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    Mario Pollo

    (NPG 2016-01-61)

     


    Uno degli assi portanti dell’antropologia dell’animazione è la concezione dell’uomo come animal symbolicum, come essere in cui s’intrecciano in modo inestricabile natura e cultura. Questo determina la sua condizione paradossale di essere contemporaneamente parte della natura e altro da essa.

    All’interno in particolare della cultura della modernità, si è però prodotta una sorta di alienazione dell’uomo dalla sua condizione naturale che ha favorito lo sfruttamento irresponsabile della terra, come ricorda papa Francesco nell’apertura della sua enciclica “Laudato sì” rifacendosi al cantico di san Francesco:
    «Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora».
    La scelta del cantico di san Francesco è motivata dal papa con il riconoscimento di San Francesco come il patrono di un’ecologia integrale:
    «Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. È il santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani. Egli manifestò un’attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore».
    Non solo, con la sua testimonianza san Francesco ha dimostrato che un’ecologia integrale esiste solo se vi è uno sguardo d’amore che consenta di entrare «in comunicazione con tutto il creato». Infatti, san Francesco «predicava persino ai fiori e «li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione».
    Per lui ogni «creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste», come testimonia il suo discepolo san Bonaventura che raccontava che Francesco: « considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella ».
    È interessante che questo atteggiamento di san Francesco, che alcuni potrebbero considerare un po’ particolare, è pienamente assunto dall’enciclica laddove afferma che:
    «Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio».
    La testimonianza di san Francesco consente al papa di introdurre nella parte finale dell’introduzione all’enciclica un pressante appello a raccogliere una sfida non più derogabile.
    «La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi».
    Partendo da queste motivazioni che sono alla base dell’enciclica di papa Francesco è evidente che è necessario, se si vuole che l’uomo acquisisca questo modo di porsi in relazione con l’ambiente naturale, promuovere un’educazione che aiuti la persona a cogliere il legame profondo che esiste tra l’Io e il Noi, tra la propria identità personale e l’appartenenza solidale al mondo degli uomini e della natura.
    Spesso il Noi è stato limitato alla rete delle relazioni dirette e indirette di ogni singolo essere umano con gli altri, in particolare con quelli con cui ha la ventura di condividere il suo breve cammino nello spazio tempo del mondo. Infatti, la terra, nonostante che per molti millenni, sin dal paleolitico, sia stata chiamata madre, nella modernità è stata esclusa dall’appartenenza al Noi. L’enciclica ricorda che è giunto il momento di reinserirla integralmente nel Noi.
    Nella frase su San Francesco dell’enciclica prima citata in cui si dice che egli viveva «in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso» vi è la sintesi delle tre aree in cui sono raggruppati gli obiettivi che il modello educativo dell’animazione culturale persegue. La prima area è quella dell’identità personale e storico culturale, la seconda quella della partecipazione solidale alla vita sociale e la terza dell’apertura alla Trascendenza. Infatti, l’animazione persegue l’obiettivo di sostenere il percorso di crescita dell’essere umano verso la conquista di sé in armonia con gli altri e con Dio. L’aggiornamento di questi obiettivi che l’enciclica invita a fare riguarda l’inserimento nell’area della partecipazione solidale alla vita sociale della partecipazione responsabile alla cura dell’ambiente naturale inteso come casa comune.
    Tutto questo senza cadere, come purtroppo accade ad alcuni militanti ecologisti, in una sorta di panteismo perché nel cristianesimo, come già nel giudaismo, è postulata l’assoluta Alterità di Dio rispetto alla creazione. In altre parole, vi è una teologia che riconosce Dio come creatore dell’universo ma anche, nello stesso tempo, come radicalmente altro da esso.
    Si tratta di una concezione che nega ogni forma di panteismo, di presenza di Dio nella natura ma che riconosce la possibilità di leggere in essa l’impronta dell’atto creatore divino. Non a caso nell’enciclica è evidenziato che:
    «San Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: « Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore » (Sap 13,5) e « la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute » (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza.21 Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode».
    Tornando al discorso sull’educazione, è evidente, da quanto detto sino ad ora, che un’educazione al rispetto, alla custodia e alla cura del creato richiede il riconoscimento che la terra è un sistema vivente di cui noi siamo parte attraverso un legame interattivo. Questo significa che il sistema vivente terra influenza la nostra vita e noi, a nostra volta, lo influenziamo. Per comprendere la profondità di questo legame è necessario ricordare che nel disegno della creazione è stata l’autorganizzazione del sistema vivente terra che ha prodotto in un percorso evolutivo di alcuni miliardi di anni le condizioni propizie alla vita. In altre parole, la terra e l’uomo sono legati da un legame indissolubile per cui se l’uomo fa regredire il sistema vivente terra rende anche impossibile la sua vita in essa.
    Questa ragione della solidarietà uomo-terra fondata su dati scientifici, per riuscire a trasformare il comportamento degli esseri umani nel godere di ciò che la terra mette loro a disposizione, deve essere resa viva, come invita a fare san Francesco, dal sentimento di amore per ogni oggetto del creato.
    L’educazione all’ecologia non può svolgersi esclusivamente sul piano cognitivo ma deve coinvolgere anche il livello emozionale/affettivo. L’uomo deve sentirsi solidale con il creato non solo con la mente ma anche con il cuore. Tra l’altro l’apertura all’Amore divino, come dimostra sempre san Francesco è una via fondamentale per il raggiungimento di questo obiettivo.
    Educare a un’ecologia profonda comporta perciò il coinvolgere contemporaneamente la dimensione cognitiva, quella affettiva e quella del sacro trascendente. In quest’ultima dimensione la persona deve scoprire che la sua vita e quella di tutte le creature è figlia dell’amore gratuito di Dio e, quindi, vivere la creazione come il dono d’amore incommensurabile che Dio ha fatto all’uomo. Importante affinché questo riconoscimento avvenga, è lo sviluppo nei giovani del sentimento di creaturalità che, da un lato, implica la gratitudine per il dono d’amore ricevuto con la propria vita e, dall’altro lato, il sentimento di essere al cospetto di Dio null’altro che cenere. In altre parole è necessario educare le nuove generazioni al riconoscimento delle loro grandi potenzialità, dei talenti che Dio ha affidato loro e nel contempo a quella profonda umiltà che nasce dall’accettazione del proprio essere creatura soggetta alla finitudine.
    Da questo si comprende come l’educazione all’ecologia non possa essere considerata un’educazione “speciale” poiché essa è semplicemente una delle dimensioni dell’educazione di un umano autentico, di un uomo che nella libertà cerca di costruirsi a immagine e somiglianza di Dio, avendo a disposizione per fare questo l’imitazione di Gesù.
    All’interno di questo approccio dell’educazione dell’umano si devono naturalmente sviluppare comportamenti, atteggiamenti e conoscenze specifici di salvaguardia e cura del creato, partendo, ad esempio, dai temi che nel mondo contemporaneo costituiscono una vera e propria emergenza ecologica: l’inquinamento, il cambiamento del clima, la scarsità del bene acqua, la riduzione della biodiversità, il degrado della vita umana nelle megalopoli.
    Queste urgenze, tra l’altro sono fatte proprie dall’enciclica che le descrive e analizza in modo approfondito.
    A livello educativo pratico è importante, oltre che aiutare i giovani ad acquisire in modo critico informazioni e conoscenze adeguate intono a queste emergenze, stimolare e sostenere i giovani a intraprendere nella propria vita quotidiana alcuni comportamenti che, pur se limitati, si inseriscono nell’insieme delle azioni tesi a fronteggiare questi gravi problemi ambientali. Gli esempi relativi a queste azioni sono innumerevoli e vanno dal riciclo dei rifiuti all’evitamento dello spreco dell’acqua, alla scelta dei mezzi di trasporto meno inquinanti, alla difesa delle specie animali e vegetali a rischio di estinzione, l’azione per migliorare le condizioni di vita delle persone povere ed emarginate attraverso l’impegno nel volontariato e/o nella politica.
    Questi pochi esempi hanno solo lo scopo di esemplificare che l’educazione alla custodia e cura della natura richiede non solo l’elaborazione di riflessioni esistenziali ma anche, se non soprattutto, un impegno concreto nella propria vita, un cambiamento dei propri stili di vita e di consumo. È bene ricordare che questi cambiamenti nei piccoli comportamenti e atteggiamenti della vita quotidiana sono quelli che contribuiscono a un cambiamento significativo della cultura sociale.
    Infine è importante ricordare che in questa lotta per la cura della Terra l’uomo non è solo perché:
    «Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e a dare tutto, ci offre le forze e la luce di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Nel cuore di questo mondo rimane sempre presente il Signore della vita che ci ama tanto. Egli non ci abbandona, non ci lascia soli, perché si è unito definitivamente con la nostra terra, e il suo amore ci conduce sempre a trovare nuove strade. A Lui sia lode!».

     


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