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    Giovani & Papi

    Giancarlo Zizola

    Giovani e Papi-1

    Il distacco del ceto giovanile dalla fede religiosa rappresenta per gli ultimi papi un rischio temibile più di quello della classe operaia che ossessionava la Chiesa degli anni Cinquanta. Giovanni Paolo II ha dedicato alla questione giovanile nella società postmoderna una parte notevole della sua attenzione durante i ventisette anni del suo glorioso pontificato. Per testimoniare l'importanza che attribuiva a questo problema, egli ha creato un ponte istituzionale fondando le "Giornate Mondiali della Gioventù", giunte alla ventesima edizione nell'agosto del 2005 a Colonia, prima uscita internazionale per il suo successore.
    È in riva al Reno che Benedetto XVI si è idealmente collegato con il papa polacco dinanzi a un milione di giovani provenienti da tutto il mondo, anche dai "nuovi mondi" asiatici emergenti. È stata la sua immersione nella piscina giovanile il battesimo del papa tedesco, quattro mesi dopo la sua elezione. Come Wojtyla anche Joseph Ratzinger ha fatto sapere che la sua Chiesa non intende rispondere alla "questione giovani" nella Chiesa cattolica con un abbassamento compromissorio e complice delle mode mondane, dunque con una versione facilitata e accomodante delle esigenze cristiane, ma con una sfida raddoppiata sui fondamenti della fede.
    E questi riproposti non tanto in ripetizioni dogmatiche, ma con uno scavo alle sorgenti, con un ritorno per esempio al paradosso dei primi pellegrini cristiani, i Re Magi, che cercavano il Messia nelle forme della gloria e della potenza di un Dio politico e seppero riconoscerlo e adorarlo invece nelle fattezze fragili di un bambino, deposto in una stalla, tra gli emarginati. Di qui, una conseguenza critica per le Chiese: affrontare seriamente la questione giovanile significa porre il problema della riforma della stessa Chiesa, del suo "ringiovanimento" come aveva proposto il vecchio Giovanni XXIII inaugurando a 81 anni il Concilio Vaticano II l'11 ottobre 1962.
    Il punto di maggiore continuità tra i due papi più recenti sulla questione giovani è, secondo la mia umile opinione, che i giovani sono considerati non come destinatari passivi dei messaggi religiosi ma come interlocutori responsabili, dai quali è necessario che il sistema religioso si faccia interpellare per aprirsi a una migliore comprensione della propria ispirazione fondamentale. In secondo luogo, questi papi guardano i giovani come protagonisti di una generale trasformazione culturale e sociale del mondo, di cui sono anche i primi capri espiatori. Quando questi papi si congratulano con i giovani non lo fanno per banale giovanilismo proselitistico e strumentale, ma perché manifestano la convinzione che le generazioni emergenti prefigurano una scala di valori fondamentali nell'esistenza umana, il più delle volte alternativi alle gerarchie simboliche istituite nella società a dominante merceologica.
    I valori che vengono più frequentemente identificati dai messaggi papali nei giovani sono anzitutto il valore della vita, la gioia di vivere, di essere, di essere se stessi; la gioia di vivere con gli altri, nel rispetto reciproco, che escluda l'arroganza e assicuri l'equità e la giustizia. Viene volentieri sottolineata la disponibilità dei giovani contemporanei, malgrado la cultura dominante sia orientata dall'individualismo esasperato, a riscoprire e a praticare nel loro stesso vissuto relazionale il valore della gratuità e della condivisione: l'amore gratuito, il rapporto gratuito, il dono fuori di ogni logica di reciprocità tipica dello scambio mercantile, l'amicizia, il donare gratuitamente, il consacrare un proprio tempo vitale ad aiutare chi è in difficoltà e in bisogno, anche nelle multiformi associazioni di volontariato; la capacità di perdonare, dato che per l'amore non esiste l'imperdonabile, ed è ciò che abita nell'essenza del messaggio cristiano.
    Come sottolineava Papa Wojtyla ai giovani della sua ultima Giornata Mondiale della Gioventù a Tor Vergata, nel 2002, la gratuità ha la stessa radice della grazia, radice non solo etimologica ma anche teologica. L'amore di Dio non si comprenderebbe astraendo dall'offrire la propria vita perché gli altri vivano. In questo senso è significativo che Papa Wojtyla si sia presentato ai giovani con a fianco Madre Teresa di Calcutta: un atto disinteressato di carità è un miracolo assai più grande che camminare sulle acque, e moltiplicando Madre Teresa per cento, mille, diecimila cristiani e cristiane è una testimonianza del volto compassionevole del Cristo crocifisso enormemente più importante di una biblioteca di Somme Teologiche.
    È anche ragguardevole che nei loro messaggi ai giovani i papi non idealizzino un "tipo" astratto di giovani ma li riconoscano nella loro identità storica, collocati in una società secolarizzata e pluralista, anche dal punto di vista religioso. Questi papi si guardano bene dal fare il prurito infantilistico ai ragazzi, ma cercano di risvegliare il loro spirito critico e di scuoterli dalle droghe del consumismo, anche del consumismo religioso dello spiritualismo romantico. Il messaggio cristiano loro lanciato non fa sconti, ma invita i giovani a ribellarsi ad un "ordine" del mondo stabilito dai realisti del mercato, del potere politico, dei modelli televisivi e della guerra. Essi vengono incoraggiati al dialogo con le altre religioni e con i portatori di altre culture e a non cullarsi sull'onda del conformismo e del gregarismo servile. Essi sono invitati non a rinunciare alla ragione critica, ma a recuperarne le risorse profonde, per essere nella fede "a occhi aperti". Come diceva Giovanni Paolo II, cristianesimo ha bisogno di gente sveglia, non di sonnambuli».
    Prima di raggiungere Colonia, Benedetto XVI aveva incontrato i preti della Vai d'Aosta nella sua residenza estiva a Introd il 25 luglio 2005. In un discorso a braccio il papa aveva parlato della crisi delle Chiese e del fallimento della rivoluzione giovanile del Sessantotto. «Le grandi Chiese appaiono morenti –aveva detto – crescono invece le sette, che si presentano con certezze semplici». In Occidente la crisi è più profonda che altrove. Le giovani generazioni avvertono di più il vuoto «dopo la grande crisi del Sessantotto, quando realmente sembrava passata l'era storica del cristianesimo. Le promesse del Sessantotto non tengono e rinasce la consapevolezza che c'è un altro modo più complesso di affrontare la vita e la storia». A questa crisi il cristianesimo non potrebbe rispondere che facendo appello alla propria anima: «Alla fine solo l'amore ci fa vivere e l'amore è sempre sofferenza: matura nella sofferenza e dà la forza di soffrire per il bene».
    Tuttavia ci si può chiedere se la "rivoluzione del soggetto", la riscoperta del primato della coscienza rispetto ai sistemi di potere, anche del potere religioso e familiare, abbia trovato una reale ricezione nella Chiesa cattolica. È essa disposta a "soffrire" uscendo dalle categorie mentali e dalle forme ormai stanche del passato, per ritrovare le proprie risorse originarie?
    Le analisi statistiche della Santa Sede avvertono che il sistema di selezione delle élites ecclesiastiche, durante il pontificato di Wojtyla, ha portato ad un invecchiamento di sei anni nella media dei quasi 3.500 vescovi da lui nominati, ad una età prossima ai 66 anni, senza contare i vescovi in pensione per aver oltrepassato il limite dei 75 anni. Inoltre in alcuni Paesi, come l'Italia, i giovani laici delle associazioni cattoliche e dei nuovi Movimenti sono stati tagliati fuori, specie se donne, dalla formazione delle decisioni pastorali, sia nelle parrocchie e nelle diocesi sia nelle Conferenze episcopali nazionali e nella Santa Se-de. Dunque alcuni osservatori hanno avuto l'impressione che la "questione giovanile" sia stata incanalata nelle Giornate Mondiali della Gioventù, come per assorbire la piena ardente del carismaticismo, ma non sia entrata nei gangli del sistema ecclesiastico per modificarne i comportamenti e la cultura dall'interno.
    Il problema è stato affrontato dalla "discontinuità dolce" adottata da Benedetto XVI a Colonia in rapporto all'approccio del suo predecessore, alle prese con lo stesso scenario massivo e movimenti-sta della Giornata Mondiale della Gioventù, dunque di una istituzione wojtyliana.
    L'operazione non era semplice, soprattutto perché il carattere piuttosto intellettuale e poco espansivo di Benedetto XVI si trovava alle prese con le ribollenti masse giovanili abituate all'orchestrazione seduttiva ed emozionale del predecessore. Dal punto di vista della psicologia di massa, era interessante osservare la risposta collettiva alla sovrapposizione spirituale e alla coabitazione mentale delle due figure di pontefici. A questo processo comparativo, del resto inevitabile, il papa teologo ha reagito semplicemente presentandosi nella identità propria, con i suoi caratteri sobri, essenziali, teologici.
    Non ha giocato la carta del seduttore, ma del pudore quasi monastico. Ha scartato le improvvisazioni, le mimiche, le ola, il bacio della terra. Alieno dal trionfalismo papolatrico non meno che dalle illusioni costantiniane, il suo stile ha voltato pagina rispetto a Giovanni Paolo II. Il suo linguaggio si è affidato non ai gesti, ma alle parole, non agli slogan e agli effetti emotivi ma alla forza e al rigore delle argomentazioni teologiche e facendo appello sistematicamente alle fonti bibliche e patristiche.
    Raro nel linguaggio ecclesiastico, il discorso del papa al pubblico giovanile era fatto più per interrogare e inquietare che per strappare applausi. La sovrapposizione delle figure dei due papi si è giocata soprattutto sul confronto tra lo stile emozionale e spettacolare di cui Wojtyla era maestro irripetibile, e il linguaggio sobrio, ricco di simbolismo e di provocazioni teologiche del suo successore.
    Egli ha volontariamente mantenuto uno stile minimalista, privilegiando il contenuto piuttosto che lo spettacolo. «La Parola – ha detto – è la strada maestra per l'educazione delle menti». Un traumatismo per il costume chiassoso egemone dei "papa-boys", che erano gli attori principali delle GMG wojtyliane e nuotavano nella loro acqua.
    Dinanzi ai giovani, non ha fatto loro il torto di rinunciare a parlare alla loro intelligenza, e non solo ai loro occhi, per invitarli a ritrovare il senso gioioso e costoso della fede cristiana. Non ha fatto sconti "giovanilistici" delle esigenze del Vangelo, ma ha fatto appelli duri, destinati a essere rimeditati a lungo.
    Grazie a Ratzinger, le Giornate Mondiali della Gioventù hanno chiuso a Colonia la stagione romantica, adolescenziale – quella dei papa-boys – per trasformarsi in un "luogo teologico", un'istituzione di catechesi pubblica e globale per la cultura giovanile contemporanea, anche quella di non esplicita appartenenza alla Chiesa cattolica.
    Egli ha orientato le GMG verso uno stile di maggiore interiorità, di preghiera, persino di contemplazione, con il sabato notte del 20 agosto vissuto da quasi un milione di giovani in preghiera silenziosa e immobile, nella veglia dinanzi al Sacramento esposto sull'altare della spianata di Marienfeld, un vecchio sito minerario a 27 chilometri da Colonia.
    Ma è anzitutto grazie ai contenuti proposti nei suoi discorsi che la visita a Colonia ha dato forma personale al pontificato di Joseph Ratzinger.
    A quanti dubitavano che Benedetto XVI potesse reagire all'esuberanza mondialista del suo predecessore con una fase di Tebaide intimista, Colonia ha risposto con una piattaforma teologica assai più strutturata. Papa Benedetto si è fatto l'apostolo di un cristianesimo interiore, giocato sulle convinzioni della coscienza. Egli ha dichiarato la sua adesione alle linee fondanti del Concilio Vaticano Il, difeso il principio del dialogo della Chiesa con la società, riconoscendo la necessità per la fede cristiana di mettersi all'ascolto dei fermenti, delle angosce e delle aspirazioni del mondo. Al cristianesimo di massa e spettacolare di Wojtyla, egli ha risposto valorizzando un cristianesimo più perso-naie, ancorato ad un'idea della fede come "pellegrinaggio interiore", come ricerca infaticabile, più che come riconquista di posizioni di potere mondano.
    Egli ha invitato chiaramente la Chiesa, e non solo i giovani che lo ascoltavano, a ripristinare la massima attenzione verso gli aspetti spirituali della ecclesiologia. È un'evoluzione importante, rispetto ai cedimenti al nuovo temporalismo, se non ad una nuova religione politica, dell'epoca della restaurazione post-conciliare. Recuperando il linguaggio della Chiesa della misericordia e spazio della tenerezza, tipico di Giovanni XXIII, l'antico difensore del Dogma ha rilanciato il modello di una Chiesa pellegrina negli accidentati percorsi della storia, compagna dell'umanità, senza ambizioni di potere politico, al rovescio d'un modello di nuova cristianità carolingia, competitiva sul piano dei poteri mondani.
    L'idea di un cristianesimo di ricerca, coinvolto nella relatività della storia, esposto agli interrogativi e alla scommessa pascaliana, è ricomparsa in modo sorprendente sulle labbra del principale teorico della lotta al relativismo, con accenti tipici della teologia conciliare del dialogo.
    La stessa impronta era visibile nel primo discorso del papa in terra tedesca, quando ha affermato la convinzione di essere venuto non solo per animare la speranza dei giovani, ma altresì per »ricevere anche qualcosa dai giovani, soprattutto dal loro entusiasmo, dalla loro sensibilità e dalla loro disponibilità ad affrontare le sfide del futuro». Questo approccio è stato confermato dal successivo messaggio ai giovani partecipanti, laddove Benedetto XVI ha fatto propria la tesi tipica della salvezza universale dei non cristiani, accanto all'altro paradigma del "cristianesimo anonimo", che egli aveva combattuto nella dottrina di padre Karl Rahner, il Maestro della teologia cattolica del Novecento.
    Infatti è rivolgendosi in particolare ai giovani provenienti dall'Estremo Oriente - per la prima volta partecipava alla GMG un gruppo di cattolici della Cina popolare - che Benedetto XVI ha detto di discernere in loro «i rappresentanti delle innumerevoli folle di nostri fratelli e sorelle in umanità, che aspettano senza saperlo il sorgere della stella nei loro cieli per
    essere condotti a Cristo, luce delle genti». Egli ha indirizzato un saluto anche a (quanti tra voi non sono battezzati, quanti non conoscono ancora Cristo o non si riconoscono nella Chiesa». È stato nel dialogo con questi «cristiani anonimi o impliciti» che il linguaggio di Ratzinger si è arricchito di metafore felici, come quella della Chiesa «luogo della misericordia e della tenerezza di Dio verso gli uomini», o quella di Cristo come «persona che non inganna e non può ingannare».
    Il rigetto della religione politica, del riferimento al divino usato come instrumentum regni è stato formulato nel modo più circostanziato, fondandosi sulla theologia crucis: «Dio non entra in concorrenza con le forme terrene del potere» ha detto. «Al potere rumoroso e prepotente di questo mondo egli contrappone il potere inerme dell'amore, che sulla Croce - e poi sempre di nuovo nel corso della storia -, soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina, che poi si oppone all'ingiustizia e instaura il Regno di Dio».
    Un altro punto del disegno pontificio emerso a Colonia è stato il rifiuto di quell'aspetto del relativismo specialmente insidioso per i giovani che è rappresentato dalla deregulation neoliberista applicata al campo della religione, anche in campo cattolico, e che si configura in fenomeni di sincretismo, di spinte settarie, di individualismo "fai da te", particolarmente vistosi nella cultura giovanile e in alcuni cristianesimi negli Stati Uniti.
    Ed è proprio nella più grande fiera religiosa itinerante mai inventata che il papa teologo ha dichiarato la sua opposizione al "consumismo religioso".
    «Non costruiamoci un dio privato - ha sostenuto Benedetto XVI - ma crediamo e prostriamoci davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi».
    Il papa ha messo in guardia i giovani contro lo sviluppo del consumismo religioso, per il quale ciascuno può farsi un cocktail di credenze personali e composite.
    «Congiuntamente all'oblio di Dio, esiste come un boom del religioso - ha osservato -. lo non voglio screditare tutto ciò che c'è in questa tendenza. Potrebbe esserci anche la gioia sincera della scoperta. Ma, per dire il vero, non di rado la religione diviene quasi un prodotto di consumo. Si sceglie ciò che piace e certuni sanno anche trarne profitto. Ma la religione "fai da te" cercata come una sorta di bricolage, alla fine dei conti non ci aiuta. Essa è comoda, ma, nei momenti di crisi, essa ci abbandona a noi stessi».
    Lo stesso rischio di individualismo è presente nel fenomeno dei movimenti pullulanti nella
    Chiesa cattolica e che certo non si accontentano del menù unico stabilito dalla cucina vaticana. Sono tuttavia i movimenti i veri protagonisti delle GMG. La presa di posizione di Papa Ratzinger in favore delle esigenze di recupero istituzionale nella ecclesiologia dei movimenti è stata perciò tanto più significativa. Ai movimenti il papa si è rivolto in un passaggio specifico del discorso di domenica 20 agosto, dinanzi a una folla giovanile calcolata in un milione, nella pianura di Marienfeld. Egli li ha incoraggiati a una nuova armonia tra lo spontaneismo e le esigenze della comunione col papa e coi vescovi, garanti - ha detto - che «non si sta cercando dei sentieri privati, ma invece si sta vivendo in quella grande famiglia di Dio che il Signore ha fondato con i dodici Apostoli». Egli ha additato ai giovani il dovere di uscire dal perimetro del proprio interesse privato per dedicarsi all'impegno per il prossimo, «per quello vicino come per quello estremamente lontano, che però ci riguarda sempre da vicino». Ha incoraggiato i giovani a impegnarsi nel volontariato nelle sue varie forme, (modelli di servizio vicendevole, di cui proprio la nostra società ha urgentemente bisogno. Non dobbiamo, ad esempio, abbandonare gli anziani alla loro solitudine, non dobbiamo passare oltre di fronte ai sofferenti. Se pensiamo e viviamo in virtù della comunione con Cristo, allora ci si aprono gli occhi. Allora non ci adatteremo più a vivacchiare preoccupati solo di noi stessi, ma vedremo dove e come siamo necessari. Vivendo ed agendo così ci accorgeremo ben presto che è molto più bello essere utili e stare a disposizione degli altri che preoccuparsi solo delle comodità che ci vengono offerte. lo so che voi come giovani aspirate alle cose grandi, che volete impegnarvi per un mondo migliore. Dimostratelo agli uomini, dimostratelo al mondo, che aspetta proprio questa testimonianza dai discepoli di Gesù Cristo e che, soprattutto mediante il vostro amore, potrà scoprire la stella che noi seguiamo».


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