Commissione CEI
(1996-04-10)
Lo sport è una passione straordinaria e affascinante per la carica di umanità che contiene e per la sua essenziale gratuità. Ma, anche, una realtà continuamente attraversata da dinamiche che la insidiano.
Lo sport, un fenomeno tipico del nostro tempo
Lo sport appare oggi come fenomeno a presenza diffusa nella società. Esso registra una crescita estensiva e, soprattutto, intensiva: non solo per la massiccia partecipazione quantitativa, ma ancor più per la risonanza sociale e culturale. Occupa tempi e spazi di assoluto primato nei mezzi di comunicazione sociale; stabilisce processi di identificazione, fino alla degenerazione di certe tifoserie intemperanti, in un mondo dalle appartenenze indebolite. Attrae e coagula interessi economici vastissimi, soprattutto nelle forme esasperate di professionismo, fino alla competizione-duello, alla mistificazione da doping.
La «tipicità» del fatto sportivo del nostro tempo non riposa soltanto sul dato numerico; piuttosto - e propriamente - sulla capacità di lasciar trasparire, e a volte di far esplodere, linee di tendenza e campi di tensione presenti nella storia contemporanea, anche se spesso allo stato latente. Nello sport si profilano molti tratti caratteristici della modernità: l'esaltazione della corporeità, il valore dell'immagine, il carico della disciplina come rigida ascesi laica, un nuovo rapporto tra lavoro e tempo libero, la convinzione di una illimitata possibilità di progresso, il predominio del soggetto, la logica di mercato, il gioco di squadra come piattaforma per l'esaltazione delle doti individuali (il campione) e specchio del modello aziendalistico.
Suggestivo, al riguardo, il rilievo di Mc Luhan: «Vedete come gioca una generazione oggi e forse vi troverete il codice della sua cultura».
Una realtà multiforme e complessa
Lo sport costituisce un evento simbolico variegato. Lo è nella sua realtà articolata: non esiste lo sport, ma esistono gli sport, e più precisamente secondo i diversi profili, contesti, esperienze personali e sociali. Lo è per la diffusa difficoltà a determinare i valori umani e i riferimenti etici che vi sono implicati. Lo è per l'obiettiva complessità di elaborare una concezione, anzi una teoria dello sport quale fatto di cultura, che ne rilevi lo spessore di razionalità, senza consegnarlo alle esplosioni di un vitalismo incontrollato.
Il vissuto ecclesiale
Lo sport è di casa nelle nostre realtà ecclesiali, a cominciare dalla parrocchia e da quella istituzione così preziosa che è l'oratorio. La rilevanza pastorale e sociale di questo dato non può essere sbrigativamente sottostimata come attività di second'ordine, come una parentesi dagli impegni importanti della vita, quali lo studio o il lavoro, come un semplice riempitivo del tempo libero, o addirittura come una forma di concorrenza ad altre proposte formative o caritative.
Spesso, si è trattato di germinazioni spontanee, di coinvolgimento nella vitalità dei mondi giovanili, di adesione a domande e opportunità concrete. A volte, forse, è mancata una riflessione adeguata sotto il profilo della pedagogia della fede: ora non si è avvertita la problematicità e l'ambiguità della pratica sportiva; ora la valenza educativa è stata colta più come occasione di salvaguardia («dai pericoli della strada, dalle cattive compagnie»...) e di contatto («si gioca insieme, e poi si prega anche insieme»...) che non come aiuto alla crescita integrale della persona.
Ma quale impegno, quale dedizione, quale passione educativa in tanti giovani preti, in tanti operatori pastorali! Quanto bene ricreativo ed educativo concreto nelle associazioni sportive operanti nelle nostre realtà ecclesiali! Un fatto, questo, che non può essere superficialmente misconosciuto, né facilmente svalutato.
Non si vuole negare l'insorgere, a volte, di una qualche tentazione strumentale, come se lo sport fosse solo un mezzo di attrazione dei ragazzi e dei giovani a partecipare alla vita della Chiesa; ma se ne respinge decisamente ogni generalizzazione ed enfatizzazione. In realtà si deve riconoscere che con il gioco e lo sport la Chiesa si è inserita tra i ragazzi e i giovani in modo semplice ed efficace, nel rispetto della loro crescita e nella valorizzazione del loro gioioso incontrarsi.
L'attenzione della Chiesa
Alla cordiale spontaneità della pratica pastorale e ad una certa debolezza della riflessione teologica fa riscontro l'attenzione notevole e significativa, distesa nel tempo e sempre più approfondita nella dottrina, del Magistero della Chiesa.
Il messaggio cristiano, infatti, tocca la vita dell'uomo in tutte le sue espressioni significative: in particolare, è attento ai fenomeni culturalmente rilevanti della persona e della società. L'azione ecclesiale perciò si fa attenta a tutto ciò che acquista valore e incidenza nella cultura e nel vissuto di un'epoca. Lo rileva il Concilio Vaticano II nella «Dichiarazione sull'educazione cristiana», non senza un esplicito riferimento al fenomeno sportivo: «La Chiesa valorizza e tende a penetrare del suo spirito e a elevare gli altri mezzi, che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che sono particolarmente adatti al perfezionamento morale e alla formazione umana, quali gli strumenti della comunicazione sociale, le molteplici società a carattere culturale e sportivo, le associazioni giovanili e in primo luogo le scuole».
Come diceva Pio XII: «Lontano dal vero è tanto chi rimprovera alla Chiesa di non curarsi dei corpi e della cultura fisica, quanto chi vorrebbe restringere la sua competenza e la sua azione alle cose 'puramente religiosÈ, 'esclusivamente spirituali'. Come se il corpo, creatura di Dio al pari dell'anima, alla quale è unito, non dovesse avere la sua parte nell'omaggio da rendere al Creatore! 'Sia che mangiate - scriveva l'Apostolo delle genti ai Corinti - sia che beviate, sia che facciate altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio'».
Se la Chiesa si interessa di sport, lo fa in forza della sua missione specifica: quella di annunciare all'uomo il Vangelo che libera e salva (cf Mc 16,15).
È ancora Pio XII a ribadire che «esistono delle virtù naturali e cristiane senza le quali lo sport non potrebbe svilupparsi, ma decadrebbe inevitabilmente in un materialismo chiuso, fine a se stesso; che i principi e le norme cristiane applicate allo sport gli schiudono più elevati orizzonti, illuminati perfino di raggi di mistica luce».
A sua volta Paolo VI conferma: «La Chiesa, che ha la missione di accogliere ed elevare tutto ciò che nella natura umana vi è di bello, armonioso, equilibrato e forte, non può che approvare lo sport, tanto più se l'impegno delle forze fisiche si accompagna all'impiego delle energie morali, che possono fare di esso una magnifica forza spirituale...».
Giovanni Paolo II afferma: «La Chiesa stima e rispetta lo sport che è realmente degno della persona umana. Esso è tale quando favorisce lo sviluppo ordinato e armonioso del corpo al servizio dello spirito, quando costituisce una competizione intelligente e formativa che stimoli l'interesse e l'entusiasmo, e quando resta sorgente di piacevole distensione».
L'interesse pastorale
Sono molteplici e diverse le motivazioni che richiedono e spiegano l'attenzione pastorale della Chiesa al fenomeno sportivo. Ne ricordiamo alcune, in riferimento ai valori umani, sociali e culturali.
- Anzitutto il gioco e lo sport sono attività profondamente umane, che rivelano quella dimensione ludica e quella cultura umanizzante che riscattano la persona da una impostazione consumistica e utilitaristica della vita. Inoltre hanno un valore pedagogico e costituiscono una via immediata di educazione integrale della persona. In questa prospettiva, appaiono rilevanti sia l'apporto positivo che la pratica sportiva è in grado di dare, sia i danni che una sua erronea impostazione può causare.
- Oggi, inoltre, è notevolmente aumentato l'impatto sociale dei fenomeni sportivi, con ampi riflessi economici, di mentalità e di costume. A questo riguardo, acquistano immediato rilievo le strutture sportive, i mezzi di comunicazione che ne danno risonanza, gli interessi commerciali che vi si coagulano, gli stili e i modelli di vita e, quindi, i percorsi pedagogici che vi predominano.
- Lo sport, infine, costituisce una delle matrici particolarmente significative della mentalità e del costume del nostro tempo. La risonanza assicurata dagli strumenti della comunicazione sociale fa sì che il mondo dello sport non sia affatto un settore marginale: né dal punto di vista numerico, né dal punto di vista qualitativo, cioè della proposta dei modelli di comportamento, dei valori o disvalori in gioco, delle figure di riferimento. È senza dubbio notevole l'incidenza culturale che il fenomeno sportivo esercita, ad esempio, sulla concezione del corpo e dell'agonismo, del divertimento e della festa, della vittoria o della sconfitta. Si può comprendere l'invito rivolto da Giovanni Paolo II agli atleti: «Voi atleti siete spesso negli occhi del pubblico. Perciò avete una responsabilità soprattutto nei confronti dei giovani e dei bambini che vi guardano come modelli».
- La complessa realtà dello sport può essere pastoralmente considerata, per analogia, uno degli «areopaghi moderni» che, sullo scorcio del secondo millennio, il Papa addita alla Chiesa e al suo insopprimibile slancio per la nuova evangelizzazione. Siamo dunque nella prospettiva di una Chiesa missionaria, che vuole essere sempre più coraggiosamente impegnata a far risuonare la parola del Vangelo in tutti i luoghi significativi e quotidiani del vissuto degli uomini.
Questi approfondimenti della attenzione pastorale della Chiesa aiutano a superare le difficoltà sopra ricordate. In particolare, il pericolo che si tenda a una presenza acritica della Chiesa, una presenza cioè che si limiti a giustapporre momenti di «cura spirituale», senza cogliere l'incidenza profonda del fenomeno sportivo nei singoli e nel costume della società. Non si tratta, infatti, di «battezzare» o di catturare lo sport, ma di condurre alla sua piena verità la pratica sportiva e di aiutare gli uomini che la vivono nel loro cammino di salvezza.
Appare in tal modo la connessione nativa e originale tra la realtà dello sport e il compito di educazione, di evangelizzazione e di costruzione della società, che è proprio dell'azione della Chiesa.
L'umanesimo cristiano non può che guardare con grande favore a quanto di positivo emerge nello sport: soprattutto una singolare attenzione alla persona, ai suoi valori di libertà, intelligenza, volontà, corporeità, e alla sua essenziale apertura agli altri e alla società. Lo stesso umanesimo cristiano è vigile e coraggioso nel denunciare e rifiutare quanto di ambiguo e di negativo può contagiare il mondo dello sport.
Lo sport, luogo di valori
La Chiesa si interessa di sport perché si interessa dell'uomo, perché è profondamente coinvolta nella sua vicenda e impegnata, per vocazione e missione, nella sua salvezza. Nella sua prima enciclica Giovanni Paolo Il ha scritto che l'uomo è «la prima e fondamentale via della Chiesa». Ed è con questa convinzione che si apre la Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».
Per quanto non essenziale alla vita dell'uomo e della società, lo sport tocca senz'altro aspetti che sono fondamentali per la formazione della persona, nelle sue modalità di espressione e di relazione con gli altri e con il mondo creato.
Lo sport non può essere considerato come una realtà totalizzante: non è tutto, ma va correttamente rapportato a una scala di valori quali il primato di Dio, il rispetto della persona e della vita, l'osservanza delle esigenze familiari, la promozione della solidarietà. In questo senso, lo sport non è un fine. Ma esso non è nemmeno un semplice mezzo; piuttosto, è un valore dell'uomo e della cultura, un «luogo» di umanità e civiltà, che tuttavia può risolversi in luogo di degenerazione personale e sociale.
I fattori costitutivi
Una lettura attenta del fenomeno sportivo come realtà profondamente umana permette di individuarne alcune componenti che, in misura diversa e secondo realizzazioni molteplici, si rivelano costanti e caratterizzanti. Non si tratta di tracciare la «figura ideale» dello sport, ma di mettere in luce come, proprio nelle sue componenti costitutive, la pratica sportiva racchiuda una vasta gamma di valori umani, personali e sociali. È un'ulteriore conferma dell'insostenibilità dello sport come realtà «neutrale», come realtà che possa prescindere dai valori morali. Fermiamo la nostra attenzione, in particolare, sul gioco, la festa, il corpo, l'agonismo.
Il gioco
Lo sport è storicamente, strutturalmente e, per così dire, geneticamente connesso alla dinamica del gioco. Se ne differenzia, sia pure non adeguatamente, per una maggiore dipendenza dalla organizzazione sociale, presente anche nell'antichità, dove però i giochi organizzati mantenevano una più forte analogia con il gioco «spontaneo» di singoli e gruppi. Se ne differenzia, inoltre, per una determinazione più vincolante delle forme e per una più accentuata dimensione di spettacolarità. Differenziarli non significa tuttavia contrapporre tra loro gioco e sport, perché l'anima dello sport è pur sempre il gioco.
La dimensione ludica appare perciò come fattore decisivo e quindi istanza critica per una corretta interpretazione e attuazione del fenomeno sportivo.
Se definire il gioco è molto complesso, se ne possono tuttavia individuare alcuni aspetti caratterizzanti, particolarmente sensibili ai riferimenti di valore, quali sono la gratuità e la simbolicità.
- Un aspetto rilevante, che distingue il gioco dallo sport è senz'altro la gratuità. Il gioco non ha carattere produttivo, non «serve» a nulla, ma è bello e gradito per se stesso. Il gioco e il divertimento liberano dalla costrizione del tempo e del bisogno. Nel gioco non ci si aspetta un riscontro o un tornaconto dall'esterno: si è paghi della soddisfazione di essersi espressi al meglio, di aver raggiunto un traguardo ambìto; anche di aver riportato vittoria.
- Il gioco ha un grande valore simbolico, in quanto richiama che la persona umana non è riducibile a forza di produzione e di consumo, perché sperimenta un innato bisogno di gioia e di festa, di creatività e di fantasia di ricarica interiore e di pacificante incontro con gli altri.
Tutto questo patrimonio di umanità è racchiuso nel concetto biblico di «riposo» (cf Gen 2,2; Sal 23,2), che testimonia l'orientamento dell'esistenza ad andare oltre l'immediato e il contingente. Il gioco e lo sport, se vissuti correttamente, hanno in sé la capacità simbolica di restituire l'uomo al senso profondo del vivere, di prefigurare e in qualche modo anticipare il mondo ideale, il mondo nuovo, liberato dalla schiavitù del male e della morte. Anche il gioco si struttura necessariamente in regole che vanno rispettate con rigorosità e lealtà, ma che si differenziano radicalmente dalle leggi dell'efficientismo, vero nemico della libertà di essere e di manifestare positivamente se stessi. Il gioco stimola a mettere seriamente in discussione i criteri che guidano la nostra società.
La festa
«Lo sport - diceva Giovanni Paolo Il in occasione del Giubileo Internazionale degli Sportivi - è gioia di vivere, gioco, festa, e come tale va valorizzato e forse riscattato, oggi, dagli eccessi del tecnicismo e del professionismo mediante il recupero della sua gratuità, della sua capacità di stringere vincoli di amicizia, di favorire il dialogo e l'apertura gli uni verso gli altri, come espressione della ricchezza dell'essere ben più valida ed apprezzabile dell'avere, e quindi ben al di sopra delle dure leggi della produzione e del consumo, e di ogni altra considerazione puramente utilitaristica ed edonistica della vita».
Fin dall'antichità, la pratica del gioco e dello sport è stata abbinata alla festa: lo sport produce atmosfera festosa e la festa trova nello sport un'espressione gioiosa di partecipazione e di coinvolgimento. Il divertimento, la celebrazione di un evento di interesse collettivo, il ritrovarsi insieme, il partecipare o il parteggiare in modo corretto e amichevole favoriscono le relazioni sociali ed aiutano a superare le barriere campanilistiche, locali, nazionali e razziali.
Il corpo
Presentando lo sport in dialogo con la Chiesa, Paolo VI diceva: «La Chiesa considera il corpo umano come il capolavoro della creazione nell'ordine materiale. Ma al di là dell'esame fisico e delle meraviglie che si nascondono in esso, ritorna il corpo alla sua origine, e si volge a Colui che l'animò di un 'soffio di vita', come dicono le Scritture, e ne fece la dimora e lo strumento di un'anima immortale. A questa prima dignità che il corpo trae dalla sua origine, si aggiunge agli occhi del credente quella che gli conferisce l'essere redento da Cristo e che consente a San Paolo di esclamare: 'Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?... O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!'» (1 Cor 5, 15).
L'attenzione alla corporeità manifesta in modo concreto il grande rispetto che si deve avere per il valore della vita.
Il corpo, luogo della relazione con se stessi, con l'altro e con il mondo - nonché con Dio stesso -, è esposto alla perdita del suo autentico significato. Per questo lo sport può diventare esso stesso fattore di alienazione e di schiavitù della persona; ma, all'opposto, può anche costituire un'occasione privilegiata di riscatto e promozione dell'uomo, fino a iscriversi in quel «culto spirituale» di cui parla l'apostolo Paolo: «Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rom 12,1).
L'agonismo
«L'agone fisico - diceva Pio XII - diventa quasi un'ascesi di virtù umane e cristiane; tale anzi deve diventare ed essere, per quanto sia lo sforzo richiesto, affinché l'esercizio dello sport superi se stesso, consegua uno dei suoi obiettivi morali».
L'agonismo è una componente insopprimibile della pratica sportiva. I fattori di problematicità, che esso pone alla finalità educativa e in particolare alla sensibilità cristiana, non possono essere superati con soluzioni di comodo. Così la frase spesso ripetuta «l'importante non è vincere, ma partecipare» fa torto alla verità. Il desiderio di vincere, di ottenere un risultato soddisfacente appartiene come elemento intrinseco e irrinunciabile alla pratica sportiva. È fattore di stimolo, di miglioramento e di emulazione. Ciò che deve essere escluso è che la competitività, l'agonismo e lo sforzo siano vissuti «contro» l'altro. Si deve educare a vincere non sull'altro, ma al gioco e alla prova che esso propone. Si gioca insieme, non contro, in una competizione leale e serena.
È di grande utilità, in questo contesto, orientare educativamente agli sport di gruppo, al gioco di squadra: educare cioè alla vittoria corale, non frutto di protagonismo individuale, ma di altruismo solidale.
(da «Sport e vita cristiana». Nota pastorale della Commissione ecclesiale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport).