5 schede a cura di Maddalena Santoro
(NPG 1988-10-29)
Uno studioso di processi istituzionali ricorda che esistono due livelli di cambio. Al primo livello, è possibile cambiare tutto, senza di fatto trasformare nulla. In questo caso, l'operazione è condotta all'interno dei processi che regolano il sistema. Cambiare significa solo lubrificare gli ingranaggi, riadattare gli scompensi, riequilibrare l'inerzia.
Il secondo livello - l'unico che veramente è in grado di assicurare una trasformazione - è quello in cui si esce dalle logiche istituzionali per rischiare, muovendosi verso l'inedito. In questo caso, il cambio nasce da una scommessa di futuro. Guarda in avanti e cerca l'alternativa, rovesciando le logiche in cui è stato progressivamente costruito il presente.
Non tutte le operazioni vanno condotte su questo secondo livello.
Spesso, al contrario, l'educatore è chiamato a resistere alla tentazione dell'inedito, per richiamare ad un maggiore realismo e ad un confronto più disponibile con il passato.
Certo, non è possibile giocare a tutti i due livelli, contemporaneamente.
Il modello di spiritualità che NPG sta perseguendo sporge molto sul secondo livello: prende decisamente le distanze dai progetti e dalle raccomandazioni diffuse e tradizionali. Ci sentiamo vicini alle conclusioni a cui sono giunti molti credenti, prima di noi e con una competenza ben più grande: «Dal momento in cui il Concilio Vaticano II nella Dei Verbum ha proposto con coraggio il primato della Parola di Dio nella Chiesa, si è avuta la sensazione immediata che tutte le impalcature delle 'scuole' di spiritualità della tradizione cattolica fossero chiamate ad una seria conversione delle loro prospettive originali» (B. Calati, priore generale dei Monaci Camaldolesi).
Troppe sedimentazioni devozionalistiche hanno progressivamente sfuocato la dimensione centrale della vita cristiana e della spiritualità. È urgente ripensare gli strumenti pastorali in un'ottica rinnovata. Formulari di preghiera, modelli di vita e di vocazioni cristiane, raccomandazioni e devozioni, riti e celebrazioni vanno passate al vaglio del profondo cambio di prospettiva.
Il lavoro è lungo e impegnativo. E non bastano certamente queste pagine.
Come strumento iniziale di lavoro, proponiamo cinque schede di riflessione per gruppi impegnati. La metodologia è molto semplice e concreta: un documento per provocare, stimoli di riflessione, una preghiera per dire forte la propria meditazione. Con un po' di fantasia, possono essere utilizzate in mille differenti modelli.
1. ACCUSATORI E ACCUSATI
Con una pietra in mano
Non fatico a immaginare la scena ed è come se ci fossi, coi sandali ai piedi e una veste di cotone grezzo. Fa un gran caldo, stavo ascoltando questo tal Gesù che non si stanca di ammaestrare e parla, parla, la gente raccolta attorno...
Ecco alzarsi un vortice di grida, minacce, gemiti.
Quel tale Gesù deve interrompersi. Viene trascinata per il mantello e talora per i capelli una donna che forse aveva una bellezza ed ora è scarmigliata, travolta dal terrore, presa a calci, a spintoni, la canizza degli uomini che la buttano in avanti urlando parole di maledizione e sconciandola con gesti d'ira.
La sbattono a terra, davanti alla figura immobile di Cristo.
L'adultera è qua, davanti a noi tutti. A terra come un cencio di donna, la mole della legge contro di lei. Cristo da sfidare come a dirgli: tu che parli di misericordia, tu che sei giusto e vai ripetendo di esserlo, cosa comandi di costei?
Il grande Cristo non risponde subito. E fa una cosa che nessuno intende: si mette a scrivere per terra con il dito. Un Dio fa quello che vuole, prende il tempo che gli piace.
Spetta alla folla attendere...
Io sono sempre lì. Mi figuro oggi -venti secoli dopo - d'essere lì. E devo immaginare, perché non potrebbe essere altrimenti, d'avere anch'io già raccolto una pietra per schierarmi dalla parte di Mosè e tenermi pronto alla tempesta di sassi sull'accusata, il mio irato sasso fra gli altri.
Mi dico, adagio, oggi, mentre piove da due giorni su Milano, l'adultera di Palestina è lontana e vicinissima, il tempo trascorso, le cose già note: cosa ho capito allora e cosa intendo oggi di quel vento improvviso, potente, incredibile, eccelso che Cristo fa spirare su tutti? Egli sentenzia: «Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei». Fossi davvero stato là, mi sarei inginocchiato davanti alla suprema novità delle parole? Non so pensarci e non ne vengo a capo. Ma non conta.
È oggi che mi spetta chiedermi: sono d'accordo con te, Signore? Ho finalmente afferrato che la giustizia di misericordia si chiama Cristo e non è più affidata a pietre di popolo né a tribunali delegati e neanche a leggi che l'uomo abbia immaginato e messo in bella?
Mi ascolto e dico: sì l'ho dovuto capire. Perché ho toccato con mano che la misericordia di Dio, il suo bene, l'intensità del suo amore non hai mai consentito che il lapidato fossi io. Anche a me è stato ripetuto: vai, non insistere nell'errore, cammina guardando avanti, allietati.
Ci sono stati confessionali della mia vita, che dovevano essere stivati di pietre da lanciare contro di me. E ho avuto il perdono, il sorriso di Dio, la sua mano sulla spalla. Vai.
(G. Torelli, La pazienza di Dio, De Agostini 1984 p. 69-72)
Alcune considerazioni
Quali sono gli elementi di freschezza e di quotidianità che l'Autore ci presenta in questa narrazione?
Quale novità di atteggiamento rivela il personaggio del racconto, un giornalista dei nostri tempi?
Eccoti una guida per scoprirlo: da sempre l'uomo è pronto a puntare il di-to, in particolare su alcune categorie di persone nelle quali pubblicamente non ci ritroviamo.
Ci sentiamo quindi degli accusatori, mai degli accusati... Nella cultura odierna c'è forse una novità in questo: non vogliamo prendercela con i poveretti, gli emarginati e ci sentiamo investiti della parte dei supervisori della società entro la quale ricercare «accusati» e «accusatori». Nessuno si sente più nella veste di accusato o di accusatore, ci si sente un po' «dei», al di fuori, al di sopra...
Il Vangelo ci ridimensiona forse; proviamo, come Torelli, a sentirci nella parte dell'accusata o anche degli accusatori...
Ma davanti a Dio, nella semplicità e umiltà della vita quotidiana.
ACCETTAZIONE
«Come posso essere un grand'uomo... come te?».
«Perché essere un grand'uomo?» chiese il maestro.
«Essere un uomo è già un'impresa abbastanza grande».
(A. De Mello, Un minuto di saggezza nelle grandi religioni, Paoline 1987, p. 91)
2. IL PREZZO DELLA VITA
Quale dominio?
Carissimo, quando ho letto la tua lettera mi è venuto da sorridere, perché mi sembravi Celentano quando in Fantastico (forse ne avrai sentito parlare anche tu) si era schierato contro quelli che uccidono gli animali e coloro che portano le pellicce, facendo anche vedere un filmato terribile.
Anch'io ho pensato a questo problema. «Facciamo l'uomo a nostra immagine.../e domini sui pesci.../sugli uccelli.../sul bestiame». Dio ha creato l'uomo e lo ha posto al centro di tutto il resto della creazione, perché tutto possa adoperare, gli possa servire.
Infatti ha iniziato con il nutrirsi di carne e con il vestirsi di pelli. Ora le pelli sono una cosa pregiata di cui pochi possono vestirsene, una volta era l'unico modo per coprirsi. Ora vestirsi di pelli è diventato un lusso, uno spreco anche di animali. Comunque ci sono degli allevamenti per queste bestie da cui si ricavano le pelli e si dovrebbero proteggere di più le specie in estinzione. Parli di violenza a scopo commerciale. Hai mai visto uccidere un maiale, una gallina?
Ti sei mai chiesto di alcune creme alla placenta da dove derivano? E sì, nella nostra società si fa più rumore se si uccide una foca indifesa che se, ogni giorno, si uccidono migliaia di vite umane.
E in più, mentre le pellicce sono diventate uno spreco di pochi: i ricchi (anche se ora i pochi sono sempre di più), gli uomini diventano sempre più spreco di tutti, in tutti i modi... e altre volte, il più delle volte, non c'è sotto nessun scopo commerciale e... neanche ce se ne accorge.
Quando guardi queste persone pensa che non hanno capito che forse, se avessero speso in altro modo i loro soldi, si sarebbero sentiti più caldi. Ma non possiamo pretendere che gli altri abbiano scoperto i nostri valori.
È difficile vivere nel mondo dal di dentro senza essere del mondo.
Si rischia alle volte di vedere tutto da lontano e di giudicare persino i bambini che con il loro sorriso innocente e superficiale non cambiano e non cambieranno niente; persino i giovani che ancora non hanno scoperto qual è la durezza della realtà e della vita. Poi, tra i grandi le corse al potere, ad avere qualche cosa, al prestigio, alla «pubblicazione di lavori», a...
«Perché domini...».
Sì dentro fino in fondo, ma da dominatori come Gesù quando andava alle cene e stava con le prostitute, si divertiva, piangeva, soffriva, si lasciava accarezzare, toccare, cercare... e rimaneva il figlio prediletto.
Ciao
Cristina
Aiuto alla riflessione
Ti sembra che ci sia un equilibrio ne mondo di oggi circa la stima dei valori? Prova a rilevare, dal brano, in un confronto con la realtà, i fenomeni d profonda contraddizione nella stimi del valore della vita. Si è arrivati a «produrre» la vita umana per esperimenti... È così nel progetto del Creatore?
CHE COSA È L'UOMO?
O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome
su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza
la tua magnificenza.
Se guardo il tuo cielo,
opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l'uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell'uomo perché te ne curi?
Eppure l'hai fatto poco meno
degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere
delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti,
tutte le bestie della campagna;
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
che percorrono le vie del mare.
O Signore nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome
su tutta la terra.
(Salmo 8, 2; 4-10)
3. INDOSSARE LA PASQUA
Sarà la volta buona?
Fermo davanti alla macchina per scrivere, che è il mio strumento di meditazione (sono un giornalista), provo ad indossare la Pasqua.
Se adesso suonassero alla porta, ci fosse un bel signore con la barba e i lunghi capelli e ti dicesse «Sono Cristo risorto», tu cos'avresti da rispondergli?
Se credo dal profondo di me stesso che Cristo sia risorto dai morti, devo ammettere che è qui fra noi, che è sempre in mezzo a noi e nulla gli impedisce di venire a trovare me, così come sono: in camicia azzurra rimboccata, la casa vuota dei miei, il pesciolino rosso felice di guizzare nella vaschetta sopra il cassettone, i colombi sul muro del giardino, il cielo primaverile incerto e mutevole.
Credo che saprei abbozzare: «Signore tu conosci già la casa, si parla sempre di te: sai dove mangiamo, quel che ci permetti di avere e dove dormiamo dopo averti pensato. Siediti dove ti pare, scegli tu il posto, sei assolutamente il benvenuto. Cosa posso offrirti?». Si può offrire al Signore che ti ha creato, una tazza di tè?
Credo che lui siederebbe sul divano, in mezzo ai cuscini colorati. Lui mi direbbe: Giorgio? Io vorrei toccargli la mano e guarderei lo strazio dei chiodi? Potrei forse dirgli: parla Signore; oppure comincerei a incespicare che la mia milizia di Cristo è stato tutto un tentativo, un gomitolo arruffato, un percorso a diritto o rovescio? Se il Signore non avesse fretta, gli parlerei anche dei miei giorni d'oggi...
Il Signore che direbbe?
Ecco, il silenzio della casa mi avvolge. Io sono sempre alla macchina per scrivere e non ha suonato nessuno. Forse che conta?
Se io credo - e credo - non è forse vero che quella suonata alla porta è continua, dolce, paterna, colma di sollecitazioni?
Prendo la nuova Pasqua così: per un'altra chiamata che mi viene offerta con puntualità. Sento che ribadisce le verità d'amore alle quali insisto a porgermi con scarso successo. Sarà la volta buona?
(G. Torelli, cit., p. 77-78)
Confronto con il brano
Quanta gente in camera mia... e non è solo carta o solo parole in musica. Realmente mi ritrovo spesso in compagnia di: Madonna... Venditti... De Gregori... Eros Ramazzotti... Vasco Rossi... o anche di un amico o amica cara... (anche di personaggi classici magari). Che sensazione sentirmi in loro compagnia? Sentire che sono nella mia stanza a parlare con me attraverso quei loro ritratti o quelle loro parole... È come sentirmi avvolto dalle loro persone.
Se pensassi di essere avvolto della Croce e Resurrezione di Cristo che effetto mi farebbe? Con il Battesimo questa «compagnia» di Cristo ci penetra già dentro e ci avvolge anche di fuori... sempre.
Poi si rinnova con l'Eucarestia domenicale, con il sacramento della Penitenza, del Matrimonio cristiano...
Che effetto mi fa sentirmi in compagnia di Cristo, «vestito di Lui?».
Prova ad interpretare il brano di Torelli applicato a te e a tradurre ciò che senti.
FUGA
Il maestro divenne leggendario mentr'era ancora in vita.
Raccontavano che Dio una volta avesse cercato il suo consiglio:
«Voglio giocare a nascondino con l'umanità.
Ho chiesto ai miei angeli quale sia il posto migliore per nascondersi.
Alcuni dicono le profondità dell'oceano.
Altri la vetta della montagna più alta.
Altri ancora la faccia nascosta della luna o una stella lontana. Tu cosa mi consigli?».
Rispose il maestro: «Nasconditi nel cuore umano. È l'ultimo posto a cui penseranno!».
(A. De Melto, cit., p. 60)
4. CHI HA DUE TUNICHE
Lavorare per la giustizia
«Mi piacerebbe lavorare per la giustizia». Sì, sì, mio Dio: ma si può davvero? Come si fa? Da dove si comincia?
Gli orologi girano, le automobili stentano ad andare in moto, sono usciti nuovi e pessimi giornali. Dov'è mai un Giovanni Battista che ci metta alla frusta tutti quanti siamo?
Giovanni Battista è sempre là, a fare le pubbliche relazioni per la paternità di Dio. In ufficio, in metrò, in tram, ai semafori, nei negozi, per le strade, dentro le case, sotto i cappelli, sulle facciate delle banche e nella luce del cielo va ripetendo da un'immensità d'anni: «Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha». Questa e nessun'altra è la giustizia d'amore. Questa e nessun'altra, la via della più intensa felicità: una scelta d'azione in cui andarsi a smarrire perché di tuniche è affamata la Terra per quant'è larga e afflitta.
Guidando la macchina con gesti d'uso, la pipa fra i denti e una tunica addosso, dico a me stesso: «Bello e difficile. Quando comincio?».
Poi tento di dirmi: «Però nel mio lavoro, ci provo. Lo dedico agli altri. Li penso. Li condivido. Li spartisco. Questo è una tunica? È dare una tunica? E taccio sopraffatto.
Continuo a guidare nel nuovo giorno e penso sempre le stesse cose. L'uomo agisce, invecchia, dorme, ricomincia.
Una vita non è poi eterna.
Dico a me stesso, ridico: «Quando mai offrirò la tunica che seguito a stringere forte, non so neanch'io perché?».
(G. Torelli, cit., p. 19-20)
Confronto con il brano
Ho ascoltato la voce di Giovanni Battista che «grida» anche ai nostri giorni?
Ho mai donato una mia «tunica» a chi non ne ha, oppure ho dato solo il superfluo?
RENDI FECONDO IL MIO AMORE
Di questo ti prego, Signore: colpisci colpisci alla radice
la miseria che è nel mio cuore. Dammi la forza di rendere
il mio amore
utile e fecondo al tuo servizio.
Dammi la forza di non rinnegare mai il povero
di non piegare le ginocchia
davanti all'insolenza dei potenti. Dammi la forza di elevare il pensiero sopra le meschinità della vita
d'ogni giorno
e dammi la forza di arrendere
con amore
la mia forza alla tua volontà.
(D. Acharuparambil, La spiritualità dell'induismo, Studium 1986, p. 221-222)
5. IL RITORNO DEL FIGLIO
Le parole dell'antico Luca
Il Vangelo lo aveva sempre sedotto anche se non avrebbe saputo citarne a memoria tre righe in fila. Un Vangeloglielo aveva regalato un prete lontano, poi partito per avventure missionarie. Aprì a caso il libricino senza neppure volerlo, come cercando una parola folgorante, una sola, un monito, un segreto, una chiave, un ripasso, una scoperta. E non capì le parole. Aveva bisogno delle lenti, le cercò, le impose diritte al naso, ripartì.
Era Luca. Luca chi era stato? Il pubblicano o il medico? Aveva o no conosciuto il Maestro? Sapeva tanto di tutto, ma la scienza del Vangelo continuava a sfuggirgli e ne provava un'onta segreta ancor più che un disagio risolvibile.
Sullo spazio bianco, che gli restava dentro dopo tanto margine d'esperienze e ormai coi capelli invecchiati e certi lunghi giorni di stanchezza e rinuncia, le parole dell'antico Luca andarono ad iscriversi come sotto un pennino. Immobile alla fessura, nel buio della stanza, proiettò per se stesso il film della sua vita.
Questione di pochi attimi, si fa così presto. E manifestava stupore per le labbra che da sole dicevano e calcavano: «Dio mio e Signor mio». Non sapeva il perché, ma si sentiva incommensurabile, il figlio prodigo in pigiama e occhiali, un Vangelino da cinquecento lire in pugno.
(G. Torelli, cit., p. 11-12)
Guida per la riflessione
Un figliol prodigo in pigiama, ci hai mai pensato?
Può capitare quando non si considera più il Vangelo come un libro o libricino da custodire senza mai usarlo, ma quando esso ha penetrato a tal punto la mente e il cuore di noi battezzati da farci sentire «figlio! prodigo» sempre: in abito ricercato o dimesso, in ciabatte o con gli stivali, in discoteca o a scuola... mettendoci in discussione.
Quando, allora, ci fa sentire grano e zizzania, buoni e cattivi, ma non con un vuoto dentro, bensì accolti e amati sempre come figli, come amici, come amanti tanto amati. Illuminati sulla nostra realtà attuale e su nuove possibilità di vita.
Per caso senti ancora in te una separazione tra il tuo essere giovane di questo nostro mondo e il tuo appartenere a Cristo?
Pensi di poter giungere, prima del personaggio di Torelli, ad una unità, una identità di «giovane cristiano» sempre e ovunque con il Vangelo impresso nel cuore?
RITIRO
«Come posso aiutare il mondo?».
«Comprendendolo», rispose il mae¬stro.
«E come posso capirlo?».
«Ritirandoti da esso».
«Ma in questo modo come posso servire l'umanità»
«Comprendendo te stesso».