Nota pastorale di p. Emilio Masseroni, vescovo di Mondovì
(NPG 1994-09-57)
Sulla frontiera giovanile la Chiesa investe risorse, progetti, talenti nella convinzione di dover portare la «buona notizia» che salva là dove si decidono le sorti di esistenze in costruzione, al crocevia delicato di scelte, decisioni, suggestioni. Potremmo dire che tra le nuove generazioni la comunità cristiana, con i suoi pastori e i suoi animatori, è costretta a reinventarsi un modo di essere, pungolata dai giovani stessi con i loro problemi e le loro provocazioni, ma anche in debito di risposte sempre nuove pur se sempre perenni, in grado di far breccia nell'animo di chi ha gran parte della vita davanti a sé.
Anche la diocesi di Mondovì sta scommettendo una grossa partita «pastorale» sui giovani appunto. Sono loro l'oggetto di attenzioni privilegiate (insieme alla famiglia e alle vocazioni), così come venne indicato dal Convegno ecclesiale del sesto centenario della diocesi. Ci sono stati già dei passi concreti in questa direzione. Ma rimangono sempre tanti altri passi da compiere. C'è sempre da rimotivarsi, nella comunità cristiana, rimboccandosi le maniche.
In questo impegno si colloca la traccia del vescovo all'insegna di «Vieni e vedi» (l'invito dell'apostolo Filippo a Natanaele). Si indirizza ai giovani di buona volontà, in particolare a quelli disponibili a rendersi utili per gli altri (magari per gli adolescenti e i giovanissimi). Si rivolge poi agli educatori, sacerdoti, religiosi e religiose, agli animatori, ai catechisti. a tutti coloro che nella comunità cristiana hanno a cuore i giovani.
Scrivo a voi giovani... (1Gv 2, 13)
e a voi animatori, sacerdoti ed educatori
che operate nei gruppi giovanili.
Raccolgo volentieri il desiderio diffusamente avvertito di fare «un passo in avanti» nella gioiosa fatica della pastorale giovanile. Quando c'è questa domanda, è segno che il cammino prosegue; si compie. Forse in salita, talora con la voglia di mollare o di rallentare; ma si sale. E quando mai è pensabile una pastorale giovanile con il vento in poppa? Caso mai c'è sempre da spingere contro corrente, rinnovando la voglia di pensare, di fare, di servire, di pregare, di partecipare, di far partecipare. Si sa: continuità nell'impegno e creatività del nuovo sono legge per un lavoro incisivo con i ragazzi e con i giovani.
Dunque sono ancora a voi per «interpretare» l'urgenza di un «passo avanti»; e dopo aver dato ascolto a molti giovani, animatori e formatori, eccovi il progetto «Vieni e vedi».
Uno sguardo «indietro» per andare avanti
Anche per noi c'è nella memoria un 1988. Era l'anno del sesto centenario della Chiesa monregalese. Molti ricorderanno la scelta pastorale, allora fatta, per celebrare quella data centenaria. Si è bandita ogni forma trionfalistica, esteriore, e siamo andati al sodo: ci siamo proposti di fare una seria esperienza di Chiesa, proiettata verso il futuro. Una Chiesa «antica e nuova», si diceva. Per questo non potevamo operare una scelta migliore: scommettere sui giovani per una Chiesa giovane.
Anche la lettera pastorale «Giovani e Chiesa tra presente e futuro» raccoglieva la sfida e proponeva un cammino di una comunità capace non solo di essere amica dei giovani, ma loro compagna di viaggio. Come Gesù sulla strada di Emmaus, per ascoltare, capire,spiegare una parola vera, capace di mettere nel cuore la voglia di vivere, con un «ardore» nuovo.
Molti, moltissimi giovani e adulti, sacerdoti e laici, hanno capito il senso di quella proposta. E così alcune acquisizioni sono entrate nelle nostre comunità cristiane, nei nostri gruppi.
La prima: la pastorale giovanile. accanto a quella familiare e vocazionale, non è una moda stagionale. Tutti infatti parlano di giovani: i genitori, talora con una malinconica rassegnazione; i politici con la preoccupazione del consenso; i sociologi con l'occhio alle variabili statistiche.
Anche la Chiesa ne parla; soprattutto per due ragioni: da una parte essa è convinta che è la giovinezza la stagione più difficile e più delicata per gettare il seme della speranza nel futuro; dall'altra, la Chiesa sa che è suo compito annunciare Gesù Cristo ad ogni persona, e in particolare a coloro che si trovano di fronte al bivio di una esistenza sensata o senza senso.
Per questo. da alcuni anni ormai. non si perde occasione per motivare, dico motivare e non semplicemente esortare, che i settori pastorali su cui bisogna lavorare in modo convergente, costante e creativo, sono quelli dei giovani, delle famiglie e delle vocazioni. Ciò non significa sottovalutare gli altri problemi. ma solo affermare che gli altri problemi vanno innestati su quelli detti: pensiamo alla catechesi, alla liturgia, alla carità, all'impegno missionario, al servizio sociale, al dialogo ecumenico, alle comunicazioni sociali.
Seconda acquisizione. Mi pare abbastanza recepita l'idea del primato della formazione delle persone, con particolare cura di coloro che hanno un compito educativo nei gruppi e nella comunità.
Da più parti si vuole, anzi si pretende che il prete faccia il «formatore», sia uomo di preghiera, sia capace di stare con la gente, e soprattutto sia amico di giovani. D'accordo. Anche se permane urgente la collaborazione laicale, per liberare i sacerdoti di tante cose o di impegni alquanto periferici al loro ministero. Ma insieme, mi pare che vada crescendo nelle nostre comunità la coscienza che il compito di educare non passa soltanto attraverso il sacerdote, ma attraverso gli animatori, i catechisti, le religiose, i religiosi.
Terza acquisizione. Mi sembra discretamente percepita la dimensione diocesana della pastorale giovanile, anche se permangono non poche parrocchie, soprattutto piccole. tagliate fuori. talora persino dalla comunicazione delle che proposte vengono messe in atto.
Le tappe del nostro cammino
È noto che la scuola permanente della fede è l'anno liturgico, sviluppo nel tempo del mistero di Cristo, morto e risorto per noi. È al suo interno che si collocano alcuni «tempi giovani».
Il tempo della tenda, a settembre. È l'ora del «convenire» dopo la dispersione estiva. È tempo di incontrarsi per riflettere, pregare. discutere, condividere, scegliere. programmare. Grazie a Dio, i giovani a questo appuntamento del «settembre pastorale» e del «convenire» non mancano. Ci sono e si fanno sentire, con apporti critici e proposte intelligenti. Nelle nostre comunità parrocchiali si riprende il cammino.
Il tempo della grotta, a dicembre-gennaio. Il mistero del Natale chiama al silenzio, alla contemplazione. Ormai anche questo è un momento significativo e coinvolgente per i giovani: si sosta per decidersi di fare il punto e programmare la vita. I tre corsi di esercizi spirituali per loro sono sempre più partecipati. Certo il vedere adolescenti e giovani, seriamente curvi sulla parola di Dio, in silenzio e in preghiera. è decisamente incoraggiante.
Il tempo del cenacolo, con la «route-festa» di Pentecoste. È una esperienza di incontro, di itineranza. di scambio, di testimonianza e di richiamo anche per i giovani un po' saltuari nei gruppi parrocchiali.
Il tempo della «diaspora». Parola un po' difficile? Spieghiamo subito. Diaspora vuol dire dispersione. fenomeno che si verifica nella stagione estiva. Per gli adulti è sinonimo di distrazione e di distensione, verso i monti o il mare. Per i giovani vuol dire anche «campi scuola». Pure la stagione della diaspora è tempo per arricchirsi: di amicizie, di riflessione, di scambio, di preghiera... di Dio. È risaputo infatti che non pochi cammini di fede, negli anni verdi dell'adolescenza, prendono il via da un «campo». Dove, nella amicizia e nel dialogo, spunta la voglia di andare oltre per liberare l'età più sognante dal pantano dell'indifferenza.
Il cammino, poi, viene incoraggiato e arricchito della scuola di preghiera, appuntamento gioioso e tonificante alla sorgente dell'acqua viva della parola, incontro di una Chiesa giovane e aperta alla speranza, dove i giovani sono capaci di sorridere e di dialogare. Non è poco.
Questo è il nostro tratto di strada. Lo sanno tutti i sacerdoti? Lo sanno tutti gli animatori? Lo sanno tutti i giovani della nostra diocesi? Molti certamente sì. Tutti certamente no. C'è ancora molto da fare.
La fatica di andare oltre
Non sono poche le difficoltà di stare al passo con i giovani. Sono note a tutti. Talora c'è un passo slanciato. sicuro. È il momento in cui essi chiedono di più; non si accontentano di quanto si fa. Talora è un passo stanco. Guardando indietro o altrove. Sono in balìa della crisi, personale o di gruppo. Talora sono incoraggianti, sembrano aver capito il senso di una vita affascinata da Cristo; e tal'altra si defilano, ammaliati dalle solite sirene. Insomma stare al fianco dei giovani, per dare una mano nei passaggi delicati per andare oltre, sul sentiero giusto, è arduo. Anche se ne vale la pena.
Vorrei accennare a qualcuno di questi passaggi delicati. Tralascio ovviamente i venti fuorvianti della cultura, i condizionamenti... Di questi sono pieni libri e giornali.
La prima fatica, con i giovanissimi e giovani, consiste nell'andare oltre una visione frammentaria della vita cristiana. «Io, mi dicono sovente degli animatori, affronto argomenti che interessano il gruppo. Chiedo ai ragazzi quello che vogliono». E gli interessi degli adolescenti sono arcinoti: sono legati alla loro età, o all'attualità televisiva. Sono problemi certo che non si possono eludere: l'amicizia, la sessualità, la droga, la pace e via di seguito. Questa attenzione è saggia. Ma quando mai un adolescente si fa una visione completa, anche se essenziale, di Gesù Cristo, della Chiesa, dell'uomo? Se Gesù si fosse accontentato di rispondere al bisogno e agli interessi della gente del suo tempo, avrebbe dovuto semplicemente fare il «moltiplicatore» di pani e di pesci. Ma Gesù è andato oltre, annunciando il Vangelo del Regno, parlando del pane di vita e accettando anche la reazione negativa di coloro che si defilavano (Gv 6).
Un'altra difficoltà riguarda soprattutto gli animatori, ed è quella di andare oltre l'occasionalità del servizio. Manca sovente la consapevolezza che fare l'animatore e il catechista è un vero «ministero» nella comunità cristiana. Fare l'esperienza di un certo protagonismo all'oratorio, in parrocchia, talvolta è persino gratificante. La gente in fondo guarda con simpatia un giovane che si dà da fare per gli altri.
Ma il ministero dell'animazione è qualcosa di più di un servizio occasionale. L'animatore è un autentico testimone di Gesù: l'ha conosciuto, lo conosce attraverso una formazione personale seria, provata, soprattutto attraverso il sacrificio; ha un amore sincero per la comunità, non solo parrocchiale ma per la Chiesa: ne ha capito il valore, è capace di comunione con il parroco, di collaborazione con tutti; ha ricevuto un mandato da espletare per un certo tempo (almeno due anni) e da assumere come vera missione che la comunità riconosce come servizio educativo accanto ai ragazzi o agli adolescenti; è capace di una proposta pedagogica incisiva e sapiente, sia a livello personale e sia a livello di gruppo.
Una terza difficoltà, riguardante soprattutto le piccole parrocchie, è quella di costituire un vero gruppo e di aprirsi alla collaborazione zonale. Si usa dire che l'arroccamento parrocchialistico sia un atteggiamento degli adulti. Ed è vero. Ma tale chiusura non contagia forse anche un po' i giovani? Addirittura nell'ambito della parrocchia, il gruppo giovanile rischia l'isolamento. Si nota che in talune comunità l'intesa fra i giovani e adulti risulta difficile persino nella partecipazione all'Eucaristia: ciascuno ha il proprio linguaggio, i propri canti, i propri strumenti. La Messa non è invece il massimo di testimonianza della comunione e della partecipazione di tutti?
Insomma la difficoltà è proprio questa: «andare oltre il gruppo» per scoprire la comunità; «andare oltre la parrocchia» per scoprire la Chiesa particolare; «andare oltre la Chiesa particolare» per scoprire la mondialità, la missionarietà.
Le quattro velocità della pastorale giovanile
Usiamo una parola grossa: appunto, pastorale giovanile. Il senso letterale indica l'attività del pastore, impegnano con i giovani. Ma in realtà c'è un senso ben più pregnante: che è l'impegno di ogni cristiano, cresimato, a diventare testimone di Gesù buon pastore, unico salvatore del mondo. Vivere «attivamente», «concretamente» la cresima nell'ambito di una comunità cristiana. significa avere il coraggio, con la fortezza dello Spirito, di dire al Signore: «Ci sto a darti la mia mente, il mio cuore e le mie mani per costruire, da protagonista, la tua Chiesa, per irradiare il tuo Vangelo di salvezza e di speranza». Allora sulla strada della pastorale giovanile ci siamo tutti: giovani, cresimati, animatori, catechisti, genitori, religiosi/e e sacerdoti. Ma per camminare con i giovani ci vogliono quattro velocità.
Farsi compagni di viaggio «da amici»
L'amicizia significa avere lo sguardo che sa guardare con simpatia, senza pregiudizi, sospetti, paure. Non è solo un valore da vivere nell'ambito di un gruppo, di una comunità; ma con i compagni di scuola. con i colleghi di lavoro, con i cosiddetti lontani, con i tanti giovani che vivono senza sapere perché non sanno andare oltre i miraggi da piccolo cabotaggio, come lo studio, il lavoro, il denaro, la moto, la discoteca.
L'amicizia è il primo annuncio della pastorale giovanile: è il volto pasquale di chi ha incontrato seriamente Gesù. Che cosa dunque deve fare innanzitutto un sacerdote, un educatore, un catechista, un animatore, un giovane che ogni domenica incontra il Signore Gesù? Offrire un'amicizia gioiosa, che scaturisca come acqua viva da una sorgente: Gesù.
Dare risposte alle domande che vengono dall'età interrogativa dell'adolescenza
Le domande talora sono chiare, persino provocatorie; talvolta sono implicite, confuse, da interpretare. Il più delle volte abortiscono dentro. Si sa; la cultura del nostro tempo non favorisce la domanda; anzi non la vuole. Va solo alla caccia di bisogni superficiali; li esaspera artificialmente e induce a soddisfarli. E una cultura delle risposte e dei bisogni da soddisfare.
Quando un giovane comincia a pensare con la propria testa, entra in conflitto con le risposte insulse e sovente banali della mentalità egemone. «Sono venuto alla scuola di preghiera e poi sono andato in discoteca. Non ce l'ho fatta a continuare. Nessuno me l'ha detto; ma io ho dovuto scegliere. Sono due cose diverse: la scuola di preghiera mi fa entrare in me stesso; la discoteca mi fa guardare fuori» (dalla lettera di un giovane).
La pastorale giovanile deve aiutare a porre domande; deve dare delle risposte sia a livello personale e sia di gruppo. Anzi, proposte di riflessione e di dialogo sui grandi temi di attualità sono necessarie per coinvolgere, soprattutto i giovani presenti saltuariamente nei gruppi.
Occorre fantasia e creatività per chiamare, coinvolgere i lontani: occorre valorizzare momenti particolari di vita ordinaria per far sentire ai giovani simpatia. amicizia e il bisogno di un salto di qualità verso una partecipazione più assidua.
Fare dei cammini permanenti per una fede adulta
Ed è la terza velocità. Quando un gruppo è già abituato a ritrovarsi all'oratorio, in comunità, ai campi scuola, è urgente proporre una formazione più esigente e metodica. Si tratta del nerbo della vita parrocchiale.
Non è sufficiente che tali giovani ci siano e facciano qualcosa. Anche Gesù dedica ai discepoli scelti tra la folla una cura particolare: questi entrano nel suo modo di pensare, nei segreti del suo progetto, sino a far esperienza del suo mistero di morte e di risurrezione.
I giovani assidui hanno bisogno di farsi una personalità robusta, motivata, missionaria: capace di partecipare e di far partecipare; disposta a pagare di persona in tempo, in sacrificio, in dedizione; diventando punti di riferimento e testimoni convincenti anche tra gli amici e gli adulti che la pensano diversamente.
Far conoscere e sperimentare la direzione spirituale
La quarta velocità è la sintonia con il Signore attraverso l'aiuto di una guida spirituale. Molti giovani ormai conoscono tale esperienza; altri la cercano; molti la ignorano. Altri ancora sono incuriositi quando si accenna a questo tipo di aiuto spirituale. Anche non pochi sacerdoti e religiosi/e sono disposti a farsi guide, compagni di cammino per un discernimento più puntuale e più esigente.
La direzione spirituale è una amicizia triangolare tra un giovane, l'educatore e lo Spirito Santo. L'avvio è talora un po' timido: «Senti. dice il giovane al suo prete. mi dai una mano; sono in crisi». Dalla prima domanda si comincia un confronto sempre più in profondità: dai problemi concreti dell'adolescenza viene spontaneo il rimando al Vangelo; si impara a conoscere più seriamente Gesù, se stessi, il proprio futuro, si apprende l'arte non facile di pregare. Indubbiamente il cammino verso la fede matura a una vita spirituale più sintonizzata sulla volontà di Dio si fa più spedito. È la quarta velocità. Naturalmente occorre non dimenticare mai l'obiettivo di ogni pastorale giovanile: «Tener fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 3,1).
Al nocciolo del progetto «Vieni e vedi»
Diciamo subito in che cosa consiste. Poi sarà bene mettere a fuoco gli obiettivi.
Intanto va notato che tale proposta, per un verso, non comporta alcunché di nuovo; non aggiunge molto a quanto già si fa nelle nostre parrocchie e a livello di Chiesa particolare. Per un altro verso si prefigge un vero salto di qualità nel lavoro di pastorale giovanile.
In concreto verrà proposto un itinerario a livello diocesano: secondo una
metodologia che raccorda il momento propositivo unitario mensile e gli incontri dei gruppi a livello parrocchiale o interparrocchiale.
I contenuti sono tali da aderire all'esperienza di fede che l'adolescente già vive soprattutto a partire dalla cresima. Questo sacramento infatti può essere considerato un crocevia della pastorale, anzitutto dei giovanissimi e dei giovani.
Dalla cresima essi possono sviluppare un cammino atto a stimolare la presa di coscienza della testimonianza cristiana, della missione e della ministerialità. Tre prospettive dunque diverse e complementari. Non sono la stessa cosa. La testimonianza è l'esempio di una vita coerente. La missione è l'impegno a diffondere il Vangelo con la sapienza e il coraggio di una parola e di una vita controcorrente; il ministero è l'assunzione di uno specifico servizio. Come ad esempio fare l'animatore, il catechista.
La cresima è pure un'occasione singolarissima in cui tutta la comunità rende testimonianza del Risorto. Anche se purtroppo l'assemblea della cresima è costituita sovente da cristiani saltuari e lontani, senza che ci sia quel nerbo di comunità capace di creare un clima di fede accogliente, gioioso e solidale. La cresima è talora un confluire di genitori, un po' costretti e un po' distratti, a condividere l'ultima festa religiosa dei figli.
Vogliamo allora restituire alla cresima il significato più vero di crocevia di una fede che volge verso l'età adulta, con la partecipazione vera dei genitori, degli educatori e della comunità cristiana?
L'itinerario che faremo insieme intende aiutare e stimolare l'approfondimento di alcuni contenuti essenziali dell'esperienza cristiana; quelli che di fatto vengono già in qualche modo vissuti dai giovani.
Ciò che sarà importante è la continuità nella catechesi che diventa preghiera e si trasforma in testimonianza di vita.
Non solo: il cammino, che prevediamo biennale, al primo anno nel momento propositivo unitario, metterà a fuoco il rapporto «annuncio-preghiera»; al secondo anno svilupperà invece il rapporto «preghiera e impegno nel sociale».
Ogni incontro mensile pertanto prevede due momenti: nel primo (mezz'ora circa) ci sarà la proposta «kerigmatica» di un tema; nel secondo momento si farà esperienza di preghiera sullo stesso contenuto. Alla conclusione di ogni incontro un piccolo sussidio, distribuito a tutti, e in particolare agli animatori, servirà per l'approfondimento parrocchiale in due incontri. Il momento unitario mensile prevede una proposta del tema a due livelli: giovanissimi e giovani.
Quali obiettivi ci proponiamo con questo progetto?
Anzitutto intendiamo raccordare la proposta diocesana in cui si fa una seria esperienza di Chiesa giovane con il cammino più faticoso dei gruppi parrocchiali. Il condividere la fatica e la gioia di procedere insieme nella stessa direzione da parte di giovani della nostra città e di piccole comunità può risultare stimolante e incoraggiante. Non è poco riscoprire la Chiesa particolare come scuola permanente di fede. Inoltre, con questa proposta, vogliamo superare la frammentarietà degli incontri puntando su un cammino pregressivo.
Da mettere nello zaino
In quello del pellegrino russo c'era poca roba. l'essenziale. «I miei beni terrestri sono una bisaccia sul dorso con un po' di pane secco e, nella tasca interna del camiciotto, la sacra Bibbia. Null'altro» (Racconti di un pellegrino russo, I).
Io suggerisco di mettere nello zaino un'agenda che verrà consegnata a ciascuno nel primo incontro.
Vi saranno segnati tutti gli appuntamenti di pastorale giovanile a livello diocesano: quelli mensili di scuola di preghiera, i tre corsi di esercizi spirituali attorno a capodanno; le scuole animatori; la route-festa di Pentecoste.
Sulla stessa agenda potrà essere utilmente fissato l'indirizzo o il telefono degli amici che contano nella vita di ciascuno. Ad esempio anche quello dell'amico «padre spirituale».
Ma non meno potrà essere precisato il tempo degli impegni di volontariato, di servizio, dell'attività di animazione nel gruppo o nella comunità.
Nello zaino ci sta pure un «libro». Quello che va bene in prima liceo scientifico, come in quinta geometri, come all'università. in ufficio o in fabbrica. Va bene sempre: il libro della parola di Dio. Una parola di vita per ogni stagione della vita. Essa sarà il punto di riferimento di ogni nostro incontro mensile. Perché non potrebbe diventarlo ogni giorno per la nostra preghiera? La parola di Dio: è in effetti Dio che ci parla, ci illumina, ci libera, ci dice la verità, ci guarda, ci prende per mano, ci ama.
Nello zaino c'è il «pane». Il pane del cammino. Questo è il segno più sconcertante dell'amore di Dio. Gesù ha scelto il pane per rinnovare il miracolo della sua permanenza con noi, della sua corroborante compagnia nella solitudine del pellegrino uomo.
Per questo mi viene spontanea una proposta un po' inconsueta. Perché non partecipare alla Eucaristia. lungo la settimina, almeno una volta? O se questo risulta proprio impossibile, perché non incontrare il Signore realmente presente fra le case di ogni comunità cristiana? L'Eucaristia della domenica è la celebrazione per eccellenza del Risorto; appunto nel giorno del Signore, la festa più importane di ogni comunità, chiamata a spezzare il pane per condividere e per diventare lievito di un mondo nuovo. L'Eucaristia, lungo la settimana, sempre celebrazione pasquale, richiama la presenza viva di Gesù risorto come compagno di viaggio, a spiegare la parola e ridonare vigore, come nella commovente avventura dei due discepoli di Emmaus. È una proposta. Nello zaino anche il pane.
Una sapiente pedagogia della proposta
È urgente, nella pastorale giovanile (e forse non soltanto), una sapiente attenzione alla pedagogia della proposta.
È risaputo quanto di intelligenza, di fantasia. di creatività, di tempo e di denaro sta dietro uno spot televisivo: per studiare il colore, la musica, la parola, la sfumatura, il messaggio.
Tutto per dire in pochi secondi che un certo prodotto è il migliore, ed è quello che risponde al bisogno diffuso. Non conta talvolta la qualità del prodotto, ma la qualità della comunicazione.
Fatta salva la differenza, va riconosciuto che anche nelle iniziative pastorali, i valori così mortificati nella babele dei media, hanno bisogno di una più attenta pedagogia della proposta: proprio per renderli più significativi, più incisivi.
Non è questo un desiderio di tutti?
Ben sapendo che le proposte pastorali non hanno il supporto di una domanda forte. di un bisogno diffuso, ma semmai di una nostalgia talora soffocata. di un bisogno tenue, che fa capolino ogni tanto nei discorsi seri.
Mi pare di intravvedere tre forme in questa pedagogia della proposta. Anzitutto è importante «accogliere con simpatia» la proposta: da parte dei sacerdoti, degli operatori pastorali, di tutti coloro che sono, per dono di Dio e per impegno, educatori.
Accogliere significa «esserne convinti», «saper capire» che certe iniziative sono nuove, ma necessarie per crescere, «saper inserire» la proposta di una Chiesa diocesana nel programma pastorale della parrocchia. Il legame fra comunità cristiana e Chiesa particolare è fisiologico. Se questo legame è vitale, Chiesa e parrocchia si arricchiscono a vicenda; godono di buona salute.
In secondo luogo si tratta di «fare la proposta pastorale» in un contesto comunitario.
Ciò che riguarda o interessa i giovani non riguarda soltanto i giovani; ciò che riguarda la famiglia non interessa solo la famiglia; così dicasi delle vocazioni, della missione, dei problemi sociali... Tutta la comunità ha bisogno non solo di un «arido notiziario di fine messa», ma necessita di capire «perché» vengono fatte precise proposte; e, non meno. ha bisogno di essere educata a partecipare nella preghiera. Talora sento espressioni come questa: «Nella mia parrocchia non ci sono famiglie da inviare alla scuola animatori. non ci sono giovani disposti agli esercizi spirituali». Ciò può essere vero. Ma è ancora più importante sottolineare queste proposte per invitare la gente a pregare, per tutto quanto accade in una Chiesa diocesana.
La preghiera aiuta a prendere coscienza di una appartenenza ecclesiale ben più larga di quella parrocchiale; alimenta la comunione e la consapevolezza che la partecipazione spirituale è importante quanto la stessa partecipazione fisica.
Ed infine la proposta va fatta «nel gruppo o a livello personale» cercando di spiegare di che cosa si tratta. Talora occorre smontare pregiudizi indotti; talora bisogna illuminare le motivazioni che giustificano la bontà di certe esperienze (scuola di preghiera, esercizi spirituali, scuola animatori, convegno, direzione spirituale...). E qui ci vuole tutta la sapienza pastorale di un educatore per trovare le strade del convincimento. Niente è scontato; e nessun giovane sente di dover partecipare se non è aiutato a cogliere il valore formativo, l'importanza di certe esperienze per la propria vita.
Non tutto va proposto a tutti. In genere le iniziative di pastorale giovanile vanno spiegate, illustrate, motivate, discusse in un gruppo. Ma non meno vanno fatte a livello personale.
Faccio un esempio. C'è un giovane che prega volentieri, è particolarmente disponibile, ha una chiara pulizia interiore: perché non proporre un cammino più puntuale di discernimento e di ricerca vocazionale? Mi pare che non sia fuori luogo invitarlo a percorrere un itinerario «spirituale» mensile nei gruppi in seminario.
E allora, «vieni e vedi»
L'invito non è mio. È di Filippo, il discepolo amico che ha incontrato Gesù, e non sa tenere solo per sé la gratificazione interiore di quell'esperienza. La vuole partecipare a Natanaele, che forse gli era amico, o probabilmente solo un compagno di vita, uno dei tanti.
Costui aveva un sacco di pregiudizi nei confronti di Nazaret, e quindi anche di Gesù: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?» (Gv 1, 46). Filippo non disarma e fa la proposta «Vieni e vedi».
L'esperienza cristiana non è qualcosa da tenere per sé, da censurare nei discorsi in famiglia, con gli amici, con i compagni di lavoro o di scuola. Non è solo qualcosa da spiegare come una lezione durante gli incontri di gruppo. Non è neppure quella comunicazione che esce tanto spontanea nel clima «diverso» di un corso di esercizi spirituali o di un campo scuola.
Il «Vieni e vedi» è la notizia antica e nuova che passa di bocca in bocca, di cuore in cuore: dalla persona che ha seriamente gioito e conosciuto Gesù di Nazaret, l'unica persona da cui dipende il destino di ogni creatura umana; l'unica «via, verità e vita» in cui devono confluire le tante aspirazioni religiose dell'umanità se non vogliono restare sentieri interrotti.
Allora il «Vieni e vedi» sta sulla bocca di ogni giovane che ha seriamente ricevuto la cresima, ed ha capito la grande consegna di portare il suo mattone nel cantiere aperto del Regno.
«Vieni e vedi» lo può dire al compagno di scuola, agli amici del quartiere, del paese, al collega di lavoro, per invitare a partecipare... Lo può dire con le parole, con lo stile gioioso di chi è sempre disposto a dare una mano agli altri, con la disinvoltura di chi non teme la battuta o la presa in giro, ma sa rendere ragione della speranza che porta dentro; con lo spirito di iniziativa di chi sa che il comunicare all'amico il senso della vita è un far vivere.
Il «Vieni e vedi» è la parola giusta di un giovane che ha scelto di mettersi al servizio di un gruppo di ragazzi o di giovanissimi; all'oratorio o nei luoghi del volontariato. Quanti giovani mi hanno già comunicato la gioia di farsi compagni di viaggio su questa salita impervia dell'animazione, della formazione accanto ai ragazzi, talora figli di nessuno, senza riferimento alcuno.
«Vieni e vedi» sta sulla bocca dei sacerdoti, dei religiosi/e, di educatori nei confronti dei giovani che girano volentieri tra il sagrato e l'oratorio, ma talora con l'orecchio distratto da altre sirene; ma non meno nei confronti di altri giovani abitualmente assenti o lontani dalla vita della comunità.
In fondo tanti giovani intuiscono che quel prete, incrociato solo sulla strada, non è una persona qualsiasi; ma questo lo devono percepire dal volto: e perché no, da un sorridente «Perché non vieni?».
Ovviamente «Vieni e vedi» ha una forza persuasiva quando nel cuore c'è una immagine viva: quella di Gesù di Nazaret; quando nello sguardo si riflette una grande capacità di amare: appunto quel ragazzo, quel giovane, quell'amico a cui si vorrebbe comunicare la notizia più sconvolgente del mondo.
Allora dico anch'io a tutti i giovani, a tutti gli animatori e a tutti i sacerdoti della nostra carissima Chiesa monregalese: «Vieni e vedi». Incontriamoci per incontrare Lui: Gesù di Nazaret. Ne vale la pena.
Con amicizia.
Padre Enrico vescovo