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    José Sánchez del Río, un ragazzo martire di 90 anni fa


    Santi giovani e giovinezza dei santi /9

    Pascual Chávez Villanueva

    (NPG 2020-07-77)


    Quando pensiamo ai santi martiri, il nostro pensiero corre solitamente alle persecuzioni dei cristiani da parte degli imperatori romani, ma i santi martiri ci sono sempre stati e ci sono tuttora. E anche fra i giovani, anzi fra i giovanissimi, come per esempio il quattordicenne messicano José Sánchez del Río. Dio chiama alla santità a tutte le età, ieri come oggi, in tutte le parti del mondo.

    La persecuzione

    Dal 1926 al 1929 in Messico scoppiò la cosiddetta "persecuzione religiosa". Il presidente della Repubblica, Plutarco Elías Calles, volle applicare gli articoli anticlericali della Costituzione del 1917, che si riferivano in particolare al controllo sui sacerdoti e chiese cattolici. L'episcopato messicano rispose ordinando che tutte le chiese fossero chiuse e pochi giorni prima della loro chiusura milioni di persone ne approfittarono per confessarsi, comunicarsi, battezzare i bambini, celebrare i matrimoni. Alcuni messicani più impegnati socialmente organizzarono boicottaggi e altri mezzi pacifici per costringere il governo a ritirare la legge "Calles". I più determinati invece si organizzarono in forma di guerriglie: vennero chiamati ‘cristeros’ perché combattevano per la causa di Cristo. Benché la maggior parte dei vescovi e dei sacerdoti non approvasse i loro metodi violenti, molti vescovi furono esiliati e molti preti e laici innocenti subirono il martirio, accusati ingiustamente di aver sostenuto i “cristeros”.

    Una decisione eroica

    In questo contesto si comprende la storia di José Sánchez del Río, detto “Joselito” nato il 28 marzo 1913 a Sahuayo, cittadina dello stato di Michoacán. Quando fu decretata la sospensione del culto pubblico, Joselito aveva 13 anni e mezzo. Come tanti altri, suo fratello Miguel decise di imbracciare le armi per difendere la causa di Cristo e della sua Chiesa. Joselito, vedendo la scelta coraggiosa di suo fratello, chiese ai suoi genitori il permesso di arruolarsi negli stessi ranghi dei “cristeros”. Alla mamma che si opponeva rispose: "Mamma, non è mai stato così facile guadagnare il paradiso come adesso, e non voglio perdere l'occasione". La madre gli concesse il permesso a condizione che il capo del “cristeros” di Michoacán lo accettasse. José allora gli scrisse, ma ovviamente la risposta fu negativa. Il ragazzo insistette chiedendogli di ammetterlo almeno come assistente.

    Un pellegrinaggio e la grazia di morire martire

    In occasione del pellegrinaggio a Guadalajara da parte della sua famiglia, José visitò la tomba dell'avvocato Anacleto González Flores, un coraggioso cattolico combattente pacifico per la libertà della Chiesa e martirizzato nel 1927. Su quella tomba il ragazzo chiese a Dio la grazia di morire come Anacleto in difesa della fede cattolica. Durante il pellegrinaggio rinnovò la decisione di unirsi ai “cristeros”, implorando nuovamente il consenso dei genitori. Dopo tanti rifiuti, cedettero alle insistenze del ragazzo. Lo lasciarono partire non prima di averlo benedetto.

    Offerta della vita per un “cristero”

    Joselito servì i “cristeros” - che inizialmente si erano rifiutatati di accettarlo per la giovane età - come portabandiera dell'immagine della Vergine di Guadalupe, senza prendere mai parte attiva agli scontri armati.
    Nell’accampamento Joselito conquistò l'affetto e stima dei suoi compagni che lo soprannominarono "Tarcisio" (il famoso piccolo martire di Roma ucciso per difendere la santa eucaristia). La sua gioia rendeva allegri i momenti tristi dei “cristeros” e tutti ammiravano la sua bontà, generosità, coraggio. Di notte dirigeva il Santo Rosario e incoraggiava le truppe a difendere la loro fede.
    Il 5 febbraio 1928, durante uno scontro, vicino a Cotija, tra le truppe governative e i “cristeros”, uccisero il cavallo del capo cristero Luis Guízar Morfín. Joselito scese dal proprio cavallo e in un gesto eroico per evitare che il capo fosse fatto prigioniero, glielo offrì dicendo: "mio generale, prenda il mio cavallo e si metta in salvo; lei è più necessario di me per la causa della nostra fede.” In questo modo Guízar Morfín riuscì a fuggire, ma il giovane fu catturato insieme al suo amico Lazaro.
    Portato davanti al generale callista venne redarguito per aver combattuto contro il governo, ma visto il suo coraggio gli si propose di arruolarsi con loro: “Mai, mai! Piuttosto morto! – rispose al generale – Non voglio unirmi ai nemici di Cristo Re! Io sono vostro nemico! Uccidetemi!”. Il generale lo fece rinchiudere in una gabbia buia e puzzolente della prigione di Cotija. Da là Joselito scrisse a sua madre in questi termini: “Cotija, 6 febbraio 1928. Mia cara madre: sono stato fatto prigioniero in combattimento in questo giorno. Penso che morirò, ma non importa, mamma. Rassegnati alla volontà di Dio. Non preoccuparti della mia morte... fai la volontà di Dio, abbi coraggio e inviami la benedizione insieme a quella di mio padre...”.

    Imprigionato nel luogo del battesimo

    Fu poi rinchiuso nel battistero della chiesa di Santiago Apostolo a Sahuayo, convertita in prigione e stalle delle truppe governative. Joselito mai avrebbe immaginato di essere imprigionato nel luogo dove era stato battezzato e fatto figlio di Dio! Il tabernacolo e il presbiterio erano trasformati in un pollaio dove venivano addestrati i galli da combattimento del governatore. Dinanzi a questa profanazione Joselito “reagì fortemente uccidendo i galli senza paura delle minacce di morte”. Al carceriere disse: “La casa di Dio è per la preghiera, non per essere utilizzata come stalla per gli animali. Sono disposto a tutto. Puoi spararmi. In questo modo mi troverò subito alla presenza di Dio e potrò chiedergli di convertirti.”

    Una fede senza paura

    Chi disobbediva alle leggi rimesse in vigore e professava la propria fede era imprigionato e poi giustiziato. Ci può lasciare perplessi il fatto che un ragazzino come Joselito avesse tanta chiarezza di ciò che accadeva e tanto coraggio per fare scelte così pericolose; ma bisogna sapere che pur in un contesto così ostile Joselito andava al catechismo, si distingueva per il suo impegno nelle varie attività parrocchiali, si accostava ai sacramenti quando poteva, giacché il culto pubblico era proibito, mettendo a rischio la vita. Era cresciuto in un ambiente religioso e ogni giorno recitava il rosario in famiglia. Cercava, come tutti i ragazzi, un modello in cui identificarsi e un ideale che desse orizzonte e fondamento alla vita. Lo trovò in Cristo. Il suo maggior desiderio fu di darsi totalmente a favore della Chiesa oltraggiata e perseguitata.

    Il padrino di prima comunione lo fa assassinare

    Il padrino di prima comunione di Joselito era Rafael Picazo Sánchez, parente e amico di famiglia. Chi avrebbe detto che sarebbe stato proprio lui ad ordinare di uccidere il suo figlioccio? All'inizio invero Picazo non voleva ucciderlo e gli fece diverse allettanti proposte per fargli rinnegare la fede. Gli offrì di iscriverlo alla prestigiosa scuola militare del regime e persino di inviarlo negli Stati Uniti. Joselito rifiutò. Allora Picazo chiese alla famiglia la somma di 5 mila pesos d'oro per il riscatto. Il padre accettò e raccolse la grande quantità di denaro, ma Joselito gli chiese di non pagare perché aveva già offerto la sua vita a Dio.

    Il martirio

    Il 10 febbraio 1928, verso le ore 18, i soldati lo condussero fuori della chiesa e lo portarono al quartier generale del Rifugio. Gli spellarono i piedi con un coltello e mentre lo percuotevano lo fecero camminare fino al cimitero, pensando di farlo apostatare con tali sevizie. Non ci riuscirono. Mentre camminava gridava “Osanna a Cristo Re e a Santa Maria di Guadalupe”.
    Giunto al cimitero, chiese quale fosse la sua tomba, e con un tratto ammirevole di eroismo si fermò sul bordo della fossa stessa, per risparmiare ai suoi carnefici la fatica di trasportare il corpo. Il capo dei soldati ordinò di ucciderlo a pugnalate per evitare il secco rumore degli spari. Ad ogni pugnalata, José gridava: "Viva Cristo Rey!", "Viva Santa María de Guadalupe!". Alla richiesta di mandare un ultimo saluto ai genitori, rispose: "Dite loro che ci vedremo in paradiso. Viva Cristo Rey! Viva Santa María de Guadalupe!". Colpito due volte alla testa da pallottole, il ragazzo cadde riverso nella tomba, inondato di sangue. Erano le 23,30 del 10 febbraio 1928. Erano passati solo cinque giorni della sua cattura sul campo di battaglia in difesa della fede.
    Senza una bara e senza un lenzuolo, il suo corpo venne coperto da palate di terra, fino a quando, anni dopo, i suoi resti furono esumati e sepolti nelle catacombe del tempio espiatorio del Sacro Cuore di Gesù. Attualmente riposano nel tempio parrocchiale di Santiago Apostolo, a Sahuayo (Michoacán). Fu beatificato il 20 novembre 2005. Canonizzato dal papa Francesco il 16 ottobre 2016.
    José Sánchez del Río: un ragazzo santo, un ragazzo martire che ha ancora molto da dire ai ragazzi e ai giovani di oggi.


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