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    Creatività

    Giuseppe Angelini


    1. «Creatività» è il nome arcano di una capacità umana tanto apprezzata quanto oscura nella cultura contemporanea. Il nome è arcano, nel senso che esso filologicamente è imparentato con un verbo, «creare», le cui origini sono innegabilmente religiose; proprio perché tali, sono radici remote e sostanzialmente dimenticate dalla corrente cultura secolare. «Creare» significa nel linguaggio cristiano tradizionale - ed è appunto quella cristiana la tradizione che ha inventato il termine e l'idea - «fare dal nulla», ed è prerogativa esclusivamente divina. Metaforicamente tuttavia viene qualificata come «creativa» anche l'attività umana, quando ciò che essa produce sembra irriducibile agli elementi dei quali quell'attività si serve. Lo scarto innovativo tra elementi e prodotto appare come incomprensibile, e comunque incompreso; proprio per questo esso è colmato dalla postulazione di un magico potere «creativo» dell'uomo.

    2. Per essere appena un poco più precisi, possiamo specificare gli ambiti dell'attività umana, e delle correlative scienze umane, entro i quali «creatività» diventa metafora di uso più frequente, e addirittura pretende di diventare concetto tecnico.

    a) Si parla anzitutto di «creatività» a livello di psicologia: con il termine viene li qualificato il misterioso potere umano di «produrre» immagini coerenti a partire da sensazioni analitiche. La «produzione umana» alla quale qui si fa riferimento non è quella materiale, ma piuttosto quella simbolica, e cioè quella dei significati. Che l'attività significante venga descritta come produzione, e quindi come produzione quasi «magica» (questo infatti è il senso dell'aggettivo «creativa»), si comprende sullo sfondo della rappresentazione del rapporto uomo- mondo che è tacitamente presupposta dalla psicologia. Il mondo sarebbe mondo di cose brute e senza senso, nelle quali l'iniziativa dell'uomo porterebbe appunto un senso prima assente. Viene cioè presupposto che il mondo non sia stato già «creato» da Dio, e dunque anche «immaginato», fatto come una realtà significante, quasi come una «parola» rivolta all'uomo. La Bibbia si esprime viceversa proprio così: «Dio disse», e così fece tutte Fe cose (cfr. Gen. 1); «In principio era il Verbo», e cioè la Parola, e mediante la Parola furono fatte tutte le cose (cfr. Gv. 1, 1). Nell'ottica biblica - ma in generale nell'ottica del pensiero religioso antico - la sintesi significativa dello spettacolo mondano è descritta come riconoscimento da parte dell'uomo di un senso anteriore all'uomo, dato e rivelato all'uomo, e non «creato».

    b) Si parla poi, e conseguentemente, di «creatività» a livello pedagogico: e qui con quel termine si intende designare l'aspetto per cui l'attività di coloro che sono educati non è, o quanto meno non deve essere, semplice riproduzione mimica di quanto viene da loro appreso, ma è «creativa» in quanto esprime un'originalità irriducibile al patrimonio di conoscenze e di abilità trasmesse. L'impiego del termine «creatività» rischia anche in questo caso di suggerire unilateralmente l'aspetto di discontinuità tra apprendimento e iniziativa personale. L'iniziativa personale, in quanto «creativa», emergerebbe appunto «dal nulla». La «creatività» dell'alunno sarebbe espressione della sua personalità, e questa a sua volta verrebbe intesa nella forma di «genialità» per così dire selvaggia. I modelli civili infatti, oggetto dell'insegnamento e comunque della tradizione, sono valutati come tendenzialmente limitativi della creatività intesa come spontaneità. La verità è però un'altra: esattamente attraverso le risorse offerte dai modelli appresi la persona diventa capace di dar figura alla propria iniziativa libera, e prima ancora diventa capace di dar figura alla propria identità personale. Sicché la disciplina imposta dai modelli culturali, !ungi dal mortificare la «creatività» dell'alunno, al contrario la suscita e la connota, distinguendola dalla spontaneità impulsiva e selvaggia. Certo, ciò si verifica a patto che i modelli trasmessi siano effettivamente dei modelli simbolici, e non modelli mimici; siano cioè modelli che non suggeriscono una riproduzione ripetitiva. È un inconveniente dell'attuale contesto educativo, e in particolare del prevalere in esso dei modelli «spettacolari» offerti dalla comunicazione di massa, quella di proporre appunto soprattutto modelli mimici e non personalizzanti.
    Sicché, per reazione, si produce la tendenza a valorizzare la «creatività» intesa come stravaganza, come capacità di produrre l'insolito, il non visto, il sorprendente, l'arbitrario, e così via. G. Calvi, nella presentazione di un'opera collettiva «Sulla creatività» (Vita e Pensiero, Milano, 1 979), constata con compiacimento che il suo istituto di psicologia aveva visto lontano, quando già negli anni 1960-65 aveva privilegiato l'interesse per il tema «creatività»; ma «non a sufficienza, certo, se si pensa che nel '68 l'immagination au pouvoir avrebbe trascinato gli studenti sulle barricate e che l'istanza giovanile di creatività sarebbe sfociata nell'irrazionalità più sterile e conformista dei nostri giorni».

    3. Al di là dei discorsi tecnici della psicologia e della pedagogia, il tema creatività appartiene alla opinione pubblica e alla coscienza diffusa del nostro tempo. E vi appartiene certo come figura intenzionalmente carica di valore positivo. Essa qualifica quei modi di comportamento che sfuggono alla prevedibilità dei «ruoli» ascritti all'individuo dalle regole sociali, e magari anche sorprendono e scuotono il conformismo del -.consenso comune.. Nell'apprezzamento della
    «creatività» si esprime ancora una volta la protesta dell'individuo nei confronti di una società sentita come appunto «ruolizzante», «massificante», e in genere mortificante rispetto all'iniziativa personale.
    Ma l'esito a cui minaccia di approdare tale protesta è appunto quello «individualista»; quello dell'artista (a lui sopra tutti è riconosciuto il carisma della «creatività») che si esibisce spettacolarmente di fronte ad una sorpresa, ma non è invece capace di proporre a quella folla nuovi paradigmi per comprendere e vivere le condizioni obiettive imposte alla vita di tutti. Paradigmi di questo genere infatti non debbono avere il carattere della «creazione» arbitraria da nulla: ma devono invece raccomandarsi quali forme di riconoscimento di una verità obiettiva, che s'impone all'uomo; s'impone non nel senso dell'evidenza materiale e a disposizione di tutti, quanto piuttosto nella forma di un'evidenza che solo mediante il nostro consenso può acquistare espressione e figura. L'artista, e con lui ogni protagonista della vita sociale che non si accontenti ad eseguire ciò che gli è prescritto, «inventa» certo, ma nel senso latino del termine «invenire», che significa trovare. Trova ciò che già esiste a monte rispetto all'intraprendenza umana, ma attende il consenso e la dedizione della libertà dell'uomo per venire alla luce.
    L'uomo «creativo» è l'uomo che, anziché vivere a partire dalla convenzione sociale, vive a partire dalla «creazione» di Dio; creazione questa che - com'è noto - non è mai conclusa, ma sempre nuova e sorprendente.

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