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    «Onora il padre

    e la madre»

    Il quarto comandamento

    Gianfranco Ravasi

    Nel 1997 Rizzoli ha pubblicato un volume lapidariamente intitolato Decalogo. In esso un critico letterario, Arnaldo Colasanti, vicedirettore della rivista Nuovi Argomenti, aveva convocato dieci scrittori italiani invitandoli a "narrare" ciascuno un comandamento del Decalogo. Sono, così, sorti racconti diversi per genere, qualità e pertinenza che cercano di attualizzare quelle antiche parole. Così il "Non avrai altro Dio fuori di me" è riportato da Aurelio Picca all'interno di un ospedale ove una nonna vive le sue ultime ore, mentre Erri De Luca rappresenta il "Non desiderare la donna d'altri" attraverso la storia personale di una brigatista irriducibile e Luca Doninelli nel "Non uccidere" introduce la giornata di un killer. Il terzo comandamento è offerto da Linda Ferri nel racconto "Il tempo che resta" da un'angolatura particolare, quella di una donna gravemente malata che vive il suo ultimo compleanno.
    Potremmo continuare in questa esemplificazione narrativa per tutti i comandamenti. Vogliamo, invece, segnalare solo un dato generale che tocca in modo particolare il quarto comandamento che ora presentiamo: è necessario soffiar via dal Decalogo la patina polverosa, arcaizzante e "da vecchio confessionale" odorante di muffa. Esso, come aveva a suo tempo insegnato Enzo Biagi con la sua trasmissione televisiva dedicata ai dieci comandamenti, colpisce la permanente e costante quotidianità, cioè l'universalità dell'uomo e della donna nella sua essenza profonda e nelle sue relazioni capitali.
    Ecco, il quarto comandamento apparentemente sembra arroccarsi su una remota fortezza patriarcale ove domina il "Padre padrone", per usare il famoso titolo del libro autobiografico di Gavino Ledda, divenuto un fortunato film dei fratelli Taviani. In questa lettura letteralista del precetto è facile far esplodere la reazione di ribellione, ben espressa dal paradossale "Disonorate il padre!", motto ideale della contestazione di qualche tempo fa.
    In realtà, come vedremo, il comandamento ben più "moderno" e universale, una volta compreso andando "al di là del versetto" , cioè della lettera, come usava dire il filosofo francese israelita Emmanuel Lévinas. Un altro filosofo, il tedesco Martin Heidegger, ci ammoniva che "interpretare è dire il non detto" di un testo, cioè andare oltre la superficie scavando nella profondità del significato ultimo e recondito. Tuttavia dobbiamo partire dal dettato della pagina biblica. In essa leggiamo questo appello: Onora tuo padre e tua madre, come il Signore tuo Dio ti ha comandato, perché la tua vita sia lunga e tu sii felice nella terra che il Signore tuo Dio ti dà. Così si legge nel Decalogo del libro biblico del Deuteronomio (5,16), mentre nell'altra redazione, quella dell'Esodo (20,12), si ha in modo più essenziale: Onora tuo padre e tua madre perché si prolunghino i tuoi giorni nella terra che il Signore tuo Dio ti dà.
    Notiamo innanzitutto che questo è, col terzo riguardante il riposo festivo, un comandamento esposto in forma positiva, a differenza degli altri precetti del Decalogo martellati da un severo "Non", seguito dall'imperativo della proibizione. Inoltre l'unico comandamento ad essere seguito da una benedizione (la vita lunga e felice). Questo fatto indica il rilievo attribuito all'"onorare" i genitori. È altrettanto significativo notare che, nonostante l'antica società patriarcale maschilista, padre e madre sono messi sullo stesso piano come degni di tutela e rispetto, cosa che non accade, ad esempio, in uno dei testi fondamentali del diritto dell'antico Vicino Oriente, il celebre Codice di Harnmurabi (verso il 1750 a.C.). Il verbo centrale è quell'"onorare", in ebraico kabbed, che merita particolare attenzione per il suo valore specifico che va ben oltre l'obbedienza o il vago rispetto.
    Si pensi, infatti, che lo stesso verbo viene usato per esprimere anche la "venerazione" nei confronti di Dio e quindi il culto e la vita religiosa, tant'è vero che nel libro del profeta Malachia si appaiano i doveri verso Dio e verso i genitori: «Il figlio onora suo padre e il servo rispetta il padrone. Se io sono padre, dov'è l'onore che mi spetta?... Dice il Signore degli eserciti (1,6). Ma c'è anche una dimensione molto concreta in questo verbo "onorare" e che può essere sintetizzata nell'obbligo del sostentamento dei genitori. Scriveva uno studioso della Bibbia, Antonio Bonora: «In una società dove gli anziani non godevano dell'assicurazione o della pensione, i figli devono dare l'"onorario" ai genitori vecchi, cioè garantire loro il sostentamento, il necessario per vivere e, alla loro morte, anche un'onorevole sepoltura .
    Su questa scia devono essere allegati altri testi biblici che sottolineano vari aspetti degli obblighi derivanti dal quarto comandamento. Si noti, ad esempio, la durezza con cui l'antico Israele biblico condannava la violazione di questi obblighi: «Colui che percuote suo padre o sua madre sarà messo a morte. Colui che maledice suo padre o sua madre sarà messo a morte (Esodo 21,15-17). Il profeta Ezechiele si lamenta con la città di Gerusalemme perché «in te si disprezza il padre e la madre» (22,7). Nel libro dei Proverbi si condanna «l'occhio che guarda con scherno il padre e disprezza l'obbedienza della madre (30,17) o «chi deruba il padre o la madre, dicendo: Non peccato! Ebbene, costui è compagno dell'assassino (28,24); si colpisce anche «chi rovina il padre o fa fuggire la madre, rivelandosi un figlio disonorato e infame (19,26); «chi maledice il padre e la madre vedrà spegnersi la sua lucerna nel cuore delle tenebre (20,20). In sintesi si esorta ad «ascoltare tuo padre che ti ha generato e a non disprezzare tua madre quando è vecchia» (23,22).
    Forte e lapidario il monito del libro del Deuteronomio: «Maledetto chi maltratta il padre e la madre!» (27,16), addolcito dal Levitico: «Ognuno rispetti sua madre e suo padre (19,3). Ma  è un sapiente biblico vissuto nel II sec. a.C., il Siracide, a offrire il più intenso e appassionato commento al quarto comandamento: «Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli, ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati; chi riverisce la madre come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi riverisce il padre vivrà a lungo; chi obbedisce al Signore dà consolazione alla madre. Chi teme il Signore rispetta il padre e serve come padroni i genitori. Onora tuo padre a fatti e a parole, perché scenda su di te la sua benedizione. La benedizione del padre consolida le case dei figli, la maledizione della madre ne scalza le fondamenta. Non vantarti del disonore di tuo padre, perché il disonore del padre non è gloria per te: la gloria di un uomo dipende dall'onore del padre, vergogna per i figli una madre nel disonore. Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo, mentre sei nel pieno vigore. Poiché la pietà verso il padre non sarà dimenticata, ti sarà computata a sconto dei peccati. Nel giorno della tua tribolazione Dio si ricorderà di te; come fa il calore sulla brina, si scioglieranno i tuoi peccati» (3,2-16).
    Anche Gesù sarà severo nei confronti di ogni violazione di questo comandamento, soprattutto quella codificata dalla tradizione giudaica e nota sotto il termine qorban ("realtà sacra"). Ipocritamente si dedicava in voto a Dio una cifra, così da essere esentati dal dovere del sostentamento dei genitori anziani. Gesù con veemenza dichiara: «Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione? Dio ha detto: Onora il padre e la madre e inoltre: Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Invece voi asserite: Chiunque dice al padre o alla madre: Ciò con cui ti dovrei aiutare è offerto a Dio, non è più tenuto a onorare suo padre o sua madre. Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti!» (Matteo 15,3-7).
    Sulla duplice dimensione che il rapporto padri-figli comporta interviene, invece, Paolo quando agli Efesini scrive: «Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa: perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra» (6, 1-3). Proprio sulla base delle parole dell'Apostolo, dobbiamo scavare più in profondità in questo comandamento per scoprire l'ampiezza del suo orizzonte.
    Giustamente uno studioso, J. Becker, osservava che il comandamento sui genitori è soltanto la punta di un iceberg. La famiglia, infatti, rappresenta anche altre forme naturali di comunità e di autorità, soprattutto la comunità del popolo.
    È per questo che del quarto comandamento sono possibili altre interpretazioni più estensive e persino attuali. C'è innanzitutto quella sociale che vede nei genitori il simbolo del retto funzionamento delle relazioni familiari, tribali, comunitarie e, quindi, dell'intera vita socio-politica. In questa luce il precetto esalta il diritto-dovere di partecipare alla costruzione di una società armonica e giusta.
    C'è un'altra dimensione che potremmo chiamare tradizionale. I genitori incarnano la generazione precedente coi suoi valori che devono essere trasmessi e attualizzati. Nell'onore da rendere ai genitori è, allora, implicito anche il riconoscimento della loro funzione di maestri, di tutori della tradizione, dell'eredità morale di una famiglia e di un popolo, dei valori spirituali e religiosi. L'onore reso ai genitori in questa luce dovrebbe contribuire a edificare una società sana e coerente. Per questo è grave la responsabilità del genitore come maestro: egli non deve lasciarsi tentare dallo scimmiottare i giovani ignorando la sua missione. Purtroppo, come notava il filosofo Friedrich W. Nietzsche, «i più grandi sbagli nel giudicare una persona li fanno proprio i suoi genitori», incapaci di educarla. C'è, quindi, nel comandamento un cenno implicito anche alla responsabilità del padre e della madre che, come diceva il Concilio Vaticano II, «devono essere per i figli primi maestri della fede (Lumen Gentium n. 11). Il poeta latino Giovenale (I sec. d.C.) scriveva: «I vizi che i genitori trasmettono ai figli sono numerosissimi. I cattivi esempi che vengono dalla famiglia corrompono più in fretta e più a fondo, perché penetrano nell'animo attraverso modelli autorevoli».
    Infine, lo studioso tedesco R. Albertz ha identificato nel quarto comandamento una dimensione che chiameremo psico-fisica: il figlio, ormai autonomo e adulto, divenuto a sua volta responsabile della patria potestà, invitato a sostenere moralmente ed economicamente i genitori, radici della sua vita, mentre oramai essi si avviano verso il viale del tramonto. È questo un capitolo particolarmente rilevante per la nostra società che assiste all'invecchiamento di strati sempre più vasti e si trova impreparata a seguire e ad assicurare una vita dignitosa all'anziano. Certi ricoveri, simili a lazzaretti, la stessa realistica diminuzione delle forze lavorative giovani, l'allungamento dell'età media della vita, la frenesia dell'esistenza moderna rendono sempre più importante e spesso drammatica la riflessione e l'impegno che promanano da questo precetto decalogico. Ma il discorso s'allargherebbe a dismisura coinvolgendo aspetti etici, economici, psicologici, politici e sociologici. Noi ci accontentiamo di concludere col detto amaro dello scrittore inglese Oscar Wilde: «I figli cominciano con l'amare i loro genitori; quando crescono li giudicano e il più delle volta li dimenticano».


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