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    Tutto il resto (dei giovani) /4


    Monica Gallo

    (NPG 2007-04-44)


    I commenti sulla scarsa educazione e il poco senso civico delle nuove generazioni si sprecano, anche passeggiando per strada o viaggiando in autobus, quando il comportamento discutibile di qualche ragazzo suscita l’indignazione dei più maturi cittadini, e l’effetto a cascata è un’apologia dei tempi andati. Tutto vero o luogo comune?

    Giovani tra legalità e trasgressione

    I dati dell’inchiesta Tutto il resto ci dicono che i giovani danno risposte contrastanti e non sempre scontate. Si prendano in considerazione alcune percentuali. È innegabile una propensione atteggiamenti criticabili: non sono pochi i ragazzi che dichiarano di giudicare non riprovevole l’utilizzare mezzi pubblici senza biglietto (50%), comprare o utilizzare materiale pirata (76%) o avere rapporti sessuali a pagamento (30%). Non sono trascurabili nemmeno coloro che sarebbero disposti a lavorare in nero pur di guadagnare di più, o che pensano non sia una tragedia mettersi in mutua se non si è ammalati. Fa pensare anche il fatto che le percentuali più alte di questo tipo di dichiarazioni provengano da giovani adolescenti che frequentano i centri di formazione professionale. Ma che cosa ci dicono davvero questi dati?
    Non è pensabile che stiamo allevando una miriade di serpi in seno, certamente. Probabilmente alcune risposte sono date soprattutto da un bisogno di trasgressione tipico dell’età in questione.
    Detto questo, non si può sottovalutare una reale tendenza all’illegalità. Non è semplice capire da che cosa dipenda, senza ignorare che alcuni atteggiamenti sono ascrivibili prima di tutto agli adulti, da cui i giovani prendono esempio. C’è un’indole tutta italiana che sembra promuovere l’idea che vinca sempre il più furbo, e l’importante non è tanto fare la cosa giusta, quanto il riuscire a raggirare la regola. Anche le personalità della politica degli ultimi anni sembrano portatori di questo stile, più che dei valori della convivenza e del comune rispetto delle regole. Evadere le tasse, non pagare il biglietto sull’autobus, mettersi in mutua senza motivo diventano quasi una legittima rivendicazione, un modo per protestare contro l’eccessiva tassazione, il mal servizio dei mezzi pubblici, la difficoltà ad avere un giorno di permesso.
    Si può leggere in modo diverso la risposta di coloro che dichiarano di essere disposti a fare un lavoro in nero per avere più soldi a disposizione, ma non a svolgere un’attività illegale. Tale dato mette in evidenza come il lavoro irregolare, nell’immaginario dei giovani, non è più percepito come un’azione contraria alla legge: esso rientra nella normalità, probabilmente a causa delle esperienze lavorative precedenti o dalle opportunità che offre il contesto.
    La stessa spiegazione può essere data all’alta percentuale di persone che abitualmente scaricano illegalmente musica e film. La pirateria non è percepita come un atto grave, probabilmente sollecitato dalle quasi inesistenti probabilità di venire scoperti e puniti per questo.

    Educare alla legalità

    Questo pone almeno due questioni: che cosa è legale e chi educa alla legalità?
    Per quanto riguarda il primo aspetto, la risposta non è di facile soluzione e non è disgiunta dal problema della giustizia. Ogni ordinamento ha cercato di dare una risposta con un sistema di leggi e norme che regolassero i rapporti civili in modo da garantire pace e sicurezza. Non esiste una soluzione unanime, e nemmeno si può dire di essere riusciti a rendere la giustizia a portata di tutti. Il rispetto delle leggi, quindi, non sempre è la strada giusta ed è anche dovere del cittadino ribellarsi a norme che violino diritti fondamentali. Il processo che ha portato all’istituzione dell’obiezione di coscienza ha seguito questo corso: centinaia sono stati gli obiettori che non hanno adempiuto all’obbligo del servizio militare, portando così al cambiamento di una norma sbagliata.
    La pretesa, però, di chi evade le tasse, rivendicando la non legittimità di alcune di esse, non risponde allo stesso criterio: per combattere un’ingiustizia, infatti, devo essere disposto a prendermi la responsabilità di questo gesto, pagando di persona. Di che responsabilità si carica un evasore o chi non paga il canone tv? Che segnale politico dà? Che processo di cambiamento innesca?
    È questa la differenza tra ciò che diventa alibi personale e il gesto politico, che si pone davvero con coraggio e coscienza di fronte a un’ingiustizia.
    Questa difficoltà è alimentata per le nuove generazioni da un vuoto: oggi chi educa alla legalità? La scuola fa fatica a rivestire questo ruolo, e certo non emerge un esempio più costruttivo osservando i politici. Le istituzioni sono incapaci di realizzare appieno ed efficacemente il loro ruolo, di ridire il loro significato, di trasmettere un senso anche attraverso uno stile, un linguaggio, dei valori. Le conseguenze sono che si offre un’ampia giustificazione a comportamenti illegali o moralmente riprovevoli.
    Contemporaneamente c’è una tendenza alla protezione delle lobby, della propria parte, giustificato e accresciuto dall’odio per la parte avversa, spesso screditata e denigrata a prescindere e sempre a scapito dell’interesse collettivo. In quest’ottica anche il politico incarna colui che persegue solo i propri interessi e quelli della sua parte.
    E allora perché prendersi a cuore la cosa pubblica? Ci sentiamo tutti più portatori di diritti – che siamo sempre pronti a rivendicare – che di doveri.

    Due osservazioni

    Due riflessioni ulteriori: i giovani della formazione professionale e del Sud Italia.
    I primi sembrano i più propensi a commettere azioni illegali, dallo spaccio al lavoro nero. È interessante notare che il campione non può essere definito in altro modo se non dall’appartenenza scolastica: i centri di formazione professionale sono frequentati da ragazzi di diversa estrazione famigliare, nazionalità, capitale culturale e sociale. Eppure le loro risposte sono diverse da quelle di altri coetanei di istituti tecnici o licei. Perché? Se escludiamo le caratteristiche anagrafiche e sociali, quello che rimane in comune è l’ambiente in cui i giovani si trovano. Una delle spiegazioni che sembra plausibile è che alcuni ragazzi, socialmente e culturalmente più deboli, vengano più o meno spontaneamente indirizzati alla formazione professionale per concludere il proprio ciclo di studi.
    Allora si ripropone la questione del ruolo educativo della scuola e insieme dei centri di formazione, che non possono esimersi da un compito educativo, soprattutto negli anni del diritto-dovere, senza subire passivamente la presenza di questi ragazzi.
    Minore rispetto ai giovani del Nord Ovest risulta la disponibilità al lavoro irregolare e alle attività illegali tra i giovani del Sud Italia. Tale dato mette in discussione gli stereotipi diffusi sul Meridione, sulla presunta omertà e incapacità di reagire alla mafia che legherebbe le mani di tutti. Emerge, invece, la voglia di riscatto, di lotta all’illegalità espressa negli ultimi tempi, con particolare forza, dai ragazzi del sud, desiderosi di affrancare la propria libertà e, insieme, il proprio futuro.


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