il primato è dato all'esperienza: non tanto una progettualità o un'idea formata prima cui corrisponda poi una prassi, quanto essenzialmente una prassi, un bisogno di sperimentazione. Si dà inoltre valore a tipi di socializzazione che rispondano» a tutta la persona. Non soltanto .al giovane razionale, ma al giovane emotivo, al giovane sentimentale, al giovane che ha bisogno di affettività. Aspetto ricco di valori questa esigenza di globalità della persona, ma anche ambivalente perché lascia intravedere alcuni elementi di istintualità.

    Che cosa c'è dietro l'angolo? Quale è lo sbocco di questo vivere la vita quotidiana?

    Qui il problema a me pare sia quello delle mediazioni. O la società ricupera una funzione di mediazione, oppure si va verso una enfatizzazione dello scollamento attuale tra cittadini, piccoli gruppi, società, stato. Oggi siamo ad una frattura tra la società civile con le sue forze, e la società politica. E allora o si crea un senso del collettivo su basi nuove, oppure si va a una repubblica di piccoli gruppi, con tutti i rischi di anomia che ciò comporta. Quindi dietro l'angolo sta il fatto che in qualche modo la società sappia valorizzare ciò che i giovani esprimono di positivo, aiutandoli prima di tutto ad uscire da una prospettiva meramente individuale. Si potrebbe dire, con una battuta, che i giovani, ma non solo loro, cercano di far fronte alla crisi in termini puramente individuali.
    In Italia gli esiti individuali non sono delle novità. Già negli anni '60 c'era un simile esito allo sviluppo. Basta pensare al modello emigratorio che era basato sul tentativo di non perdere il treno dello sviluppo, ma in termini individuali. Oggi però siamo a una situazione tale di scollamento, di carenza di identità collettiva, che o si innescano dei meccanismi che, nel pieno rispetto degli elementi personali emergenti, li coordinino in un quadro collettivo, oppure si rischia l'eccedenza, l'esasperazione dell'individualismo e delle scelte di piccolo gruppo.
    Cosa ci poteva stare dietro l'angolo nella stagione della contestazione e delle lotte operaie? Ci stava il fatto di dire: vediamo se queste grandi idee vengono tradotte in pratiche di vita. E oggi cosa ci sta dietro la stagione del personale e dell'autonomia dei piccoli gruppi? Vediamo se questi assumono una dimensione collettiva; vediamo se la società, le forze sociali, la famiglia, sapranno in qualche modo mediare le istanze dei soggetti e quelle collettive.

    GIOVANI E FATTO RELIGIOSO

    Anche il bisogno religioso rientra in questo vivere il quotidiano, in questa ricerca di identità?

    Sì, con alcune particolarità. I giovani che fanno una scelta religiosa cercano in qualche modo di rispondere al bisogno di identità e di appartenenza, e evidenziano una continuità tra bisogno religioso e bisogno sociale. Quindi prevale nel fatto religioso una dimensione comunitaria. Però in questa dimensione è stimolante osservare che molte voltè non c'è un senso di appartenenza ecclesiale ampio, ma solo senso di appartenenza al piccolo gruppo come chiesa in sé. Si ripropongono le contraddizioni che dicevamo prima tra pluralità di appartenenze e appartenenza sociale più ampia.
    Sul versante del riferimento religioso si può parlare oggi di ricerca dell'essenziale» e dell'immediato». Mi spiego.
    I giovani mettono l'accento su un nucleo essenziale di valori religiosi, ma non si identificano più con il modello tradizionale di vita cristiana. Nucleo essenziale significa individuare nel vangelo gli elementi di fondo che permettono o rendono plausibile una vita personale religiosa: i giovani non accettano più al limite i valori derivati dalla tradizione, mentre fanno un discorso di radicalità, di povertà, di semplicità. Essi cercano una identità religiosa come risposta a una serie di interrogativi personali e vogliono anche essere ancorati a un passato, far parte di una tradizione, ma in senso innovativo. Questa è l'essenzialità.
    E poi l'immediatezza: intendono il riferimento religioso come un qualcosa a loro portata, per il quale non è necessaria una mediazione ecclesiale. Pensano ci possa essere benissimo un filo diretto con Dio che è un qualcosa da sperimentare immediatamente, non da vivere in termini di mysterium tremendum et fascinosum». È quello che io chiamo bisogno di una religione concreta, dove concretezza implica ripresa dei simboli, ma di simboli che a loro interessino, ripresa del rituale, ma rituale che a loro interessi, mentre se analizziamo i processi di mutamento della religione contemporanea, vediamo una religione più formalizzata, intellettuale, astratta, dove non c'è un'esperienza concreta.
    E ancora è una religione che dice qualcosa alla vita quotidiana, che dà un senso, di cui fanno esperienza, in un sacro immediatamente coglibile.
    Un altro aspetto è il discorso sulla norma. Ormai c'è uno scollamento tra riferimento di fede e scelte morali dei soggetti, e questo i giovani lo vivono moltissimo (ma non solo loro). Pur ritenendosi informati dal vangelo, fanno delle scelte autonome dalla gerarchia, ma anche autonome da un ripensamento delle scelte alla luce del vangelo.
    Il giovane ritiene di far parte della chiesa e di riferirsi al vangelo, ma sceglie in concreto secondo logiche di espansione del soggettivismo. Senza sentire l'esigenza di parlarne nel gruppo ecclesiale a cui appartiene. In fondo tutta la ricerca religiosa dei giovani è ricca di possibilità, ma anche carica di ambivalenza che fanno appello ad un rinnovato impegno educativo.


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