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    Il vuoto che colma


    Incroci vitali /4

    Salvatore Ricci

    (NPG 2013-05-02)


    Per riportare alla mente i tanti volti delle persone che incrociano o hanno incrociato la nostra strada, a volte basta ripercorrere l’elenco dei nomi della propria rubrica telefonica. Ed ecco che come una sequenza ininterrotta di immagini, ti sembra di rivedere, dietro ogni nome, le tappe della tua vita scandita dalla presenza di alcune persone.
    I vari incontri, unici e irripetibili, hanno ragioni proprie e pur essendo diverse le motivazioni che li hanno originati, ciò che li accomuna è il fatto che, nel bene o nel male, hanno lasciato una traccia, indelebile o superficiale che sia, nella tua storia personale. Qualcuno è apparso come un angelo nel momento del bisogno, mentre qualcun altro ti ha ferito; qualcuno senza una ragione ha preferito allontanarsi, altri invece inaspettatamente si sono fatti risentire dopo lunghi silenzi; qualcuno ti ha costretto a prendere una decisione difficile a seguito di un suo comportamento sbagliato, mentre qualcun altro ti ha insegnato l’umiltà nel chiedere perdono. In un tempo ben preciso sono stati lì per aiutarti fisicamente o spiritualmente, per sostenerti o per metterti dinnanzi alla cruda realtà, per insegnarti qualcosa che non hai mai fatto o per spronarti a non mollare.
    Ognuno di loro è stato, o lo è ancora, un compagno di viaggio, e ciascuno a suo modo ha segnato la tua storia personale al punto da poter dire «è ormai parte della mia vita». Sì, è proprio così! Le persone che incontriamo, per una stagione o per sempre che sia, possono solo essere «una parte» della nostra vita, ma nessuno di loro la può cambiare, nessuno di loro può colmare quel vuoto che tante volte diventa eco della nostra sana inquietudine nella ricerca del Vero.
    E così ci ritroviamo con una vita arricchita da tante presenze che, pur essendo un tesoro inestimabile, non danno senso pieno alla nostra esistenza, assetata di un Bene più grande, essendo presenze che ci segnano, ma che non ci cambiano. Se vogliamo dissetare quella sete di infinito che è radicata nel cuore di tutti noi, colmare quel vuoto che ci portiamo dentro e fare l’Incontro vero, che può dare una svolta definitiva al nostro vivere, dobbiamo percorre la strada che ci sta indicando questo tempo di Pasqua: il sentiero che porta al sepolcro vuoto di Cristo.
    Il brano della Risurrezione che la liturgia ci ha proposto nel giorno di Pasqua (cf Gv 20,1-9) è particolarmente ricco di verbi che indicano il «camminare» di quanti di buon mattino si recano al sepolcro del Maestro: uscire, recarsi, correre, giungere, seguire, ritornare…
    Infatti possiamo immaginare che quel sentiero, fino ad allora poco praticato e poco conosciuto, da quel giorno sia diventato un via vai di gente che, o per curiosità o per fede, è andata incontro al Mistero. Tanti e diversi sono i sentimenti e le emozioni che accompagnano il ritmo dei loro passi.
    Ci sono le donne, che di buon mattino percorrono quel sentiero con animo triste perché devono compiere un incomprensibile rito funebre. Vedere quel sepolcro vuoto però cambia la loro tristezza in gioia, una gioia incontenibile e contagiosa che le accompagnerà sulla strada del ritorno.
    C’è Pietro, che lungo la strada forse si pone mille domande su quello che poteva essere successo, cercando una spiegazione ragionevole. I suoi tanti pensieri però rallentano e appesantiscono il suo passo verso l’Incontro. Con lui c’è anche «l’altro discepolo» che arriva per primo. Il suo credere semplice e la sua fiducia nelle promesse fatte dal Maestro, ritmano i suoi passi veloci e impazienti, perché speranzosi di incontrare il Risorto. Ma sicuramente ci sono anche tanti curiosi e increduli che percorrono quel sentiero spinti dalla certezza di trovare una spiegazione umana all’accaduto. Tornando verso casa i loro passi però sono scanditi da un vuoto inspiegabile e irrazionale lasciato nelle loro menti da quel sepolcro vuoto. Il percorrere quel sentiero, anche se con motivazioni diverse, ha cambiato e continua a cambiare la vita di tanti.
    Questo è il paradosso della Risurrezione: quel sepolcro vuoto può riempire la nostra vita a tal punto da cambiarla perché l’incontro vero con il Risorto non segna la nostra esistenza, ma la trasforma. Non è un semplice segno tatuato sulla pelle del nostro vivere superficiale, ma è un Mistero che, penetrando in profondità, circola nelle nostre vene portando l’ossigeno della vita nuova anche nella quotidianità spesso atrofizzata dalle paure, dagli affanni e dal non saper vedere oltre le nuvole.
    Passo dopo passo dovremmo ritornare più spesso a ripercorre quel sentiero, anche se stanchi o sfiduciati. Non permettiamo che quel sentiero venga cancellato dagli arbusti dell’incredulità o dello scoraggiamento che spesso germogliano nella nostra vita. E se il vuoto che ci portiamo dentro ci disorienta, illudendoci di poter trovare strade alternative al nostro vagare, ripensiamo a quel sentiero… non aspettiamo che qualcosa accada, il sepolcro è già vuoto!


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