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    L'animazione e la formazione politica in «vita quotidiana»



    Mario Pollo

    (NPG 1991-05-6)


    L'educazione alla politica non può essere considerata solo una educazione specializzata, aggiuntiva e magari opzionale, nel percorso di abilitazione del giovane ad essere un protagonista attivo della vita sociale, in quanto essa riguarda la reale possibilità dello stesso giovane di realizzare il suo personale progetto di vita.
    La possibilità del giovane, e poi dell'adulto, di vivere in modo progettuale la propria vita, non dipende solo dalla sua capacità di controllare la propria vita interiore, ma anche quella sociale in cui essa si manifesta.
    Infatti il progetto esistenziale di ogni persona umana è sempre la risultante della sua intenzionalità e dei condizionamenti interni ed esterni con cui questa deve misurarsi.
    La libertà richiede all'uomo la sua azione per il controllo, oltre che dei condizionamenti biopsichici che la limitano, dei condizionamenti che gli provengono dall'organizzazione sociale in cui vive.

    LA «CONDIZIONE» UMANA E LA SUA DIMENSIONE POLITICA

    Il modo più concreto che l'uomo ha a disposizione per cercare di controllare i condizionamenti che gli provengono dall'ambiente sociale è l'agire politico.
    I condizionamenti che agiscono sulla vita umana non sono però solo dei meri fatti esterni alla persona, ma in qualche modo costituiscono il tessuto concreto della loro esistenza.
    È illuminante a questo proposito quanto afferma Hannah Arendt: «Gli uomini sono esseri condizionati perché ogni cosa con cui vengono in contatto diventa immediatamente una condizione della loro esistenza.
    Il mondo in cui si svolge la «vita activa» consiste di cose prodotte dalle attività umane; ma proprio le cose che devono la loro esistenza solo agli uomini condizionano costantemente i loro artefici»; e più avanti: «Tutto ciò che è in relazione prolungata con la vita dell'uomo assume immediatamente il carattere di una condizione dell'esistenza umana».[1]
    Infatti, se le «cose» con cui le persone entrano in contatto sfuggono al loro controllo, in quanto sono progettate, gestite e controllate con forte autonomia da enti, istituzioni e persone sulle quali esse hanno uno scarso potere e, quindi, la influenza, si può affermare che le stesse persone sono espropriate del controllo di una parte del governo della loro esistenza.
    A questo punto però è forse bene precisare che l'espressione «condizione umana», così come qui utilizzata, non è assolutamente sinonimo di quella di «natura umana» che, come è noto, costituisce uno dei problemi filosofici e psicologici insolubili a causa della impossibilità dell'uomo di «scavalcare la propria ombra», ovvero di uscire da se stesso, di salire ad un livello di esistenza superiore e osservarsi alla ricerca della propria essenza.
    Il termine «condizione umana» indica perciò, molto più modestamente, solo l'insieme delle attività e delle capacità umane che influiscono, condizionandoli, sui modi di essere, e forse sulla stessa natura, delle persone umane.
    Secondo questa interpretazione della condizione umana l'agire dell'uomo per modificare, abolire o creare le cose sociali con cui entra in contatto, di fatto stabilisce l'ambito concreto delle possibilità dello svolgimento del suo progetto di vita.
    La politica, quindi, in quanto creatrice delle cose materiali ed immateriali della vita sociale, è un elemento ineludibile per chiunque voglia, in modo non illusorio, essere protagonista della propria giornata terrena.
    Questo significa sia che nessun progetto educativo può ignorare la dimensione politica della condizione dell'esistenza umana, sia che il rapporto con le «cose» della vita sociale è un aspetto della politica.

    La dimensione politica della Vita quotidiana

    Infatti la politica si manifesta non solo nelle sedi istituzionali, ma anche all'interno della vita quotidiana, laddove vengono confermate o modificate le condizioni della vita sociale.
    L'azione educativa dell'animazione non si esercita nell'abilitazione del giovane a fare politica a livello istituzionale; al massimo può motivarlo a ciò, ma nel renderlo protagonista consapevole del progetto politico che tesse la sua vita quotidiana e, quindi, le condizioni della sua personale esistenza.
    Tra le condizioni più rilevanti che il giovane affronta nella sua esistenza, vi sono quelle costituite dalle «cose» che servono a soddisfare i suoi bisogni.
    Per diventare una persona in grado di governare la propria vita quotidiana è necessario perciò che il giovane, per prima cosa, impari a comprendere quali sono le forme di «influenza» a cui sono sottoposte le azioni che compie nel rispondere ai suoi bisogni e a quelli degli altri.
    Tuttavia per comprendere perché la decifrazione del rapporto giovane-bisogni e il loro soddisfacimento nella vita quotidiana sia il cuore dell'educazione politica, è necessario approfondire, al di la di molte banalizzazioni, che cosa è il bisogno nella vita umana.

    UNA DEFINIZIONE DI BISOGNO

    La maggioranza delle definizioni di bisogno, tra cui quelle dei dizionari della lingua italiana, sono fondate, sovente in modo inconsapevole, su una concezione platonica.
    Infatti esse partono dalla concezione negativa di bisogno come un di meno, come una mancanza che verrebbe colmata dalla soddisfazione.
    Questa concezione comune del bisogno ha indubbiamente alle spalle una visione dell'uomo come essere incompleto, che per vivere necessita di colmare questa sua incompletezza attraverso il ricorso a mezzi e sostanze esterne.
    Questa dipendenza, per la denuncia che fa della incompletezza umana, ha quindi sempre il carattere di una sorta di schiavitù, dalla quale in qualche modo l'uomo deve e cerca di emanciparsi, riducendo la sua dipendenza dall'esterno al minimo.
    Lévinas ha proposto un vero e proprio ribaltamento di questa concezione platonica negativa del bisogno, elaborando una visione del rapporto persona-bisogno nel quale «vivere è come un verbo transitivo i cui complementi diretti sono i contenuti della vita. E l'atto di vivere questi contenuti è, ipso facto, contenuto della vita»;[2] e in un altro passo: «Dall'esterno la fisiologia ci insegna che il bisogno è una mancanza.
    Il fatto che l'uomo possa essere felice dei suoi bisogni, indica che il piano fisiologico è trasceso nel bisogno umano; che, sin dal bisogno, siamo al di fuori delle categorie dell'essere».[3]
    In altre parole l'approccio di Lévinas consente di pensare all'uomo come ad un sistema aperto che è costituito, oltre che dalla sua struttura corporea e psichica, anche dalle relazioni con l'alterità attraverso le quali vive.
    Questa concezione, che è congruente con quella della Arendt esposta in premessa, consente di pensare alla risposta ai bisogni non come ad un semplice omeostatico ripristino di un equilibrio perduto, ma come un'azione della realizzazione del progetto esistenziale della persona.
    Queste relazioni di risposta ai bisogni non sono quindi per Lévinas assolutamente una schiavitù, ma i contenuti stessi della vita, la fonte del godimento esistenziale, oltre che l'origine della costituzione della persona umana in soggetto e della costruzione della sua identità particolare.
    Infatti a questo proposito Lévinas afferma: noi viviamo di «grana», d'aria, di luce, di lavoro, di idee, di sonno, ecc. Non si tratta di oggetti di rappresentazione. Ne viviamo. Ciò di cui viviamo non è neppure «mezzo di vita», come la penna è mezzo rispetto alla lettera che permette di scrivere, né uno scopo della vita, come la comunicazione è scopo della lettera. Le cose di cui viviamo non sono dei mezzi e neppure degli utilizzabili, nel senso heideggeriano del termine... Essi sono sempre oggetti di godimento.[4]

    Felicità e «alterità»

    Le «cose» che condizionano la nostra vita e che diciamo essere o l'origine o la risposta ai nostri bisogni, sono alla base della felicità esistenziale, della gioia di vita e della nostra indipendenza, che, come è noto, assumiamo attraverso il processo di costruzione del nostro particolare rapporto con le cose, ovvero con le condizioni della nostra esistenza.
    Questo significa che l'incompletezza che obbliga l'uomo ad agire e a rapportarsi a ciò che è altro da lui per realizzare la propria vita, è il prezzo che la persona paga per l'ottenimento della felicità e dell'indipendenza.
    E che la felicità nella vita umana sia legata non all'assenza dei bisogni ma alla loro soddisfazione, è per Lévinas un dato incontrovertibile: «La felicità non è costituita da un'assenza di bisogni di cui si denuncia la tirannia e il carattere imposto, ma dalla soddisfazione di tutti i bisogni... La felicità è attuazione: è in un'anima soddisfatta e non in un'anima che ha estirpato i propri bisogni, anima castrata».[5]
    In coerenza a questo Lévinas sostiene che, se la vita fosse privata dei bisogni che la nutrono e che le danno valore, ridurrebbe l'uomo a un'ombra simile a quelle incontrate da Ulisse nel regno di Ade.
    Proprio per questo suo carattere particolare, il bisogno non può essere considerato solo come l'effetto di un di meno, di una mancanza vissuta da un essere che deve restaurare continuamente la sua completezza, ma la condizione stessa della vita umana e la sua caratteristica specifica.

    Società organizzata, cultura, progettazione della vita

    Il superamento del bisogno come privazione richiede però la presenza di una società organizzata dotata di una cultura che ha integrato i bisogni e le risposte ad essi in un'unità dotata di senso.
    Infatti Lévinas a questo proposito afferma: «Concepire il bisogno come semplice privazione significa intenderlo all'interno di una società disorganizzata che non gli lascia né tempo né coscienza».[6]
    Questo significa perciò che per un uomo cosciente e indipendente, abitante una società organizzata, i bisogni non esprimono un di meno, ma bensì un progetto di vita, un modo di essere dell'uomo nello spazio-tempo naturale e culturale del mondo e che, quindi, la relazione persona-bisogno disegna la qualità della sua vita, la sua identità e il senso della sua esistenza.
    È questo il motivo che fa affermare che i bisogni non possono essere disgiunti da ciò che è e fa la persona umana e, quindi, dagli ideali e dai modelli di uomo che essa cerca di realizzare. Il bisogno è parte costitutiva di ogni progetto d'uomo, e il suo riconoscimento è alla base delle stesse possibilità della vita e del riconoscimento dell'autonomia e della libertà della persona umana.
    È chiaro che per ottenere questa libertà e questa autonomia, proprio perché essere incompleto, l'uomo corre il rischio della povertà e anche della distruzione. Il rischio della povertà si presenta perciò come il prezzo della conquista della coscienza, dell'indipendenza e della felicità da parte della persona umana.
    Lévinas a questo proposito è estremamente esplicito: «La povertà è uno dei pericoli corsi dalla liberazione dell'uomo che supera la condizione animale e vegetale. L'essenza del bisogno sta in questo superamento, in questo rischio».[7]
    Questa riflessione sul bisogno che prende le mosse da Lévinas vuole sottolineare che il bisogno non è il frutto di una carenza che la persona vive, ma il contenuto stesso della vita umana, e che attraverso la risposta che dà ai bisogni, la persona conquista la propria identità personale, l'indipendenza e la felicità della condizione esistenziale.
    Questa concezione dei bisogni porta ad escludere modi e forma del loro soddisfacimento che siano della sorta di meccanici processi omeostatici o, comunque, in cui la persona gioca un ruolo di consumatore passivo.
    Infatti per la persona umana essere protagonista del soddisfacimento dei propri bisogni significa, molto semplicemente, essere protagonista della propria vita e della propria autocostruzione come uomo. Non esserlo significa, di fatto, venire espropriati, magari solo parzialmente, dei contenuti della propria vita e del controllo delle condizioni che la influenzano significativamente, e soprattutto della felicità dell'esistenza.
    Tuttavia, oggi non è così facile essere protagonisti della risposta ai bisogni a causa della complessità dei sistemi sociali.

    IL PROTAGONISMO NELLA RISPOSTA AI BISOGNI COME RIDUZIONE DELLA COMPLESSITÀ SOCIALE

    Un dato che segna l'evoluzione storica dell'uomo e il suo procedere verso forme di società sempre più complesse è, da un lato, il suo progressivo delegare all'organizzazione sociale un numero sempre maggiore di risposte ai suoi bisogni e, dall'altro lato, l'aumento del numero e la complessificazione degli stessi bisogni.
    Pochi uomini oggi sono in grado di provvedersi da soli il cibo, il vestiario e la casa, per non parlare che di risposte a bisogni fondamentali. La risposta a questi bisogni la gente oggi la ottiene attraverso l'organizzazione sociale in cui vive.
    Per la risposta ai suoi bisogni l'abitante delle cosiddette società complesse è fortemente dipendente dagli apparati economici e burocratici della società.
    Queste constatazioni forse un po' banali servono per capire quanto è accentuata la dipendenza dell'uomo contemporaneo dal sistema sociale al quale appartiene.
    Ora se a queste considerazioni si somma quella che i sistemi sociali più evoluti sono anche i più fragili, i più facili ad incepparsi a causa della loro complessità, si ha il quadro di un uomo che ottiene opulente risposte ai suoi bisogni ma che cammina su un precario asse di equilibrio.
    Rendere le persone protagoniste, almeno in parte, delle risposte ai bisogni, il cui soddisfacimento hanno delegato all'organizzazione del sistema sociale, significa ridurre sia la dipendenza che la precarietà, restituendo alla persona la sua centralità.
    D'altronde la vera autonomia, la vera indipendenza della persona nasce solo dal suo essere artefice, protagonista consapevole, da solo o con altri, ,della risposta ai bisogni.
    Il protagonismo potrebbe poi, di fatto, essere letto anche come un'azione di riduzione della complessità sociale, sia perché restituisce i percorsi di risposta ai bisogni e i fattori che intervengono nel governo del sistema sociale alla comprensione e al controllo delle persone, sia perché comporta, necessariamente, la costruzione di centri attraverso cui ricostituire gerarchie di valori e di bisogni.
    Se il significato dei bisogni nella vita umana e del protagonismo nella risposta ad essi è quello qui evocato, risulta allora evidente che l'educazione alla decifrazione dei bisogni e alla capacità di vivere la risposta ad essi come elemento fondamentale del proprio progetto esistenziale, è la base di quell'educazione politica descritta all'inizio.
    A questo punto ci si deve però domandare quali siano le azioni su cui questa educazione deve fondarsi.
    La risposta indica due insiemi di azioni.
    Il primo riguarda le azioni tese a fornire un aiuto al giovane a svolgere l'analisi critica, ovvero l'interpretazione del significato per la propria realizzazione personale dei bisogni che vive nella sua vita quotidiana.
    Il secondo riguarda le azioni tese ad aiutare il giovane ad elaborare la capacità di assumere responsabilità, da solo e insieme agli altri, sui propri e sugli altrui bisogni, in modo particolare di quei bisogni che segnano la vita delle persone povere, svantaggiate ed emarginate.
    Le azioni del primo insieme sono quelle che, in generale, dovrebbero aiutare il giovane a conquistare una identità personale centrata sulla coscienza e, quindi, sulla progettualità. Di fatto, questo coincide con il primo dei tre grandi obiettivi dell'animazione, a testimonianza del rapporto stretto tra educazione della persona ed educazione politica.
    Le azioni del secondo insieme, invece, appartengono in modo più specifico all'educazione politica in senso stretto, e possono essere oggi riassunte in un'unica azione, che dovrebbe diventare centrale in ogni formazione politica promossa dall'animazione. Questa azione è quella connessa all'esercizio del diritto di cittadinanza.

    L'EDUCAZIONE POLITICA OGGI COME EDUCAZIONE ALL'ESERCIZIO DEI DIRITTI DI CITTADINANZA

    Come si è visto anche nella voce del dizionario «Animazione e solidarietà», la parola «cittadino» sta includendo, nel suo significato moderno di colui che partecipa dei diritti e dei doveri sanciti da uno stato, nuovi significati che enfatizzano i legami di solidarietà, condivisione e responsabilità tra le persone che abitano un dato stato o, più universalisticamente, la comunità umana.
    Infatti la nuova cittadinanza, come viene designato il processo sociale attuale che sta arricchendo semanticamente la parola cittadinanza, si fonda sull'assunzione da parte dei cittadini di forme di responsabilità diretta nella determinazione delle condizioni che segnano sia le proprie personali condizioni di vita sia quelle degli altri cittadini, specialmente di quelli più deboli, svantaggiati e meno protetti.
    Essere cittadini equivale, all'interno di questa trasformazione semantica, all'essere protagonisti della creazione e della gestione delle condizioni che segnano la vita delle persone.
    Questa concezione di cittadinanza rimanda alle origini del pensiero etico, in quanto le radici della morale risiedono nell'atto arcaico della scoperta della necessità della cura della propria casa. Essere cittadini è, infatti, prendersi cura della propria casa personale, della casa comune e, solo quando inevitabile, della casa degli altri.

    La rifondazione etica della cittadinanza

    La trasformazione, che è ancora un processo di faticosa ricerca, del concetto di cittadinanza, segnala però anche il ritorno dell'etica nelle basi dell'organizzazione della convivenza umana e la crisi delle basi esclusivamente utilitaristiche o economicistiche.
    In questo elemento della rifondazione etica della cittadinanza, la persona ritrova il protagonismo che le consente nello stesso tempo di essere Noi ed Io, di esaltare cioè sia la propria individualità e quindi il valore della propria soggettività, sia la propria appartenenza indivisibile alla collettività all'interno della quale vive il proprio destino nello spazio e nel tempo.
    La nuova cittadinanza è perciò anche e sempre la riscoperta e la messa in valore del legame inscindibile nella vita umana tra Noi ed Io. Senza Noi non potrebbe esistere alcun Io. Infatti se non esistesse un gruppo sociale, dotato di una cultura sociale, che fornisse alla persona le risorse e gli itinerari per sopravvivere, per crescere e per sviluppare le proprie potenzialità, nessun nuovo nato potrebbe diventare una persona umana.
    Allo stesso modo senza l'Io non potrebbe esistere alcun Noi, in quanto mancherebbe alla aggregazione sociale qualsiasi grado di autoconsapevolezza, di autonomia e di libertà.
    Se si accetta questa concezione, allora si può considerare la soggettività non come l'antagonista dell'oggettività, ma bensì come il suo nutrimento, allo stesso modo in cui l'oggettività deve essere considerata il nutrimento senza il quale non può crescere alcuna soggettività.
    Essere cittadini protagonisti significa essere persone che giocano la loro vita nella circolarità ermeneutica della solidarietà tra Io e Noi.
    Da questo punto di vista la cittadinanza richiede la fine dei troppi processi di delega che hanno contrassegnato, nelle società moderne, il processo di soddisfacimento dei bisogni dei cittadini, quasi fossero dei semplici clienti di una entità sovraumana costituita dallo Stato nelle sue varie articolazioni.

    Abilitare all'esercizio del diritto del cittadino

    Il concetto del diritto del cittadino a essere protagonista, o a essere considerato semplicemente persona, all'interno della vita sociale organizzata, specialmente all'interno dei meccanismi che determinano le condizioni e la qualità della sua esistenza, appare sempre di più il fondamento della politica del futuro, di un modo cioè di far politica che valorizzi la soggettività senza negare di fatto l'oggettività del sociale.
    L'animazione, e questo può essere il suo contributo alla rigenerazione della politica, deve abilitare il giovane all'esercizio del suo diritto/dovere di protagonismo nella vita sociale.
    Questa azione è possibile perché investe la vita quotidiana del giovane, i suoi piccoli gesti che tessono la sua giornata nella scuola, nel lavoro, nel tempo libero, nello sport, nel quartiere e in ogni rapporto con la rete dei servizi attraverso cui si traducono le politiche che garantiscono alle persone le condizioni di vita tipiche di una data società.
    Questa azione è, di fatto, un modo per rapportarsi alle varie forme di potere utilizzando il potere che, almeno teoricamente, la democrazia fornisce attraverso la qualifica di cittadino. Tuttavia occorre dire che questa forma rischia l'insignificanza, o perlomeno di essere ridotta a pura testimonianza" quando viene svolta da individui isolati.
    La dimensione della tutela collettiva dei propri diritti è oggi l'unica che possiede un qualche grado di efficacia.
    L'educazione quindi alla nuova cittadinanza è volta alla abilitazione del giovane a partecipare alla costruzione e alla vita di forme associate che perseguono la realizzazione di particolari condizioni della loro esistenza congruenti con il loro progetto di vita.
    Fondamentale all'azione di formazione alla cittadinanza appare l'educazione all'associazionismo, in quanto questo tende sempre di più a divenire un soggetto politico perché portatore di particolari diritti dei propri associati e perché assume particolari doveri nei confronti della società in generale.
    Concludendo si può dire che l'educazione alla politica nella vita quotidiana che l'animazione propone è quella di abilitare il giovane:
    - a decifrare i bisogni che formano le condizioni della sua esistenza;
    - a percepire ogni bisogno che rientra nel suo progetto di vita come una concreta possibilità offerta alla sua realizzazione umana;
    - a vivere ogni azione percependola come una «cosa» che condiziona il suo essere uomo nel mondo;
    - a esercitare i suoi diritti di cittadinanza attraverso una partecipazione efficace e solidale alla vita sociale, realizzata in modo particolare attraverso le forme associative.
    Da queste azioni nasce una autentica capacità del giovane di vivere la dimensione politica della sua esistenza, anche se apparentemente nessuna di esse è di tipo politico in senso stretto.
    Il segreto dell'educazione politica dell'animazione sta proprio qui: educare alla politica all'interno dell'educazione all'essere persona che, intorno al centro costituito dalla sua coscienza, illuminato dai valori, sa strutturare sia la fedeltà all'Io che al Noi.


    NOTE

    [1] Arendt H., The Human Condition, Chigago 1958 (trad. it: Vita Activa. La condizione umana, Bologna 1988).
    [2] Lévinas E., Totalità e infinito, Milano, 1977, p. 110.
    [3] Lévinas, o. c., p. 115.
    [4] Lévinas, o.c., p. 110-111.
    [5] Lévinas, o.c., p. 115.
    [6] Lévinas, o.c., p. 116.
    [7] Lévinas, o.c., p. 115.


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