Juan E.Vecchi - Pastorale giovanile. Una sfida per la comunità ecclesiale - Elledici 1992
Capitolo terzo
PASTORALE: PUNTI FERMI E PROSPETTIVE
La pastorale consiste nell'azione della comunità ecclesiale per attuare la salvezza, rivelatasi in Gesù Cristo, nelle situazioni concrete della vita degli uomini. E la pastorale giovanile è una tale azione compiuta tra e con i giovani.
Per la sua «originalità» essa non si confonde con nessun altro tipo di azione o attività. Da sola non risolve problemi di ambiti umani quali la politica, l'economia, il lavoro, il tempo libero..., e al contempo l'azione di promozione, liberazione, socializzazione o educazione, pur indispensabile e valida nella vita dell'uomo, non è adeguata al raggiungimento di fini formalmente pastorali. La pastorale conserva un suo ambito specifico di riflessione e di ricerca. È sottoposta anch'essa al rischio e all'impegno storico dell'uomo; anche se è profondamente consapevole di dover riconoscere il primato dell'azione di Dio Salvatore. Come mediazione umana non può prescindere da un'analisi approfondita della prassi e da una ricerca puntuale di una sua progettazione. E come azione di salvezza si rifà costantemente alla peculiarità della salvezza portata da Gesù.
1. RIFERIMENTI FONDAMENTALI PER UNA IMPOSTAZIONE DELLA PASTORALE
Le parole chiavi per comprendere a fondo la realtà intrinseca di quest'azione di Chiesa sono quattro: Gesù Cristo, Chiesa, Salvezza, Uomo. Sono tutte insieme punti di riferimento essenziali. Nessuna può essere isolata e tanto meno eliminata senza che il pensiero e l'azione pastorali vengano sminuiti nella loro originalità singolare, siano confuse con altre azioni umane e pertanto svuotate della loro specifica efficacia.
1.1. La prima parola chiave: Gesù Cristo
In Gesù Cristo si legge che cosa sia «pastorale». Egli assume il titolo di Pastore, perché è consapevole che la sua missione e la sua identità sono appunto queste.
«Io sono il Buon Pastore»!
Non è semplicemente un'espressione puntuale, carica di significato, bensì rappresenta un filone evangelico, sviluppato specialmente da san Giovanni nel suo vangelo dei segni ecclesiali, e da san Luca. Si allarga nelle parabole, nei discorsi didattici e soprattutto ha riferimenti ai momenti e alle azioni di più chiaro significato salvifico: la croce, il perdono, l'Eucaristia.
Il titolo, la figura e il contenuto di «Buon Pastore» sono squisitamente messianici. Il Signore è rappresentato come il Pastore del suo popolo: lo guida nel deserto verso fonti e pascoli, simboli del cammino attraverso la storia; lo illumina con la sua parola donandogli il discernimento e la capacità di orientamento verso l'orizzonte degno dell'uomo, lo governa direttamente e attraverso uomini scelti che rimangono in comunicazione con Lui; lo fa crescere come collettività e nei singoli individui verso la pienezza, attraverso l'alleanza.
Gesù assume in maniera piena il mistero del Pastore come è descritto nella Scrittura. Con Lui il popolo-simbolo diventa realtà universale. In Lui l'umanità è chiamata a conoscere e vivere il rapporto di amore di Dio e con Dio e a interpretare la storia da questa prospettiva.
Ma questa è un'impresa da compiere. Per questo ci vuole un'azione storica. Gesù Cristo la inizia presentando il Regno di Dio come realtà definitiva, illuminandone con la parola la natura e le conseguenze: rivela il mistero del Regno.
Non solo lo rivela, ma lo costruisce con la sua vita. L'unione nella sua persona della divinità con l'umanità santifica definitivamente l'umanità e la fa stirpe regale, sacerdotale, popolo consacrato al Signore. Con la morte e la risurrezione trasforma la visione del futuro dell'uomo: questi deve costruire il Regno di Dio mediante l'amore e trasfigurare il mondo. Egli è Maestro-Profeta, Re-Servitore, Sacerdote-Mediatore.
Il compito di Pastore svolto da Gesù Cristo non si ferma al passato, ma continua nel presente. Lui è ancora e sempre il Pastore. «La Chiesa infatti è un ovile la cui porta unica e necessaria è Cristo. È pure un gregge di cui Dio stesso ha preannunciato che sarebbe il Pastore e le cui pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo, il Pastore buono e principe dei pastori (cf Gv 10, 11 ; 1 Pt 5,4) il quale ha dato la sua vita per le pecore (LG 6).
Ogni pensiero e ogni progetto pastorale hanno dunque una fondazione cristologica. Non si possono concepire se non come partecipazione al cuore e alla missione di Cristo inviato dal Padre. Da ciò provengono criteri, modelli, metodi, contenuti, nonché una spiritualità che mette al centro della propria personalità il Regno di Dio e il suo farsi nella storia.
1.2. La seconda parola chiave: la Chiesa
Quando parliamo di pastorale ci riferiamo all'azione specifica della Chiesa, così tipica che non può essere condivisa da nessun'altra istituzione umana, almeno in termini uguali. L'educazione per esempio è una realtà che appartiene sia alla famiglia, cristiana o no, che allo Stato e alla libera iniziativa, come alla Chiesa.
Quando parliamo di pastorale, invece, consideriamo l'agire della Chiesa nella storia, secondo la sua missione originale.
«Pastorale» viene definito il giudizio che spetta alla Chiesa proferire sui più diversi fenomeni secondo la propria specifica prospettiva; pastorale viene chiamata l'organizzazione ecclesiale predisposta per ottenere le proprie finalità; pastorali sono infine le molteplici attività con cui la Chiesa esprime la sua natura e intenzioni.
Questo secondo riferimento-chiave non è slegato dal precedente. Difatti la missione di Gesù è passata alla Chiesa per sua volontà. «Come il Padre ha mandato me così io mando voi... Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mi 28,19).
La Chiesa è dunque sacramento e strumento del Regno predicato da Gesù, seme del mondo nuovo trasformato dalla risurrezione e luogo dell'alleanza con Dio che santifica l'uomo.
Pastorale richiama perciò alla comunione di pensiero, di finalità e di affetto con la Chiesa, che vuol dire comunione di fede, speranza e carità. Pastorale rimanda pure al coordinamento di tutta l'azione da parte di chi ha ricevuto il compito particolare di reggere e orientare, cioè i pastori.
I due dinamismi mediante cui lo Spirito Santo sollecita all'azione pastorale sono le funzioni e i carismi. La fonte più feconda di attività pastorale sono i carismi: doni personali dello Spirito Santo, non interamente catalogabili, che rappresentano la sua perenne novità e iniziativa. Senza di essi non sono immaginabili né Chiesa né pastorale. Questa non va perciò concepita come pura organizzazione o frutto di abilità e calcolo umano, ma come attenzione e docilità allo Spirito Santo, anima della Chiesa e primo operatore di pastorale.
Una tale concezione allontana da un'idea di pastorale pensata in termini gerarchici, ossia distribuzione verticistica di ambiti da coprire o di bisogni da soddisfare. Ce la presenta invece come una realtà di scambio e di comunione, nella quale l'iniziativa parte di là dove lo Spirito ispira, il discernimento e la convergenza sono affidati a specifici ministeri per l'edificazione comune.
Chiesa è inoltre una parola chiave perché la pastorale non soltanto scaturisce dalla Chiesa come comunità-mistero che incarna oggi Gesù Cristo, ma ha come obiettivo anche la formazione e maturazione della stessa comunità ecclesiale. La Chiesa perciò è soggetto ma pure oggetto della pastorale. Questa infatti può concepirsi come l'edificazione della Chiesa incarnata nella storia e nella vita degli uomini.
1.3. La terza parola chiave: salvezza
Ogni azione umana possiede una finalità, oltre a un proprio oggetto. La finalità dell'azione pastorale, inaugurata da Cristo e continuata dalla Chiesa, è la salvezza dell'uomo.
«Salvezza» dice un'aspirazione comune a tutti gli uomini e radicata nella loro esistenza. Non tutti la concepiscono alla stessa maniera, come non tutti la ricercano nella medesima direzione e con mezzi uguali. Nella cultura contemporanea si parla di salvezza, intendendola di solito come «sopravvivenza» messa in pericolo da un certo tipo di guerra, di sviluppo incontrollato, di rapporti che producono la morte in vasti settori dell'umanità. Ci sono dunque progetti di salvezza che si sviluppano secondo una linea politica o economica o culturale.
La pastorale ha origine da una propria concezione di salvezza, cui è strettamente connesso un modo originale di considerare mezzi e itinerari, sviluppi e eventi salvifici. È la salvezza operata in Gesù Cristo, per cui l'iniziativa appartiene a Dio; e il cammino dell'uomo verso la salvezza inizia e avanza nella fede, speranza e carità.
Poiché ogni cosa dipende dalla conversione dell'uomo al suo Signore e poiché il Signore ha un disegno di amore su tutto il creato, la salvezza in Dio comprende in sé ogni salvezza parziale e temporale, pur non considerandole alla stessa stregua in vista della realizzazione definitiva dell'uomo. Questi trova la salvezza anzitutto e in modo senz'altro indispensabile, nell'incontro e nella risposta a Dio, manifestato in Gesù Cristo. Da ciò provengono una luce e una forza trasformatrici per tutta la realtà umana, che sarà a sua volta salvata da tutto quanto la può minacciare.
Occorre quindi superare una visione limitata o sminuita di salvezza. Essa non si identifica semplicemente con la visione beatifica e l'amore vivificante. Lo stato definitivo è preparato e anticipato nella vita presente.
Gesù è salvatore perché conquista per noi la vita che dura per sempre, liberandoci dal peccato e consentendoci di rispondere all'amore di Dio.
In Lui però non si contrappongono cielo e terra, umanità e trascendenza. Si fondono anzi, senza confondersi. Non ha senso erigere una contrapposizione tra impegno religioso e impegno storico, tra provvisorio e definitivo, tra salvezza e realizzazione dei valori umani. La profonda connessione tra storia e salvezza fa superare l'individualismo che ha condizionato negli ultimi secoli tanta cultura europea. La salvezza investe l'umanità nel suo insieme, nel suo progredire e coscientizzarsi; non è solo rapporto fra l'infinito e il singolo, pur nel rispetto dell'irripetibile individualità di ogni persona.
La salvezza insomma consiste radicalmente nella liberazione del peccato e nella novità di esistenza che rende figli di Dio. La liberazione dal peccato, causa profonda di tutte le situazioni umane di non salvezza, implica per la pastorale un'azione a diversi livelli. L'uomo che ha infranto il progetto di Dio e per questo soffre una situazione di peccato (egoismi, ingiustizie, tensioni) deve riprendere coscienza del suo rapporto con Dio e il prossimo, in modo che possa diventare costruttore cosciente e responsabile del proprio destino.
Di questa salvezza la pastorale si dichiara servitrice, mentre confessa la sua incompetenza sugli aspetti tecnici di liberazioni parziali o temporali. Su di essi esprime un giudizio circa la loro coerenza o compatibilità con la salvezza totale e definitiva, mentre collabora con le altre forze storiche a cui appartengono le soluzioni tecniche per progetti temporali.
1.4. La quarta parola chiave: l'uomo
Punto di riferimento indispensabile per capire la pastorale è l'uomo, inteso come esistenza storica oggi e qui: quest'uomo in questa zona geografica e in questa situazione; l'uomo come persona singola e quale essere sociale, partecipe di una comunità.
La pastorale, non essendo solo «pensiero religioso», bensì azione salvifica, si rende possibile unicamente nella realtà presente. Certamente esiste tutta una dimensione storica per cui l'azione odierna è collegata con il cammino del popolo di Dio di ieri e di domani e tuttavia le nostre possibilità di agire si riducono all'oggi, al presente.
D'altra parte Pastorale è annunciare la salvezza agli uomini di oggi e sollecitarli a una risposta. E tale annuncio non sarebbe comprensibile se non si inserisse nella loro esperienza di vita. Di qui l'indispensabilità che l'azione pastorale si rapporti costantemente con il linguaggio, le abitudini di vita, le attese anche temporali, i valori perseguiti in cui oggi ci sono «semi e germi» di salvezza.
Per il singolo uomo la salvezza che Dio offre è comprensibile a partire dalla propria esperienza quotidiana. La Pastorale parte di qui e, pur proiettando tutto verso una salvezza definitiva, non può non adoperare come luogo e linguaggio quelli che per gli uomini costituiscono le situazioni concrete di vita, da cui sorgono domande di significato.
Il Pastore per eccellenza, Gesù Cristo, indica questa via nel momento in cui, non solo assume la natura dell'uomo, ma fa sua l'esistenza concreta del popolo a cui annuncia la salvezza di Dio. Immergendosi nelle tradizioni e nelle istituzioni, nella cultura e nelle abitudini, nel pensiero religioso e sociale della sua gente, pur trascendendoli, ha avuto la possibilità di farsi capire. Il mistero dell'incarnazione configura e incide, dunque, nella definizione stessa di pastorale.
2. CRITERI ISPIRATORI DI PASTORALE GIOVANILE OGGI
2.1. L'incarnazione: modello dell'agire pastorale
Dio si è rivelato all'uomo in modo umano. Il suo ineffabile mistero e la sua volontà salvifica sono diventati comprensibili e sperimentatili, perché espressi in mediazioni umane. Ciò lungo tutta la storia, ma in forma del tutto particolare nell'evento dell'Incarnazione. L'umanità di Gesù è ciò che Dio stesso ha voluto diventare per incontrare e salvare l'uomo.
L'umanità è stata resa capace, nella creazione, di essere manifestazione di Dio in quanto sua «immagine e somiglianza». Con l'evento dell'Incarnazione l'umanità stessa è assunta nella vita di Dio. L'uomo e l'umano diventano così il luogo dove si rivela e si compie la salvezza. Gesù infatti ci ha insegnato col suo essere, ancora prima che con le sue parole, che il luogo per la manifestazione di Dio è ciò che è umano, e che Dio dà la dimensione giusta a ciò che merita il nome di «umano».
Perciò l'uomo è la via della Chiesa, l'unica possibile: «Non si tratta dell'uomo astratto, ma reale, dell'uomo concreto, storico» (RH 13); non considerato soltanto come «recettore» della Parola, ma come soggetto coinvolto nello stesso atto della rivelazione; l'uomo in situazione, «nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale e insieme del suo essere comunitario e sociale. Egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso...» (RH 14).
La storia di Gesù e l'esperienza della Chiesa autorizzano a parlare della capacità rivelatrice che ha il processo di incarnazione nella storia e nella cultura. Essendo non legato «in modo esclusivo e indissolubile con nessuna nazione o stirpe, con nessun particolare modo di vivere, con nessuna consuetudine antica o recente» (GS 58), il messaggio cristiano ha la capacità di inserirsi e di diventare la forma interiore di tutte quelle culture che a priori non lo escludono. E queste, fecondate dal Vangelo, sprigionano le ricchezze del Vangelo medesimo in espressioni originali.
Nella realtà esistenziale si trova l'uomo totale e concreto, che vive in un determinato spazio e tempo. Il servizio di salvezza a quest'uomo non è soltanto un aspetto, ma la vocazione stessa del credente. La separazione tra obiettivi religiosi e obiettivi umani, tra il singolo e la struttura-ambiente è una distinzione che tradisce radicalmente l'esperienza cristiana e sembra relegare la creazione e l'incarnazione a credenze, piuttosto che considerarle verità operative. «Non è redento ciò che non è assunto»!
Seguendo la logica dell'Incarnazione, la comunità cristiana si fa carico dell'uomo, cerca di conoscere la situazione e di condividerla, operando concretamente per la sua liberazione e piena realizzazione.
La comunità degli uomini, situata nella sua realtà territoriale, diviene un «luogo di salvezza»:
– dove è presente e operante la potenza salvifica di Dio;
– dove la fede è impegnata a discernere l'azione della grazia e del peccato, a scoprire la presenza di Dio creatore che incessantemente redime in Cristo le sue creature dal peccato per farle rivivere, creature nuove, nel suo Spirito;
– dove la carità trova il luogo reale di impegno.
La scelta di operare nella realtà concreta scaturisce allora dall'esigenza di operare in unità e continuità col mistero dell'Incarnazione. Cristo, presenza di salvezza e non di condanna per il mondo, è il modello per un'azione pastorale che annuncia la grande novità del Vangelo nel cuore stesso delle situazioni e degli ambienti umani.
2.2. La Chiesa: sacramento di salvezza
La Chiesa significa e continua il mistero dell'Incarnazione: «Quella particolarissima storia di Dio con l'uomo e quella particolarissima storia dell'uomo con Dio» (K. Barth) che si intrecciano per ogni persona e in ogni tempo fino all'instaurazione di ogni cosa in Cristo.
Lungo i secoli tale rapporto uomo-Dio, mondo-Chiesa, profano-sacro, terreno-celeste, fu vissuto in modi assai diversi, legati a culture, mentalità, situazioni, condizionamenti differenti.
A partire dal Vaticano II, la Chiesa scopre progressivamente di essere un sacramento, un segno di salvezza posto nella storia viva degli uomini, che «cammina insieme con tutta l'umanità». Sente dunque in modo nuovo il suo non essere estranea o giustapposta al mondo e alla storia degli uomini, ma interna ad esso e alle comunità umane in cui vive in «compagnia».
La capacità e la necessità di camminare con la comunità degli uomini, di farsi carico della loro vita, di condividere con essi il pane quotidiano (compagnia da «cum-pane»), di essere presente nelle tensioni, nei problemi, nelle speranze di ogni persona la rendono più sollecita e amica della famiglia umana protesa a Cristo. «La Chiesa, che è insieme società visibile e comunità spirituale, cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta insieme al mondo la medesima sorte terrena ed è come il fermento e quasi l'anima della società umana destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio» (GS 40).
Il Signore Gesù ha voluto la sua Chiesa universale, senza confini né frontiere. «Tuttavia questa Chiesa universale si incarna di fatto nelle Chiese particolari, costituite a loro volta dall'una o dall'altra concreta porzione di umanità, che parlano una data lingua, che sono tributarie di un loro retaggio culturale, di un determinato sostrato umano» (EN 62).
Senza mai dimenticare l'orizzonte della Chiesa universale, si deve guardare alla chiesa particolare, inserita in un territorio, quella chiesa cioè che nelle sue articolazioni territoriali (diocesi, parrocchie) e personali (comunità di base, gruppi) «quando getta le sue radici nella varietà dei terreni culturali, sociali, umani, assume in ogni parte del mondo fisionomie ed espressioni diverse» (ivi).
È proprio questa chiesa «territorialmente» connotata che deve rapportarsi con visioni del mondo, principi etici e sistemi sociopolitici differentissimi. E i rapporti tra la Chiesa e la comunità umana saranno tanto più ricchi di potenzialità salvifica quanto più esprimeranno atteggiamenti
– di vicendevole necessario riferimento: nessuna delle due può essere definita nei suoi fini senza l'altra;
– di servizio specifico: la Chiesa riscopre la sua natura «missionaria»; essa non è finalizzata a se stessa: è per il servizio dell'uomo e del mondo; il suo fare comunione è in funzione della sua missione, che consiste nell'annunciare, testimoniare e vivere il Vangelo;
– di dialogo e partecipazione: la Chiesa viene al dialogo con l'uomo e con il mondo per essere una Chiesa storicamente più fedele al Signore Gesù e più capace di farsi carico del Vangelo, superando tentazioni di chiusura in se stessa;
– di simpatia con lo sforzo umano che sta facendo la società attuale per diventare più umana, pur tra contraddizioni, ritardi e contromarce: simpatia significa saper apprezzare il bene, chiunque lo faccia, secondo lo spirito del Vangelo; vuol dire riconoscere i «semi» o parti di verità che apportano le diverse forze storiche;
– di ottimismo: quello cristiano che parte dalla certezza che Cristo è presente nella storia, anche nella piccola storia del quartiere, e in essa sta operando.
2.3. Cultura: realtà da evangelizzare (EN 20)
Questa prospettiva, che sembra complessa e ampia sì da essere affidata a pensatori, va tradotta in termini operativi nella realtà sociale. Suggerisce che non è sufficiente una pastorale individuale, così come non è sufficiente una pastorale «di contenimento».
È invece indispensabile una pastorale che raggiunga la vita collettiva. Paolo VI la illumina con questi riferimenti: «Evangelizzare è trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità... convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini... Raggiungere e quasi sconvolgere, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le forze ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e con il disegno di salvezza» (EN 18-19).
Non è possibile una vera evangelizzazione se non si prendono in considerazione le forme di vita e di rapporto. In fondo quello che viene messo a fuoco è il nodo dell'incontro e lo scontro tra la parola evangelica e la cultura: se il Vangelo cioè pretende solo dare spiegazioni sulle realtà invisibili «che non sono di questo mondo», o piuttosto, anche, come afferma il testo, vuole «sconvolgere i modelli di vita».
Si tratta in definitiva di creare una «situazione salvifica» e di farne prendere coscienza. L'opera di evangelizzazione poggia su queste solide basi.
– Cristo è la ricchezza della comunità credente, il suo specifico, la forza e chiave di ogni salvezza: con la bocca va confessato che Gesù è il Signore e col cuore va creduto che Dio l'ha risuscitato per la nostra salvezza (cf Rm 10,9).
– Essere salvi è lasciarsi penetrare dal Vangelo del Signore. Vi può essere salvezza oggi solo se la «forma» di Gesù di Nazaret «conforma» qui e ora un pezzo di storia, penetra e vivifica realmente una situazione storica.
– Di qui si approda a una conseguenza per l'evangelizzazione: bisogna riprendere la strada della relazione profonda con il mistero di Cristo vivente nella Chiesa e insieme la strada dell'uomo contemporaneo. «Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si son fatte simili al parlare dell'uomo, come già il Verbo dell'Eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell'umana natura, si fece simile all'uomo» (DV 13). È la realtà dell'accondiscendenza di Dio che diventa criterio pastorale.
– È fondamentale che la parola sia letta e interpretata insieme in comunità, sotto l'impulso dello Spirito e in situazione: cioè fuori dalle genericità e dalle astrattezze che la bloccano. La profezia di ieri, semplicemente ripetuta oggi, resta solo memoria. Nello specchio delle nostre situazioni essa si carica di valore profetico.
– La catechesi, d'altra parte, se vorrà parlare di Dio e di Cristo, avrà bisogno di riferirsi ai problemi dell'uomo, rispondendo alle sue istanze più profonde e «specifiche». Dovrà quindi: aprire a una visione del mondo, a una concezione dell'uomo, a un nuovo tipo di rapporti; educare alla giusta valutazione, dal punto di vista della salvezza, dei criteri socio-culturali della nostra società; chiarire le relazioni che intercorrono tra l'azione temporale e l'azione ecclesiale.
L'influsso dell'annuncio evangelico sulla cultura si comprende alla luce di alcune constatazioni.
– La cultura ha un significato onnicomprensivo per l'esistenza umana; pertanto «la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca» (EN 20).
Ogni cultura ha un carattere organico e unitario: l'intima coesione dei suoi elementi sortisce l'effetto di creare un universo comune di valori e una singolare solidarietà tra coloro che li condividono. Per questo motivo è inevitabile che il messaggio universale di salvezza, incontrandosi con una determinata cultura, entri «in interazione vicendevole con tutti gli elementi politici, economici, sociali, scientifici, che costituiscono il sistema globale di questa cultura» (R. Sigmend, Evangelizzazione e cultura, Roma 1975, p. 12).
– L'elemento cristiano ha un impatto sulla cultura nella misura in cui l'evangelizzazione avviene «non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici» (EN 20). Quando ciò non avviene, tale elemento è soggetto al rischio di cadute, particolarmente di fronte a nuove situazioni o nuovi stili di vita.
– La trasformazione della cultura si realizza attraverso la «comunicazione» del Vangelo. È indispensabile dunque l'apprendimento della lingua della cultura in cui si vive e cogliere la compre-senza in essa dei linguaggi logico-razionale e simbolico-espressivo. Il dialogo Vangelo-cultura oggi più che mai ci impegna «nel campo della comunicazione, della semantica e della scienza dei simboli» (CT 59). Un annuncio evangelico che non percepisce e non usa «il linguaggio» proprio di una cultura è destinato a rimanervi
estraneo.
3. PROSPETTIVE PASTORALI CONSEGUENTI
Da una simile concezione di pastorale scaturiscono prospettive concrete anche per la pastorale giovanile.
L'evangelizzazione e l'educazione, un binomio indissolubile, assumono una configurazione specifica secondo l'ottica descritta. La pastorale in definitiva traduce nella prassi la logica del mistero dell'Incarnazione, l'idea di una Chiesa che si rinnova nelle radici alla luce dell'Evangelo. Di qui derivano orientamenti e impegni pasto-
rali.
3.1. Una presenza solidale e missionaria
Alla luce delle logiche accennate occorre pensare e realizzare una pastorale all'interno della vita, delle domande e delle aspirazioni, delle preoccupazioni e delle innovazioni della comunità umana; partecipare al dialogo con le molteplici agenzie superando la tentazione di chiudersi in un ambito strettamente privato; promuovere un'azione pastorale d'ambiente, in cui la qualità della vita, i valori e gli ideali condivisi siano oggetto di annunzio evangelico e di educazione della persona.
Per questo la prima condizione è «esserci».
Una presenza attiva ed efficace nella comunità umana non è allora una tattica pastorale da parte della comunità cristiana, ma il compimento del disegno del Padre sull'umanità. La Chiesa realizza in sé la comunione e la espande. La presenza attiva e impegnata dei cristiani là dove gli uomini vivono e lottano è sacramento di comunione: rende significativa ed efficace la presenza di Ge-
sù risuscitato.
La presenza perciò non è un atto edificante da parte di alcuni; è una scelta, che esprime una modalità pastorale. Significa volontà di partecipare alla vita e alle vicende degli uomini, uguaglianza con gli altri, condivisione di un cammino, assunzione di un destino comune.
La Chiesa non è un'istituzione che separa i suoi, portandoli nelle proprie organizzazioni, strutture e attività; li invia invece con tensione profetica tra gli uomini. I cristiani sanno che questa presenza deriva dalla propria vocazione e dal proprio impegno ministeriale. Alla comunità cristiana, caratterizzata da una scelta di valori e significati di vita, toccherà animare tutti i suoi membri, dando linee di spiritualità adeguate, affinché la loro fede e la loro carità crescano attraverso questa comunione con l'uomo. I giovani principalmente vanno educati a sentire la realtà sociale, a considerarsi cittadini a pieno titolo; a quella presenza culturale che comporta rispetto delle opinioni altrui e coraggiosa affermazione delle proprie.
La presenza si carica di significato salvifico nella solidarietà.
La solidarietà tra la salvezza che viene da Dio e la storia dell'uomo è nell'essere, prima e più ancora che nei propositi degli uomini.
Le stesse persone che vivono la storia del mondo, vivono inseparabilmente la storia della salvezza; le stesse che compongono la comunità cristiana appartengono alla comunità civile e politica.
Non appartiene allo spirito del Vangelo la delegittimazione permanente di quanto l'uomo tenta nella ricerca razionale della sua crescita, anche se alle volte questo sforzo presenta limiti, carenze e persino errori. Anche se la storia dell'uomo non è mai stata pura in nessuno dei suoi aspetti, la Chiesa intende esserle solidale. Oggi si richiede un rinnovato impegno educativo, perché la solidarietà diventi una forma di «costante mobilitazione dei fedeli» (Paolo VI), che siano portatori di un messaggio che non si sovrapponga alle soluzioni umane, ma si incarni in esse per illuminarle, potenziarle e collaborare alla loro purificazione.
La comunità cristiana dunque intende partecipare non come invitata o estranea, ma come in una causa propria, coinvolta in prima persona in tutti i legittimi sforzi degli uomini per la qualità della vita.
La presenza è veramente solidale quando è missionaria, quando i cristiani inseriscono nel vivo del processo storico il fermento lievitante del Vangelo. Come conseguenza ogni separazionismo tra Chiesa e mondo va rifiutato per evitare che succeda. che un mondo senza Dio sia la risultante dell'annunzio di un Dio senza mondo.
Con i loro strumenti specifici le comunità si fanno liberatrici di energie capaci di fermentare realtà spesso opache e refrattarie. Traducono la fede in compagnia, la carità in riconciliazione e perdono, la speranza in cammino solidale verso il Regno. E di tutto questo annunciano la forza e l'origine: Gesù Cristo e il suo mistero di salvezza di tutto l'uomo.
La Chiesa esprime questa sua capacità missionaria:
– radunando i credenti affinché crescano insieme, siano protagonisti di comunione e non di fughe e lacerazioni: si tratta di vivere il testamento di Gesù... «Come tu, Padre, sei in me... siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Comunione);
– unificando attorno al primato dell'evangelizzazione la ricchezza e molteplicità dei carismi con cui lo Spirito l'arricchisce: sacerdoti, religiosi, laici, associazioni... (Annuncio);
– favorendo la profondità della conoscenza del mistero cristiano e l'inserimento vitale di esso in coloro che ne hanno fatto la loro scelta di vita (Catechesi);
– facendo trasparire nelle celebrazioni la presenza operante di Dio, la forza del sacrificio di Cristo e della nostra comunione con Lui e riflettendo in esse la vita quotidiana della gente (Celebrazione);
– aiutando i fedeli a dare sempre più chiaramente il primato alla vita nello spirito da cui dipende il resto: la fede, la speranza e la carità sono lievito buono di cui il mondo ha bisogno (Testimonianza);
– esprimendo un dilatato servizio per rispondere alla società civile che oggi chiede un supplemento di impegno per alcune carenze e piaghe che l'affliggono come i fenomeni di emarginazione, sottosviluppo, degradazione, droga, violenza... (Servizio);
– diffondendo con «originalità evangelica», e quindi al di là di interessi e schieramenti politici e talvolta anche ecclesiali, i va-lori della vita, della dignità umana e del bene comune quali la tolleranza, la giustizia sociale, la solidarietà (Impegno);
– raccogliendo l'invocazione di un «senso ulteriore» per tutti gli sforzi dell'uomo, come una richiesta che essa può interpretare (Profezia).
Tutto ciò non è per pochi momenti né facile. La comunità cristiana non disarma però di fronte ai propri limiti e alla grandezza dell'impresa; ripone la sua fiducia in Colui che ha vinto il male nella sua forma più radicale.
3.2. Approfondire i nodi dell'esperienza della fede
Nel mondo di oggi è sempre più difficile motivare e legittimare la fede cristiana. Non pochi dei suoi contenuti, intesi non soltanto come «dottrina», ma anche come atteggiamento pratico di fronte alla vita, sollevano problemi.
La ricerca di qualità pastorale stimola a verificare il nostro modo di «annunciare, proporre e insegnare» la fede e le sue incidenze nelle diverse aree dell'agire umano, personale, familiare, sociale.
In questi anni si è riflettuto e operato sul ruolo della comunità, sugli ambiti di azione (educazione, comunicazione, pastorale), sulle vie concrete e sulle metodologie. Si sono proposti a più riprese quadri di riferimento e motivazioni teologiche, insieme a descrizioni delle situazioni socioculturali. Si davano un poco per scontati i contenuti fondamentali dell'esperienza cristiana, sempre più atipica e differenziata.
Alla luce degli sviluppi socioculturali attuali e in seguito all'evento del Concilio Vaticano II, la comprensione e l'attuazione della scelta cristiana si presentano notevolmente rinnovate. Ne sono prova i catechismi nazionali e per le diverse età. Ma ciò che suscita problemi, non sono l'una o l'altra pratica religiosa, l'una o l'altra «verità», quanto piuttosto la stessa scelta di fede e il senso religioso dell'esistenza. Alcuni nuclei della dottrina tradizionale, anche senza essere negati, hanno cessato praticamente di essere centrali. Altri sono ora costantemente riproposti, nello sforzo di collocarli nella novità di contesti, di linguaggio e di applicazioni concrete. Si fanno avanti tematiche umane, in cui la fede come scelta appare significativa non tanto per quello che dice su Dio, quanto piuttosto per ciò che dice e fa nei riguardi dell'uomo e del suo destino, illuminato dall'evento di Cristo.
In questione è appunto la saldatura tra la vita del soggetto, la sua cultura e la proposta della fede.
Conviene allora rivisitare tutto alla luce della riflessione maturata nella Chiesa (cf Direttorio Catechistico Generale, Evangelii nuntiandi, Catechesi tradendae) per operare un confronto equilibrato e formulare di conseguenza un «programma-itinerario» di riferimento, senza per questo trascurare le accentuazioni tipiche di ciascun contesto. Tale programma-itinerario deve essere calibrato non solo su chi è cresciuto già nella fede, ma anche e soprattutto su coloro che sono considerati lontani o devono compiere i primi passi.
Al riguardo, una prima attenzione richiesta si rivolge al soggetto che vive la fede e quindi al «tipo di uomo» da far crescere perché essa sia vera e completa. La tendenza odierna privilegia l'elaborazione «soggettiva», individuale e trascura la mediazione comunitaria e il valore normativo del «depositum fidei». Inoltre nella stessa elaborazione soggettiva preferisce il momento «emozionale-esistenziale», o a volte l'aspetto operativo. Certamente va ricuperata la risposta totale in cui il messaggio si rivolge all'intelligenza come verità da conoscere e approfondire, alla volontà come bene da accettare e amare, alla coscienza come scelta da fare, alle relazioni interpersonali come mondo sociale da costruire.
Ma proprio per favorire la maturità e la completezza della fede nel soggetto c'è bisogno di riorganizzare in forma comunicabile al giovane cristiano di oggi una visione del mistero di Cristo, alla cui luce egli capisca la propria condizione e assuma una prassi coerente per la salvezza sua e dell'umanità. E ciò deve essere proposto tenendo conto che siamo in un momento in cui si è restii e diffidenti delle spiegazioni «totali» e «sicure».
In questo compito si individuano come aree da ripensare l'etica, la cultura, la spiritualità. La prima riguarda l'incontro tra la coscienza della persona e le esigenze che scaturiscono dal suo destino. L'educazione della coscienza consiste nella capacità di discernimento di quanto è «retto» perché avvii la persona al suo compimento. Tale è il campo di molti conflitti attuali e perciò il punto nodale di una vera educazione. È in base alla coscienza che si definisce la responsabilità dell'uomo di fronte a se stesso e al futuro.
La cultura poi riguarda lo sforzo razionale di organizzare l'esistenza in conformità ai presupposti della coscienza e nei più diversi aspetti della vita. È dunque il campo di prova della fede, della speranza e della carità, e al contempo della loro efficacia nella convivenza umana.
La spiritualità infine si riferisce alla percezione del mistero di Dio e dell'uomo, della trascendenza e delle sue espressioni alla luce dell'evento di Gesù Cristo. È un impostare la propria vita ispirandosi a motivazioni e valori evangelici e operando scelte concrete di vita. Questi tre aspetti sono complementari e crescono insieme.
Tale ripensamento dei contenuti deve avvenire in forma eminentemente esistenziale, lontana dalle formulazioni scontate, tradotta in termini catechistici e pastorali piuttosto che semplicemente teologici, e facendo tesoro di quanto si è già sperimentato.
Richiede dunque in primo luogo l'identificazione di alcuni nuclei e l'organizzazione gerarchica di essi conforme al principio enunciato dal Direttorio Catechistico Generale, al n. 43, «La gerarchia delle verità da osservarsi nella catechesi»: il mistero di Dio, il mistero del Cristo, il mistero dello Spirito Santo presente nella Chiesa, il mistero della Chiesa. Tale gerarchia va pensata come risposta all'ambiente secolarizzato e pluralista in cui i giovani vivono oggi.
Ma oltre ai nuclei che ripropongono le verità che illuminano la vita, occorre preoccuparsi del linguaggio adeguato, in modo che l'annuncio sia una buona notizia, significativa per l'uomo di oggi, che tocca quei punti decisivi per la sua esistenza personale e collettiva. Non si tratta primariamente di parole, bensì di riferimenti esistenziali conformi alla sensibilità antropologica odierna. Ogni parola di annuncio riferisce un significato cristologico, propone cioè un annuncio su Cristo e su Dio; ma allo stesso tempo coglie un elemento esistenziale, ossia dice qualche cosa di reale sulla salvezza e felicità dell'uomo. Ha anche una indispensabile risonanza storica senza la quale rimarrebbe «astratto»: indica «verso dove e come» trasformare la storia umana. Essa contiene infine una dimensione escatologica: svela e propone il destino ultimo dell'uomo e le condizioni del suo compimento. Se si tralascia uno qualsiasi di questi significati o aspetti, la «parola», l'annuncio, la verità rimangono parzialmente mute.
Alla determinazione di nuclei e significati va aggiunta l'accurata attenzione all'apprendimento da parte dei giovani della pratica «quotidiana» della fede: momenti di formazione a una mentalità di fede, cammino di ascesi, incontro con il Signore nella preghiera e nei gesti sacramentali della Chiesa, servizio all'uomo. Non si tratta evidentemente di rivolgere soltanto raccomandazioni. Vanno individuati «esperienze» e «luoghi» dove l'educatore possa proporre e seguire la crescita dei giovani: animazione, volontariato, gruppo, direzione spirituale.