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    Gesù educatore /2. Aspetti dell’educare secondo Gesù


    Cesare Bissoli

    (NPG 2012-01-11)


    Questo secondo articolo si muove entro un’ottica espressa ed acquisita precedentemente: educare alla scuola di Gesù significa elaborare un pensiero pedagogico e realizzarlo in fatti educativi muovendoci sempre dall’intenzionalità di Gesù e dal suo stile operativo, non strappando dalle radici qualsiasi input educante per quanto bello e ci piaccia.
    In questo modo non ci viene permesso di parlare di Gesù educatore andando alla ricerca quasi esasperata di ciò che è proprio solo di Lui, una originalità dunque materiale. Si tratta invece di un insieme di dati pertinenti all’educazione, originali o meno che siano, tutti suoi o condivisi con altri, che meritano attenzione non perché Egli li ha enunciati e praticati per primo, e soltanto Lui, ma perché Gesù li ha affermati e vissuti nel mistero della sua persona, nell’economia del Regno di Dio.
    Qui lo spazio di indagine è molto vasto, per cui la ricerca sull’educare si innesta e va capita all’interno del senso globale del vivere che gli ha dato Gesù.
    In ogni caso, per non estendere e così estenuare l’idea di educazione nel genericismo e nell’indistinto, richiamo quei tratti dell’operare di Gesù che abbiamo ritenuti educativi in quanto considerati tali nel sentire comune dell’uomo:[1] un processo o cammino ad un fine ben cosciente e fatto conoscere, l’enunciazione chiara di esso, una ricercata e affermata relazione interpersonale, l’invito ad una scelta di libertà, di conseguenza l’accendersi di una speranza influente per il futuro, l’assicurazione di un sentimento profondo di pace, di gioia, nonostante tutto, uno stile ospitale nel rapporto.
    Accogliendo la concezione umanistica di educazione, possiamo ulteriormente arricchire il quadro lasciatoci da Gesù sia nei contenuti che nei metodi.
    La valenza educativa dei contenuti che Gesù propone alla persona si manifesta orientata ad una determinata, specifica meta: educare alla causa di Gesù, alla sua persona.
    Fuori di qui – cioè fuori dell’ottica della fede – non si può accogliere nulla di valido dalla sua vita? Non dobbiamo essere drastici, quasi manichei: Gesù si offre a tutti e un atto di accoglienza nel suo nome è sempre accogliere Lui: se ciò vale per un bicchiere d’acqua (cf Mt 10,42), ancora di più ciò accade quando si accoglie qualche suo insegnamento per l’educazione di una persona. Ma è vero che il nostro interesse pedagogico non può essere a metà. In un certo senso si possono dire cose meglio di come abbia fatto Lui, di certo più aggiornate. Ma non viene detto Lui.
    Un volta invece riconosciuto il valore di Gesù e alla luce della sua identità e missione, si affaccia dai vangeli un contenuto pedagogico di cui i cristiani si avvalgono legittimamente, anzitutto quando operano nella visione evangelizzatrice che è propria di Gesù, ma anche quando si impegnano in ambito puramente umano, laico, sapendo che Gesù ha assunto la nostra umanità. Certamente non si dimenticherà che il passaggio dalla sua arte educativa alla nostra richiede una ermeneutica creativa, o della sequela, come diceva Lui, e di cui faremo cenno più avanti.
    Ritengo utile evidenziare nell’operare di Gesù tre tipi di contenuto che investono l’impegno educativo del cristiano:
    – le esperienze privilegiate che – al dire di Gesù stesso – portano a Lui;
    – le dinamiche educative che provengono dalla visione che il Cristo offre di sé alla persona (il giovane) che lo incontra;
    – ma anche le dinamiche educative che attengono la persona in se stessa dalla visione che gli viene data dal Cristo incontrato.
    Proponiamo questi contenuti come traccia tutta da sviluppare.

    Esperienze privilegiate di incontro con Gesù

    Ne ricaviamo sei dalle indicazioni evangeliche.

    * L’esperienza della ricerca («Venite e vedrete»: Gv 1,39).
    È l’area della domanda sulla identità (di sé e di Gesù). Comprende l’ascolto delle Scritture, delle parole di Gesù stesso, il confronto con altre visioni della vita, la crisi e rottura con le potenze del male, il processo della conversione, dalla sfida alla decisione, il discernimento evangelico della realtà.
    * L’esperienza della comunione («Amatevi, come io vi ho amato»: Gv 13,34).
    È l’area della carità come consegna precisa di Gesù. Comprende la familiarità con la Trinità, il Padre, lo Spirito, Gesù Signore, e con le persone che formano la famiglia di Dio che è la Chiesa. Significa uno stile: la vita nella fraternità (figli dello stesso Padre), l’esercizio del perdono illimitato, della preghiera insieme (Padre Nostro), dello stare con Gesù operando e riposando con Lui. Comporta la condivisione del pane eucaristico e del pane materiale con il povero come altro Lui.
    * L’esperienza della missione («Annunciate il Vangelo ad ogni creatura»: Mc 16,15).
    È l’area di esprimere agli altri il dono ricevuto: il Regno di Dio, il Vangelo di Gesù. Comprende un chiaro impegno missionario, dalla testimonianza senza vergogna, coraggiosa e innamorata di Gesù davanti agli uomini, all’annuncio esplicito di Lui agli altri.
    * L’esperienza della croce («Prenda la sua croce e mi segua»: Mc 8,34).
    È l’area delle opposizioni per essere discepolo di Gesù. Comprende opposizioni interne personali della cupidigia, dell’orgoglio farisaico o auto-salvezza, dell’affanno nella vita e della paura della morte; opposizioni esterne (diavolo, mondo) con la seduzione del potere e della ricchezza, l’ostilità della persecuzione, lo scoraggiamento dell’insuccesso.
    * L’esperienza dell’impegno nel mondo, della fede operosa e della speranza vigilante («Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo»: Gv 16,33).
    È l’area della fede fiduciosa e operosa più forte di ogni ostacolo, che si traduce in fermento evangelico (sale, luce) nel quotidiano. Comprende l’area delle Beatitudini vissute in prima persona, l’area della fiducia nell’«Io sono con voi tutti i giorni», del Consolatore, l’area dell’appartenenza alla comunità ecclesiale, l’area dell’attesa del futuro come attesa del Signore che viene a portare il premio a chi l’aspetta con l’ardore della carità e della fedeltà, l’area della vigilanza e del pellegrinaggio verso la città futura.
    * L’esperienza della vocazione («Seguimi»: Mc 2,14).
    È l’area del proprio progetto di vita trovato alla luce del Vangelo, dunque di una vita come vocazione, chiamata personale di Dio, entro cui pervenire alla realizzazione di sé. Comprende l’area dell’apertura generosa di sé al piano di Dio, senza appesantimenti di «ricchezze» deformanti, l’area del cuore puro, dell’ascolto della Parola, della scelta coraggiosa della propria vocazione per la vita matrimoniale, per la scelta presbiterale, per la vita consacrata, per la scelta missionaria, sapendo che quelle rare sono a Dio le più gradite.

    Quale Gesù è incontrato dall’uomo

    Ossia quale pedagogia deriva dal modo di rapportarsi di Gesù all’uomo? E quindi a quale Gesù una pedagogia rispettosa delle fonti può e deve educare?
    Un primo lineamento globale del vangelo presenta un Gesù non prevenuto o scontroso o oracolo solitario, ma uomo giovane-adulto, del tutto aperto, disponibile, che accetta di incontrare le persone che lo cercano, e anche quelle che non lo cercano ma lo farebbero se sapessero che Lui è loro amico, che vorrebbe parlare con loro, e anche con quelli che fuggono da Lui, e proprio nei giorni in cui aveva vinto la morte (i due di Emmaus).
    Da questo si rivela come sia profondamente rispettoso della libertà e intervenga se anche per un momento venga accolto, almeno come compagno di fuga e di amarezza, sperando di essere accettato come amico desiderato per poter dialogare con te.
    Un secondo lineamento comprende tre aspetti uniti insieme, indisgiungibili:
    – Un aspetto di Gesù dei Vangeli è di impostare il discorso su temi che riguardano non banalità o convenevoli, ma il mondo profondo della vita, dove vi è il desiderio, il sogno, ma anche il bisogno, la sofferenza, la decisione, il futuro, la relazione con gli altri. Insomma quelle che si dicono le «grandi o vere domande» della persona.
    – Ma Lui non parla come un terapeuta o un filosofo, o l’amico del cuore, il confidente. Parla come un credente in Dio, quindi vede l’uomo dal punto di vista religioso, come Dio, il Padre – dice lui – lo vede. E qui presenta:
    * una visione religiosa niente affatto comune, di routine o estrinseca; ha una originalità affascinante: va a illuminare gli esistenziali della persona;
    * una visione niente affatto ritualistica: ti dà l’idea che il Padre, che non vedi, ti vede e si cura veramente di te;
    * una visione niente affatto frammentata: è una visione religiosa organizzata attorno ad un progetto messianico, di liberazione e salvezza dell’uomo, che chiama Regno di Dio;
    * una visione niente affatto monotona, statica e passivante: Egli afferma che il Padre è all’opera nel mondo per farne il Regno, e lo fa con misericordia infinita, per cui l’uomo è coinvolto a fare qualcosa, a condividere l’amore del Padre e a estenderlo come amore verso il suo prossimo in una tensione per la giustizia e la pace: il suo Discorso della Montagna è un frammento luminoso di cosa sia il Regno di Dio nel regno dell’uomo;
    * infine una visione religiosa niente affatto parolaia: il bello è che Gesù fa per primo quello che dice, chinandosi sul «meno uomo» a nome del Padre, compiendo opere, alcune potentemente miracolose, come il primo messaggio che rende credibile ciò che annuncia. Tra queste opere ve n’è una che rompe ogni modello: Egli è stato ucciso dagli uomini ed Egli a nome di Dio ha dato la sua vita per gli uomini. E pur morto e sepolto, Dio lo ha risuscitato dalla morte proponendolo come il suo dono all’umanità, questa volta per tutti i tempi e tutti i luoghi.
    – Di qui il terzo aspetto: Gesù non solo autorevolmente propone Dio nella vita dell’uomo che lo incontra, ma si fa anche esigente, l’esigenza di chi propone un dono alto. Si tratta di salvezza, di vita libera dal male, si tratta di un futuro di felicità. Perciò pretende di essere ascoltato, o meglio mette l’uomo di fronte alla sua responsabilità una volta che l’ha incontrato. Non è più come prima, non è come se l’incontro non fosse capitato. Vi è inerente una provocazione per una scelta e una decisione, di sì o di no, di un sì con i fatti, o di un rifiuto di cui portarne le conseguenze. Questo non può accadere in un solo incontro, ma tutti portano con sé un giudizio di accoglienza o il suo contrario. Incontrare Gesù è incontrare un incendiario, non un pompiere, che ha la capacità però – l’ha detto Lui – di ravvivare una fiammella smorta. Non è la spada di Brenno che dice guai ai vinti, ma un Maestro amico che aspetta anche la venticinquesima ora per ospitare il viandante, mai vendicativo se lo rifiuti, ma lui stesso triste della tristezza di chi lo rifiuta – come il giovane ricco (cf Mc 10,22) – perché rifiutandolo ti rifiuti, rifiuti a te stesso una realizzazione di te stesso grande come il Regno di Dio.

    Quale uomo è incontrato da Gesù

    Ossia quale pedagogia deriva dal modo di pensare e trattare l’uomo da parte di Gesù? E quindi quale uomo una pedagogia fedele alle fonti è chiamata ad educare?
    È l’uomo-donna storico che siamo ciascuno di noi, in carne e ossa, con la sua storia, il suo sesso, i suoi sogni, le sue risorse e i suoi limiti. Vi è da parte sua stima e approvazione positiva per il fatto che ci siamo, per quello di positivo che facciamo, in vista di quello che saremo, potremo e vorremo fare. Di una opzione preferenziale si può parlare: per i piccoli anche come bambini, e per i poveri.
    Per Gesù ognuno che l’incontra è chiamato ad impostare una vita ispirata al Vangelo, non solo come modello, ma come metamorfosi o trasfigurazione o conformazione maturante progressiva (= santità) alla vita di Gesù, alla sua causa.
    Il Regno di Dio è da intendere come profonda convinzione ed esperienza di Dio come Padre e amico di ogni creatura, per missione del quale lotta contro il male morale e fisico, annuncia la spiritualità delle Beatitudini, le vive lui stesso in uno stile di profonda umanità verso i deboli e i poveri, e insieme di coraggio e determinazione nell’impegno per la verità, la giustizia e la pace, fino a dare la vita per l’uomo e ritrovarla vittorioso della morte. Avere la mentalità di Gesù, il pensiero di Gesù, lo stile di vita di Gesù: ecco ciò – voluto da Lui – cui porta un verace, non ornamentale od emotivo incontro esistenziale con Lui.
    In forza di un atto consapevole di intima conversione (come l’incontro al pozzo della samaritana con Gesù, dove l’uno ha sete dell’altro, Gv 4,7.15), l’uomo fa di Gesù una scelta definitiva di vita, sapendo di essere stato lui stesso cercato e scelto da Lui: cioè mette Gesù e il suo Vangelo come il piano di sotto (=ispirazione e motivazioni) della propria esistenza con le sue scelte autonome, ma non separate o contradditore, di professione, di relazione, di uso del tempo. Opera questa sintesi di vita e fede, nella convinzione di non agire da solo, ma di essere guidato dallo Spirito di Gesù, per cui lo segue fedelmente, condividendo con Lui una suprema fiducia nell’amore del Padre anche quando le cose si fanno grigie e amare, operando frequenti incontri rivitalizzanti con Lui nella Parola, nei Sacramenti, nella preghiera e nel servizio ai poveri, testimoniandolo con coraggio e dolcezza nel proprio mondo di esistenza, imparando a giudicare le esperienze della vita con il suo vangelo e lasciandone il segno negli ambienti di vita (lavoro, scuola, famiglia, tempo libero, politica, cultura, sport), aiutando altri – con il dialogo e l’esempio – a trovare lo stesso Gesù, e orientando il proprio futuro ultimo ad un incontro definitivo con Lui.
    Per questa via, una persona né falsifica la sua umanità, né si aliena da essa in qualche movimento settario, né l’adorna di qualche virtù in più, ma fa proprio con convinzione quanto afferma il Concilio, «chiunque segue Cristo, l’Uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (GS 41; v. pure GS 22). È la «paradossalità dell’esperienza cristiana», di cui hanno parlato i Vescovi negli Orientamenti pastorali del decennio scorso:
    «I cristiani sono uomini come tutti gli altri, pienamente partecipi della vita nella città e nella società, dei successi e dei fallimenti sperimentati dagli uomini; ma sono anche ascoltatori della Parola, chiamati a trasmettere la differenza evangelica nella storia, a dare un’anima al mondo, perché l’umanità tutta possa incamminarsi verso quel Regno per il quale è stata creata» (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 35).
    L’adesione al Cristo, porta l’uomo a scoprire di essere in tanti che lo fanno, per cui incontrare il Cristo è sempre incontrarlo insieme. Questa comunione con Gesù e con gli altri si chiama «santa convocazione», Chiesa. Chi sceglie Cristo, sceglie necessariamente di appartenere, anzi di essere Chiesa, non con la pretesa di trovarsela perfetta, perché allora finisce con il non trovarla mai, il distaccarsi e rifiutarla, ma di impegnarsi con il Papa, i Vescovi, i presbiteri a renderla migliore, più credibile, più vivibile, più fontana per tutti che fortezza per pochi. Insomma una Chiesa comunione e servizio. La famiglia delle famiglie. In essa l’uomo-donna fedeli trovano spazio per un servizio di famiglia (catechesi, volontariato…).
    Entrato nel movimento trascinatore di Gesù, l’uomo-donna non rimane un cristiano generico, una cifra da anagrafe dei battesimi. La sua singolarità è rispettata da Cristo e valorizzata con una chiamata specifica o vocazione nella sua Chiesa.
    Per essa si intende anzitutto l’organizzazione della propria vita come un progetto, in cui si conoscono e apprezzano gli elementari del «gioco» (così poco gioco) della vita: «da dove vengo, dove vado, cosa spero, cosa intendo fare…». Ma è progetto secondo Gesù non solo quando si assume un corretto profilo orizzontale, «aziendale», ma ci si apre a vivere la vita come un sì orientato da Dio nella direzione di uno status evangelicamente ispirato, cioè nella direzione della vocazione alla vita matrimoniale, alla vita presbiterale, alla vita religiosa, alla vita missionaria. D’ora in poi non si può parlare di vero incontro di Cristo con i giovani, se un giovane non si presenta con una sua vocazione già identificata o almeno alla ricerca di essa.

    Il metodo

    È stata l’area più esplorata, l’area del «come Gesù educa», che forse attrae maggiormente nella pia illusione di fare altrettanto come Lui. L’analisi delle modalità si muove secondo parametri che uno considera validi, di ordine antropologico, cioè psicologico, psicanalitico, psico-sociale, femminista, liberazionista…
    Non si nega che i dati proposti abbiano una loro presenza nei vangeli e che la varietà dei metodi di ricerca, che non è certamente conclusa, porti ad affinare quanto qui espresso e aggiungere altri aspetti. Ma ancora una volta non va dimenticato che geneticamente prioritario rispetto al come, è il perché Gesù educa, cioè le ragioni che in quanto tali – le abbiamo compendiate nell’annuncio del Regno e dunque dell’amore misericordioso e sconfinato di Dio per ogni creatura – portano oltre la sfera puramente umana ed esigono di restare l’orizzonte entro cui si inseriscono le tante modalità esecutive.

    J. Cantinat, riflettendo sull’agire di Dio nell’AT e di Cristo, individua cinque procedimenti pedagogici:
    – testimonianza (comunicazione della rivelazione attraverso testimoni più che per via diretta di Dio all’uomo: anche Gesù si pensa testimone e si affida a testimoni);
    – processo sensoriale (presentazione concreta della rivelazione);
    – ricorso allo stimolo (utilizzazione di promesse e di prove);
    – procedimento per contatto (accentuazione del sentimento della divina presenza come fattore di sicurezza);
    – progressione (iniziazione dello spirito a verità sempre nuove).[2]

    B. Chevalley, commentando singoli brani evangelici, presenta questa sequenza:
    – una pedagogia della riuscita, ma anche dell’insuccesso, della scoperta, della rottura, della docenza;
    – una pedagogia che si svolge secondo tempi, luoghi e destinatari caratterizzati;
    – una pedagogia dell’oralità e dell’attenzione costante al pubblico con ammennicoli di cui l’uso delle parabole e di un ampio immaginario di segni sono garanti.
    In conclusione si tratta di una pedagogia della relazione e volta all’esistenza della persona.[3]

    Altri (un po’ tutti gli esegeti) hanno scavato su quel versante che comunemente è ritenuto l’ambito più esplicitamente pedagogico: Gesù come Maestro, bene rimarcato da Gesù stesso: «Ma voi non fatevi chiamare rabbì perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8).
    È stato bene investigato che tipo di maestro fosse Gesù. Nelle modalità di comunicazione corrisponde agli scribi del tempo secondo una raffinatissima tradizione di docenza ampiamente elaborata nei secoli (ne abbiamo fatto precedentemente un cenno).[4] Non appare però legato ad essi, e di fatto egli si oppone a tante loro posizioni nell’interpretazione della Torà (la volontà di Dio), e la sua novità viene colta subito sia per le cose che dice che per i segni che compie. Così è stata ampiamente rilevata la sua autorevolezza (cf Mc 1,27), ma anche il suo atteggiamento autoritario, decisivo, per cui dopo averlo ascoltato si è chiamati a una decisione pro o contro di Lui in cui si gioca la propria salvezza (cf Mt 7,24-27).

    G. Theissen colloca Gesù nella categoria di carismatico-popolare-itinerante, capo di un movimento che sono i suoi discepoli, con peculiarità di stile di cui è tipico un radicalismo poco istituzionale e molto creativo incentrato sull’amore e la riconciliazione.[5]
    La via alla ricerca è quanto mai aperta e discussa. Ma ancora una volta la modalità del magistero di Gesù trova radice nella realtà profonda del suo mistero di inviato da Dio ad annunciare il Regno, e da lì trae la sua indubbia originalità.

    Sempre a riguardo di questo «come» educativo di Gesù, vorrei aggiungere alcune annotazioni e precisazioni.
    * Non dimentichiamo che nella lettura dei vangeli è abituale distinguere lo stadio postpasquale di redazione dei vangeli da quello di Gesù terreno. Giustamente Benedetto XVI ricorda che l’unico Gesù storico è quello dei vangeli come sono ora.[6] Ma è utile conoscere l’eventuale sottolineatura che la prima comunità può aver dato alle parole e al pensiero di Gesù in relazione alle cose fin qui dette, ad esempio la centralità che assume la persona del Signore Gesù in cui è contenuto il Regno di Dio, e perciò anche la coloritura ancora più intensa nell’affermare Gesù come Maestro. Il che significa che la pedagogia di Gesù è assunta e ridetta negli stessi vangeli dalla pedagogia degli apostoli nelle prime comunità.
    * In secondo luogo vorrei evidenziare delle categorie cui oggi siamo più sensibili, e come tali ci aprono ulteriori aspetti della pedagogia di Gesù, quali la centralità della persona, la forma dell’incontro interpersonale, uno ad Uno, il dialogo come via alla verità, il ruolo fondamentale della domanda, dell’uomo a Gesù e di Gesù all’uomo («Chi è mai costui? – E voi chi dite che io sia?», Mc 4,41; 8,29), per cui l’identità di sé e dell’altro, fulcro di ogni educazione, passa attraverso il riconoscimento del valore e la decisione, non senza il passaggio obbligato dell’umile invocazione di poter scegliere Colui che ci ha scelto per primo (cf Mt 11,26ss.).
    * Ne parliamo alla fine, ma perché rimanga il primo fattore da ricordare: e cioè l’intrinseca caratura amorosa della pedagogia di Gesù.
    Lo esprime bene Ch. Theobald rimarcando lo stile di accoglienza, di «ospitalità» di Gesù. Egli vede in Gesù un’assoluta disponibilità verso le persone: la chiama ospitalità, la considera il suo stile di vita e il tratto specifico della paideia di Gesù. La descrive come l’atteggiamento singolare di essere sì maestro, ma di volere in certo modo imparare dagli altri, perché l’apprendimento è al cuore del mistero cristiano (fides ex auditu). Ora è vero maestro chi fa in modo che l’altro incontrandolo apprenda – come in uno specchio vivente – la propria identità fin lì oscurata e superficiale. Scrive Theobald:
    «Gesù crea uno spazio di libertà attorno a sé, comunicando, con la sola sua presenza, una benefica prossimità a tutti quelli che lo incontrano. Questo spazio di vita di cui percepiremo progressivamente la profondità, la larghezza, l’altezza… permette loro di scoprire la propria identità più vera e accedervi a partire da ciò che già li abita in profondità e che improvvisamente si esprime in un atto di ‘fede’: credito accordato a colui che sta di fronte e al tempo stesso alla vita nella sua pienezza».
    E cita i conviti di Gesù, reali e nelle parabole, per rimarcare questa ospitalità liberante e costruttiva: una relazione di amore che è tale perché Gesù, pur essendo maestro, non fa pesare la sua identità di maestro per eccellenza, di testimone assoluto della verità totale, ma, come si dice di Lui nell’inno nella lettera ai Filippesi, «spogliò se stesso», dismise la figura di maestro (che pure era per la figura di chi ascolta) e apprende da chi lo incontra, aiutandolo così a sua volta ad ascoltare e apprendere la propria identità grazie alla sua parola di verità, a riconoscere e accogliere con libertà motivata, e dunque veramente umana, la salvezza offerta come bella notizia e non come costrizione o ripiego per evitare un castigo.[7]

    INCIDENZA PASTORALE

    In quest’ultima parte diamo solo alcuni accenni, che meriterebbero di certo un maggior sviluppo. Esprimiamo l’incidenza pastorale delle riflessioni condotte in tre proposizioni.
    * Chiaramente chi in ambito cristiano parla di una necessaria educazione cristiana ed esalta Gesù educatore (e più ampiamente la Bibbia come primaria fonte educante) dice la verità, e dunque è chiamato a tenerne seriamente conto.
    * La novità pedagogica di Gesù non sta nell’avere agito come educatore (era inevitabile e necessario secondo il senso comune, tanto più secondo la tradizione biblica), ma l’averlo fatto come Gesù, nella sua singolarità. Ciò comporta:
    – si deve tenere conto della sinergia umana e divina del suo operare, non separando o contrapponendo o emarginando la componente della ricerca pedagogica umana e quella della grazia con la sua dinamica influente;
    – quindi la fatica umana di pensare ed elaborare pratiche educative secondo la ragione (scienze dell’educazione o della formazione) è necessaria e indispensabile come lo è la carne nella persona del Verbo. È più fedele a Gesù Cristo chi, pur non conoscendolo, presta attenzione alla risorse umane nell’educare e le coltiva, rispetto a chi ha in bocca Gesù educatore e delinea sentieri pedagogici superficiali, magari fondamentalisticamente e illusoriamente dedotti dalla stessa prassi di Gesù, da ciò che raccontano i Vangeli e la Bibbia in generale. Felice a mio parere è la formula canonizzata dal Direttorio Generale per la catechesi: «Evangelizzare educando ed educare evangelizzando» (n. 147);
    – e qui compare un dato evangelico che fa da segnale illuminante: Gesù non ha usato il verbo «imitare» nei suoi confronti (come invece fa Paolo), ma usa il termine «seguire»: seguimi, seguitemi (Mc 1,17s; 4,14), ossia «state dietro di me mettendo i vostri piedi dietro a miei» (cf 1Pt 2,21), camminando nella stessa direzione, più che copiandomi. Il che significa riconoscere un largo spazio alla creatività educativa nello Spirito di Gesù proprio per essere discepoli fedeli alla lettera del Maestro.
    * «In sintesi ci sembra di poter concludere affermando che è più fedele al vangelo (e alla Bibbia in generale), non chi ne riproduce materialmente gli asserti pedagogici o si fa pedissequo imitatore di Gesù e di altri personaggi più lodati, ma chi nel proprio contesto autonomamente investigato fa propria la verità essenziale dei vangeli: che il Signore è il salvatore dell’uomo, quindi anche dell’educazione. Ed è questo ultimamente il contributo specifico e ineguagliabile di Gesù: rivelarci perché si educa e insieme donarci la forza misteriosa di poterlo e saperlo fare».[8]


    NOTE

    [1] È chiaro che al variare delle concezioni educative, da una concezione umanistica ad una materialistica o behaviorista, l’identificazione delle caratteristiche pedagogiche di Gesù è quanto mai diversa e in certi casi impossibile. Congrua al dialogo con i dati evangelici rimane soltanto la visione umanistica di educazione che un pedagogista di oggi descrive così: «Educazione: promozione, strutturazione e consolidamento delle capacità personali fondamentali per vivere la vita in modo cosciente, libero, responsabile e solidale, nel mondo e con gli altri, nel fluire del tempo e delle età, nell’intreccio delle relazioni interpersonali e nella vita sociale storicamente organizzata, tra interiorità personale e trascendenza… Si fa opera propriamente educativa solo quando si aiuta a crescere in ‘umanità’, quando si agisce per la ‘genesi della persona’, quando si fa opera d’iniziazione all’agire eticamente valido e operativamente capace» (C. Nanni, Educazione, in Dizionario di Scienze dell’educazione, II ed., Las, Roma 2008, 369-372).
    [2] La pedagogia di Dio nella Bibbia, LDC, Leumann (Torino) 1965.
    [3] La pédagogie de Jésus, Desclée, Paris 1992.
    [4] Cf R. Riesner, Jesus als Lehrer, J.C.B. Mohr, Tübingen 1981.
    [5] Gesù e il suo movimento, Claudiana, Torino 2007.
    [6] Gesù di Nazaret, p. 18.
    [7] Il cristianesimo come stile, I, EDB, Bologna 2009, 51-54.
    [8] C. Bissoli, Bibbia e educazione, LAS, Roma 1982, 358.


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