Dieci anni di cammino
della Chiesa italiana
con i giovani
La prospettiva istituzionale
Giuseppe Betori *
1. Un cammino non solo decennale
Parlare di Dieci anni di cammino della Chiesa italiana con i giovani potrebbe dare l’impressione che la CEI abbia espresso particolare attenzione al mondo giovanile solamente nell’ultimo decennio, coincidente con la vita del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile. È giusto invece precisare che, nella pluridecennale vicenda della Conferenza Episcopale Italiana, il “camminare con i giovani” non è stata una preoccupazione assente.
Mi piace citare un documento anteriore alla stessa costituzione della CEI, per mostrare come l’attenzione alle nuove generazioni è non da ieri una priorità pastorale per l’Episcopato italiano. Si tratta della prima Lettera collettiva dei presidenti delle conferenze episcopali regionali d’Italia.
Campo particolarissimo per questa ricerca [dei lontani], per ogni apostolico dono e sacrificio, per le migliori e più metodiche iniziative è la gioventù. Essa rappresenta il domani anche prossimo. Il suo orientamento sarà determinante per la pace e per la civiltà. Non mancano chiari sintomi di quanto tale problema si arroventi. Le migliori risorse devono impiegarsi a difesa e a salvezza dei giovani di ogni età e sesso, anzitutto dei fanciulli. Senza indugio e riserva.
Questo predominante problema deve essere tenuto sommamente presente nella ripartizione del tempo, dei mezzi e delle iniziativi da parte di tutti i parroci e dei loro collaboratori, nonché da parte di coloro che dirigono associazioni di Azione Cattolica o istituti ed opere destinate al bene della gioventù.
Noi supplichiamo i nostri confratelli nel sacerdozio a non ritenersi mai dispensati dall’apostolato giovanile, per il timore di non averne le doti o di avere ormai esaurite con gli anni le possibilità. Abbiamo presente che si lavora tra i giovani non per averne un successo personale; che la preghiera, il sacrificio, la fiducia ed il coraggio dell’umiltà sono possibili a tutti coloro i quali, con l’ordine sacro, hanno la divina promessa di una grazia pari e anche maggiore dei loro sacerdotali doveri.[1]
Posteriormente a questo documento se ne potrebbero ricordare degli altri, esprimenti non solo una generica preoccupazione per la gioventù (tema presente in diversi scritti inerenti problematiche di carattere etico), ma una precisa intenzione per uno strutturato impegno ecclesiale nei loro confronti. Su tutti i nn. 137-137 del Documento di Base, il primo catechismo dei giovani (Non di solo pane) e numerosi documenti (a varia firma) dedicati alle vocazioni e al fidanzamento.
2. La svolta (il salto di qualità) degli anni ‘90
Con tutto ciò, non v’è dubbio che gli anni ’90 abbiano fatto registrare un significativo salto di qualità nell’attenzione della CEI per la pastorale giovanile. Da questo punto di vista, l’istituzione del Servizio Nazionale è stato il frutto della progressiva maturazione di una sensibilità nuova. D’altra parte, la stessa creazione del Servizio ha costituito un forte stimolo per la riflessione e l’azione della Conferenza Episcopale.
Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del successivo decennio si fa strada nell’Episcopato la convinzione che la pastorale giovanile riguardi non alcune persone, istituzioni o associazioni, ma l’intera Chiesa locale. La relazione dell’allora Segretario Generale Mons, Tettamanzi al I Convegno nazionale di Assisi, che prende le mosse dagli orientamenti pastorali per gli anni ’90, esprime con precisione tale prospettiva.
La pastorale giovanile non è qualche cosa di opzionale, ma di necessario, non qualche cosa di elitario da riservare ad alcuni privilegiati, ma qualche cosa che riguarda tutti e investe tutti, dunque assume la connotazione della vera e propria popolarità, a pieno titolo dentro la Chiesa, non qualche cosa di marginale, ma di essenziale al vivere e all'agire della Chiesa. Questo diritto di cittadinanza […] è oggi riconosciuto non più da alcuni addetti ai lavori o singole figure di educatori oppure gruppi di persone o istituzioni o centri impegnati nei riguardi dei giovani, ma è affermato e promosso secondo una linea tipicamente ecclesiale da parte delle diverse Chiese particolari.[2]
Alla base di tale orientamento sta una serie di fenomeni e di convincimenti che prendono progressivamente piede nelle Chiese locali. Sta soprattutto il ministero di Giovanni Paolo II: egli, con i suoi incontri con i giovani nel corso delle sue numerose visite apostoliche alle diocesi italiane, mette in evidenza la possibilità e la necessità della “presa in carico” del mondo giovanile da parte della Chiesa locale. Le Giornate Mondiali della Gioventù saranno, in concreto, l’occasione da cui in molte diocesi prenderà l’avvio una pastorale giovanile organicamente delineata.
3. Le linee di fondo della riflessione e dell’impegno della Chiesa italiana
Nei documenti promulgati dalla Conferenza Episcopale nel corso degli anni ’90 (e dei primi di questo secolo), è possibile individuare alcuni passaggi attraverso i quali sono state via via messe a fuoco le linee fondamentali che i Vescovi hanno inteso offrire alla pastorale giovanile delle Chiese locali. Li elenco velocemente:
- gli Orientamenti Pastorali per gli anni ’90 (in particolare i numeri 44-46);[3]
- la già citata relazione di Mons. Tettamanti al I Convegno nazionale di pastorale giovanile;[4]
- la Nota successiva al convegno ecclesiale di Palermo (in particolare i numeri 38-40);[5]
- gli Orientamenti emersi dalla XLV assemblea generale della CEI;[6]
- il Sussidio dell’Ufficio Catechistico Nazionale sulla catechesi dei giovani;[7]
- gli Orientamenti Pastorali per il decennio in corso (in particolare il numero 51).[8]
All’interno di detto materiale è possibile rintracciare alcune costanti, che sono divenute patrimonio comune della pastorale giovanile nel nostro Paese.
3.1.La soggettività ecclesiale
Una prima costante riguarda la soggettività ecclesiale della pastorale giovanile. I documenti hanno sottolineato fortemente l’esigenza di una progettazione e un’azione coinvolgenti la comunità cristiana tutta, a livello diocesano e parrocchiale. Tale ecclesialità esige un comune sforzo di comprensione del mondo giovanile, uno stile “sinodale” di progettualità capace di coinvolgere in un disegno unitario tutte le realtà ecclesiali (parrocchie, “settori”, persone, associazioni, “carismi”, vocazioni...), un’azione coordinata e integrata, caratterizzata da capacità di accoglienza e di accompagnamento, e finalmente una fiduciosa apertura alle agenzie educative e sociali presenti sul territorio. Il dispiegarsi della soggettività ecclesiale richiede anche un minimo di strutturazione, sia a livello di ufficio/servizio diocesano (con il relativo responsabile ed altre eventuali persone ad esso dedicate), sia livello di organismi di partecipazione. (variamente costituiti, denominati e composti). Da questo punto di vista, la costituzione del Servizio Nazionale ha offerto un modello e degli stimoli decisivi.
3.2. Il protagonismo dei giovani
Una seconda linea è l’apertura di credito al mondo giovanile. Non mancano, nei documenti citati, considerazioni assai realistiche sui limiti e sui problemi delle nuove generazioni; si riconosce però una fondamentale fiducia nei loro confronti. I giovani sono accolti come risorsa della comunità cristiana; la novità di cui sono portatori viene letta anche come parola profetica per il futuro della Chiesa e dell’umanità. Da questo sguardo sul mondo giovanile si origina il richiamo ad un maggiore protagonismo dei giovani: una pastorale non soltanto “per” loro, ma anche “con” loro e, “insieme” a loro, verso tutta la realtà giovanile.
3.3. La centralità della proposta di fede
Una terza costante interessa la meta della pastorale giovanile: una fede viva e coinvolgente in Gesù Cristo. Aiutare i giovani a incontrare Cristo e a camminare dietro di lui fino a mettere la propria vita nelle sue mani è più volte ribadito come l’obiettivo principale dell’azione ecclesiale con i giovani. Di qui l’attenzione agli itinerari: organici, sistematici, differenziati, progressivi, capaci di condurre a Cristo da punti di partenza diversi, caratterizzati da una “simpatia” di fondo per la cultura giovanile. L’attenzione vocazionale viene a coniugarsi in maniera organica con il cammino di fede: si tratta di un’attenzione “ a tutto campo”, volta a dare a tutte le scelte di vita (professionali, scolastiche, affettive…) lo spessore di una risposta libera e consapevole ad un progetto donato da Dio. In quest’ottica, si guarda con particolare favore alle esperienze di volontariato e di impegno educativo, sociale e politico.
3.4.L’evangelizzazione di tutta la realtà
Un quarto elemento, fortemente caratterizzante il cammino della Chiesa italiana, è il richiamo ad una evangelizzazione di tutta la realtà giovanile, dove la totalità va intesa in senso spaziale, ma ancor di più culturale. Si delinea una pastorale giovanile che interessa non solo i luoghi ecclesiali, ma tutti gli ambiti della vita di un giovane, misurandosi anche con gli ambienti e i tempi meno formali: quelli del tempo libero, delle “vite parallele”, della notte. L’attenzione alla totalità si declina anche come impegno a parlare la lingua dei giovani, cioè a ridire nei linguaggi e nelle “tecnologie” tipici delle nuove generazioni il messaggio perenne del Vangelo. La comunità cristiana viene richiamata alla propria costitutiva “estroversione” per darsi una nuova capacità di dialogo, dentro e fuori i propri ambienti, con il mondo giovanile, senza trascurare le realtà più problematiche, marginali o provocatorie.
3.5. L’importanza delle figure educative
Un’ultima costante è relativa alle figure educative: la preoccupazione per la formazione dei presbiteri, degli animatori, di nuovi educatori... Figure non più concepite in chiave di “delega”, ma come espressione di un accompagnamento personale offerto dalla comunità ad ogni giovane che lo desideri, in ogni situazione in cui sia necessario. Figure educative nuove, non più legati al gruppo, ma capaci di sostenere un agire pastorale “estroverso”, articolato su luoghi, situazioni, linguaggi e circostanze diverse.
A conclusione di questa rapidissima carrellata è importante introdurre una considerazione: tutti i documenti citati guardano in avanti, verso una pastorale giovanile che è in (larga) parte da inventare, da migliorare, da sperimentare… I riferimenti a nuove piste di azione, a nuovi ambienti da raggiungere, a nuove attenzioni da avere, a nuovi linguaggi da parlare, a nuove figure educative da formare… trasmettono la precisa sensazione di “lavori in corso”. Impressione positiva, dal punto di vista della creatività e della forza propulsiva; impressione in parte anche inquietante, quasi che non si sia ancora trovato il classico bandolo di una matassa abbastanza confusa. Perciò, penso sia legittimo ed interessante chiedersi, quasi a bilancio di questo decennale cammino, se i documenti CEI abbiano indicato una direzione ancora valida e se non sia necessaria un’ulteriore ricerca.
4. Un cammino che continua
Sono convinto che il cammino intrapreso meriti di essere seguitato, anche se chiede di venire sviluppato in rapporto alle sempre nuove sfide che il nostro tempo presenta a chi intenda mettersi a servizio dei giovani e della loro vita. Mi permetto qualche rapida considerazione che aiuti a proseguire creativamente sulla strada percorsa.
Parto dalla centralità che la comunicazione del Vangelo riveste in quella “conversione pastorale” cui le Chiese in Italia sono chiamate all’inizio del terzo millennio. Tale centralità consente di mettere meglio a fuoco alcune delle costanti sopra commentate, superando alcune contraddizioni altrimenti di difficile scioglimento.
4.1. Una Chiesa che ritrova unità di azione in funzione della missione
Sul versante della soggettività ecclesiale, la ricerca di convergenza attorno ai progetti e alle iniziative promossi dalla Chiesa locale, ha dovuto misurarsi con potenti forze centrifughe, mosse da istanze di segno quasi opposto: il parrocchialismo e il movimentiamo. Una comunità cristiana sbilanciata sulla missione può trovare nuove ragioni e nuove forme di comunione, attorno a progetti e prassi che esigono, per essere efficaci, la collaborazione appassionata di tutti i soggetti ecclesiali.
4.2. Una parrocchia “in rete” per incrociare i percorsi dei giovani
La recente (e non ancora conclusa) riflessione dell’Episcopato sulla parrocchia, trasportata a livello di pastorale giovanile, mette le basi per sciogliere una ulteriore contraddizione: quella tra una pastorale estroversa e una comunità parrocchiale ancora saldamente strutturata nei propri confini (territoriali e – quel che è peggio - mentali). Solo una parrocchia che si ridisegna in funzione della missione può cessare di percepire come concorrenziale (e quindi iniziare a supportare) una pastorale giovanile che si dispiega al di fuori degli spazi abituali dell’agire ecclesiale.
4.3. Una formazione “integrata” per un maturo protagonismo dei giovani
Il desiderio di coinvolgere maggiormente i giovani come soggetti – e non solo destinatari – della pastorale giovanile ha trovato ostacolo in una logica educativa segnata da una consolidata antinomia (a volte declinata come propedeuticità) tra formazione e missione, tra essere e fare, tra spiritualità e impegno di testimonianza. La “conversione pastorale missionaria” sostuisce le antinomia con le complementarità: non può esserci missionarietà se non a partire da una profonda spiritualità; ma non c’è esperienza spirituale autentica che non sia apra naturalmente alla propria autocomunicazione. Formazione e missione, essere e fare, spiritualità e testimonianza di carità, devono camminare di pari passo, nella consapevolezza che la missione è parte integranta di ogni percorso di crescita nella fede. È chiaro che solo in questa prospettiva può realizzarsi l’auspicato protagonismo dei giovani nell’evangelizzazione e nella vita della comunità.
4.4. Il carattere culturale e prioritario della comunicazione del Vangelo ai giovani
“Vogliamo vedere” Gesù: questo desiderio – ci ha detto il Papa nel suo messaggio per la prossima GMG – abita in maniera insopprimibile ogni giovane,[9] ma il clima culturale odierno rende faticoso da una parte tenere insieme fede e quotidianità (sul piano dei comportamenti personale, comunitari e sociali), dall’altra tende a negare ogni alla fede ogni evidenza pubblica, cioè il poter incidere nella cultura del Paese. Dal canto loro, i giovani risultano particolarmente vulnerabili perché portati a pensare alla fede come ad un’esperienza che si esaurisce nella solidarietà, oppure come ad un’esperienza sostanzialmente emozionale e spirituale, che fa sempre più a meno della dimensione razionale (e veritativa) e che quindi si qualifica come un momento separato dalla vita, la quale si determina in base ad altre regole e dinamiche. Il rischio è quello di un amore (di una fede) affettivo che non diviene effettivo.[10]
In questa cultura che tende a dissociare (etimologicamente “eretica”), gli orientamenti pastorali invitano a parlare di Cristo ai giovani tenendo insieme, con grande sapienza culturale e linguistica, sentimento e ragione, spiritualità ed esercizio della carità, relazione e istituzione, umanità e trascendenza. Tutto questo non si improvvisa, né si sviluppa in tempi brevi. Lo spessore culturale, insieme al carattere prioritario della trasmissione del Vangelo alle nuove generazioni – esigono da parte della Chiesa locali il coraggio di investire persone, tempi e risorse in un processo comunicativo complesso e lungo, com’è di ogni tentativo di incidere a livello culturale.
5. Conclusione
Molto il cammino percorso, molto ancora quello da fare. Alla luce però di una convinzione profonda, che proprio questa “breve” storia ha lasciato dentro di me - e spero anche in voi – grazie ad esperienze grandi e piccole: dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Roma alla vitalità di tante parrocchie, comunità, associazioni, gruppi, oratori... Che la Chiesa, quando si rivolge con fiducia al mondo dei giovani, si mette in ascolto delle loro attese, accetta di parlarne i linguaggi, propone con coraggio la pienezza della verità, scommette su di loro con proposte esigenti, dà loro spazi autentici di protagonismo... è capace di suscitare un incontro vitale e “fresco” tra i giovani e Cristo. Perché il Vangelo non è estraneo a nessuna cultura e a nessuna generazione, neanche a quella di oggi.
Grazie e buon lavoro a tutti voi!
NOTE
[1] Presidenti delle conferenze episcopali regionali d’Italia, Lettera collettiva. Pompei, 2 febbraio 1954, in: “L’osservatore Romano”, 1-2- febbraio 1954, (nn. 21-24).
[2] D. Tettamanzi, Il significato della scelta "Educare i giovani al vangelo della carità" nel piano pastorale della Chiesa in Italia "Evangelizzazione e testimonianza della carità". Relazione al I convegno nazionale di Assisi, 19 ottobre 1992, in: “Notiziario del SNPG”, 0/1993, p.10.
[3] Educare i giovani al vangelo della carità, in: Conferenza Episcopale Italiana, Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per gli anni ‘90, in “Notiziario CEI” 12/1990, pp. 321-362 (nn. 44-46).
[4] D. Tettamanzi, Il significato…, in: “Notiziario del SNPG”, 0/1993, pp. 9-20.
[5] Con i giovani per testimoniare la speranza, in: Conferenza Episcopale Italiana, Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa italiana dopo il convegno di Palermo, in “Notiziario CEI” 5/1996, pp. 155-189 (nn. 38-40).
[6] Presidenza della CEI, Educare i giovani alla fede. Orientamenti emersi dai lavori della XLV Assemblea Generale della CEI, 27 febbraio 1999, in: “Notiziario CEI” 2/1999, pp. 49-59.
[7] Ufficio Catechistico Nazionale, La catechesi e il catechismo dei giovani, EDB, Bologna 1999.
[8] I giovani e la famiglia, in: Conferenza Episcopale Italiana, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell'Episcopato italiano per il primo decennio del 2000, in: “Notiziario CEI” /2001, pp. (n.51).
[9] cf. Giovanni Paolo II, Messaggio per la XIX Giornata Mondiale della Gioventù, 22 febbraio 2004, n. 1.
[10] Ibid., n.5.
* Segretario generale CEI
Monopoli, 17 marzo 2004