Campagna
    abbonamenti
    QuartinoNPG2024


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    maggio-giugno 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    marzo-aprile 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    maggio-giugno 2024
    NL 3 2024


    Newsletter
    marzo-aprile 2024
    NL 2 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di MAGGIO-GIUGNO di NPG sui "buchi neri dell'educazione" e quello di MARZO-APRILE sulla narrazione biblica.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: maggio-giugnomarzo-aprile.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook


    NPG Twitter



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email


    Le parole di Gesù

    che muore

    e il silenzio misterioso

    del Padre

    Pietro Citati



    Che cosa suggerisce quella scena di straziante dolore accompagnata dall' espressione 'Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?' Luca cercò di attenuare e poi cancellare lo scandalo. Con Giovanni inquietudini e dubbi si capovolgono in un trionfo glorioso I racconti di Marco e Matteo sulla passione e la crocifissione furono conosciuti da gran parte dell'antica comunità cristiana Il Dio cristiano non è irremovibile, a volte sospende i suoi piani, si lascia piegare dalle preghiere e offre il dono della Grazia Il Getsemani è il luogo notturno della tentazione. I discepoli che sono con lui cedono al sonno E Gesù resta solo è sera quando il Cristo lascia il grande cenacolo e si avvia con undici dei dodici apostoli sul Monte degli Ulivi.

    Verso sera, Gesù lascia il grande cenacolo coperto di tappeti, dove si era svolta la cena di Pasqua. Il tempo è vicino. Insieme a undici dei dodici discepoli, si avvia verso il Getsemani: il nome significa “il torchio per l'olio”; un podere o un orto sul Monte degli Ulivi, dove oggi non sono rimasti ulivi, ma tombe, cappelle, chiese, come se, dopo il passaggio di Cristo, il Monte fosse stato insieme dissacrato e consacrato. Appena giunto al Getsemani, Gesù si prostra al suolo, si piega col viso sul suolo, o si inginocchia: così dicono Marco, Matteo e Luca. Come il Giusto sofferente nei Salmi, è triste, sbigottito, angosciato, turbato. “La mia anima - dice - è triste fino alla morte”. Più tardi sapremo da Luca che il sudore gli scende dal volto come grumi di sangue. Il Getsemani, l'innocente “torchio per l'olio”, diventa così il luogo della tenebra, dove si scatenano i terrori, le tentazioni, i sonni colpevoli, l'abbandono, il tradimento, la spada, rischiando di travolgere lo spirito del Figlio di Dio. In quel momento, mentre si muove tra i vecchi ulivi o tocca il suolo col volto, Gesù conosce, sino all' ultima goccia, il compito che Dio (anzi, il Padre) gli ha imposto e che egli stesso si è imposto, sopportando l'incarnazione. Non ignora nemmeno un'ombra del suo futuro. Sa che fra poco, proprio lì a Gerusalemme, egli sarà condannato dai sacerdoti e dagli scribi del suo popolo; e che gli indifferenti soldati romani lo derideranno, gli sputeranno, lo flagelleranno, lo crocifiggeranno; e che infine, il terzo giorno risusciterà dal sepolcro. La sua passione-espiazione significherà la fine del tempo di Adamo, del peccato e della morte: renderà prossimi il regno dei cieli e la vita eterna; e riconcilierà, come dice Paolo, tutte le cose, nella terra e nel cielo, fino a raccoglierle e comprenderle in lui. Se ascoltiamo il Vangelo di Giovanni, Gesù sa che l'universo è retto dalla stessa forza di morte e resurrezione, che sta per impadronirsi del suo corpo: “Se il chicco di grano caduto a terra non muore - egli dice ai Greci giunti a Gerusalemme - resta solo; se invece muore, porta molto frutto”. Gesù è dunque un chicco di grano: deve abbandonare la sua forma, rinunciare a se stesso, vuotare se stesso, prendere aspetto di schiavo, salire sulla Croce, entrare nella morte, vincere la morte e il peccato; e risorgere in una spiga, o in una moltitudine di spighe, mostrando che l'antichissimo ciclo della metamorfosi si compie, con angoscia sovrumana, anche nel Figlio di Dio. Il Getsemani è il luogo notturno della tentazione: anzi, della doppia tentazione. La prima è la più semplice e quasi elementare. Gesù prega Pietro, Giacomo e Giovanni di restare accanto a lui e di vegliare con lui, nel tempo della sofferenza: ma i tre discepoli cedono al sonno e al peso della carne, chiudono gli occhi e abbandonano Gesù solo, come nessuno è mai stato solo. Con ogni probabilità, la seconda tentazione prova Cristo. Marco scrive: “Pregava che, se era possibile, quell' ora passasse lontana da lui. Diceva: “Abba, Padre, a te tutto è possibile, allontana da me questo calice. Tuttavia non quello che voglio io, ma quello che tu vuoi”. Matteo è meno esplicito: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice. Tuttavia, non come voglio io, ma come tu vuoi”. Il calice, che Gesù vuole allontanare da sé, è il calice della collera e del giudizio di Dio, e insieme quello del dolore: la passione e la crocefissione di Cristo. Durante la preghiera, pieno di tristezza e di angoscia, Gesù non sopporta col pensiero la passione che Dio aveva deciso per lui, e che egli stesso aveva accettato e previsto. In quel momento disperato, con la testa al suolo e i grumi di sudore-sangue che scendono a terra, egli pensa che forse esiste un'altra strada di salvezza: una strada che cancelli egualmente la colpa di Adamo, sconfigga la morte e redima gli uomini, senza passare attraverso il calice della sua crocefissione. Forse c' è un'altra possibilità (come dice due volte Marco), che egli non conosce e che solo il Padre conosce. La volontà del Dio cristiano non è come quella del fato greco, che offre per gioco agli uomini diverse possibilità, li illude di essere liberi, e poi fa soltanto quello che ha deciso, come in una tragedia di Shakespeare: Achille deve morire giovane, i compagni di Ulisse devono mangiare i buoi del Sole in Trinacria, e persino Sarpedone, figlio di Zeus, deve soccombere. Il Dio cristiano non è irremovibile: a volte sospende i suoi piani, si lascia piegare dalle preghiere e, al di sopra della sua volontà, ci offre il dono della Grazia. “Lascialo ancora quest' anno questo fico - dice il vignaiolo al padrone che gli ordina di tagliare il fico che da tre anni non fa frutti - . Zapperò tutto intorno, e metterò del letame. Forse, l'anno prossimo darà frutti”. Nel piano di Dio, c' è sempre o quasi sempre un'altra possibilità: una sospensione del giudizio, o una nuova proposta o una sorpresa; il prossimo anno nel quale, finalmente, l'albero sterile produrrà buonissimi fichi. Nella prima preghiera, Gesù ha affacciato una domanda che attende una risposta da Dio: probabilmente, pensa al Padre Nostro, che tempo prima aveva recitato ai discepoli, assicurando che Dio, se noi lo preghiamo in segreto, conosce sempre i nostri segreti, sa quello di cui abbiamo bisogno, prima ancora che lo domandiamo; e ci esaudisce. Ma questa è forse l'unica volta in cui il Padre non esaudisca una preghiera, sebbene essa venga dal Figlio. Non sappiamo se Dio parli segretamente a Gesù: non possiamo saperlo, perché né Marco né Matteo conoscono le parole intime di Dio. Probabilmente, non c' è nessuna risposta: nessuna parola divina scende dall' alto: il cielo è muto; noi conosciamo soltanto il silenzio tremendo, l'abisso che, per un momento, si apre tra il Padre e il Figlio. Questo silenzio non è nemmeno attenuato da una forma qualsiasi di conforto; nessun angelo scende dal cielo a soccorrere il Figlio, torturato dai grumi di sudore che cadono al suolo come sangue. Nel Vangelo di Matteo Gesù rivolge una seconda preghiera. Essa non è più una domanda, ma una risposta rivolta alla risposta ignota di Dio, o al suo silenzio. “Padre mio, se non è possibile che questo calice passi da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. Con la seconda preghiera, Gesù accetta il calice dell'ira e della sofferenza che Dio gli ha preparato, senza più riserve né dubbi né esitazioni. Non ci sono altre possibilità, nel piano di Dio, se non lacerazione e crocifissione. Il seme deve morire: la croce bagnarsi di sangue. Le Scritture si devono adempiere, fino alle ultime lettere. Se altre volte Dio aveva sospeso la sua volontà, lasciando vivere ancora un anno il fico sterile e rivelando di essere Grazia, ora non è affatto Grazia. E' soltanto Necessità: ferrea, terribile, necessità, come quella che ha fatto morire Achille, Sarpedone e i compagni di Ulisse; alla quale il Figlio deve soccombere. Nemmeno dodici legioni di angeli, inviati dal cielo, potrebbero allontanarla. Prima dell'Ultima Cena, Gesù aveva detto: “Il mio tempo è vicino”. Ora, mentre abbandona i discepoli al loro sonno pesante e senz' occhi, ripete: “Ecco, l'ora si è avvicinata, e il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori”. In quell' istante, come se avesse provocato il suo arrivo, si avvicina Giuda, con la schiera armata di spade e di bastoni.
    * * *
    Poi c' è l' arresto, il bacio di Giuda, l' interrogazione di Caifa, le menzogne di Pietro, il canto del gallo, il silenzio davanti a Pilato, il corpo nudo, il mantello scarlatto che ricorda ironicamente quello del Messia ebraico, la corona di spine e la canna che contraffanno le insegne del re, la falsa adorazione dei soldati romani, gli sputi, gli schiaffi, i colpi, la flagellazione, il vino misto a fiele, le vesti tirate a sorte, la crocefissione, i due banditi (probabilmente Zeloti) alla destra e alla sinistra della Croce, gli insulti dei passanti, gli scherni dei sacerdoti e degli scribi, il grido altissimo a Dio in aramaico, l' ultima spugna imbevuta di aceto, l' ultimo, altissimo grido, la morte, la lancia che squarcia il costato, da cui escono sangue ed acqua: tutti i particolari, che formano il racconto centrale della rivelazione cristiana. Noi, moderni, siamo fierissimi delle sottigliezze della nostra letteratura e della squisitezza della nostra critica letteraria ed ermeneutica. In realtà, se ci paragoniamo a un sacerdote ebreo o a un fedele cristiano del primo secolo, siamo immensamente rozzi e limitati. Allora, un testo apocalittico ebraico o un Vangelo veniva composto con una infinita ricchezza di citazioni e di allusioni e di rinvii interni ed esterni e di sensi segreti. Tutti i lettori e gli ascoltatori capivano: la loro mente era così piena di Salmi o di Esodo o di Isaia o di Geremia o di Giobbe o di Qohélet, che coglieva la minima allusione, ricostruiva la rete dei rinvii, leggeva gli indizii, ricomponeva le tarsie. Leggere un testo è un'arte che abbiamo quasi dimenticato; ed è affascinante vedere come i pochi, eccellenti interpreti di oggi ripercorrano le strade percorse dai primi fedeli di Gesù, o da Paolo e dai suoi lettori. Quando i primi cristiani ascoltavano le scene della Passione e della Crocefissione di Gesù, quel racconto non era soltanto, per loro, una storia vera - nessuno dubitava di quella verità - , ma il ricordo di altri testi e di altri tempi, che riaffioravano tra le frasi di Matteo, di Marco e di Luca. Tutti sapevano che, sullo sfondo, stava la figura del Servo di Jahvé in Isaia e tre salmi: il 22, il 69 e il 31. Lì, nei tre Salmi, leggevano le frasi dei Vangeli: “Tutti quelli che mi vedono mi scherniscono, storcono le labbra, scuotono il capo...”: “Si dividono le mie vesti, e tirano a sorte i miei abiti”: “Quando avevo sete, mi hanno dato da bere aceto”: “Mio Dio, Mio Dio, perché mi ha abbandonato?”: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”. La prima comunità cristiana e i tre Vangeli Sinottici svilupparono, intorno a quelle frasi bibliche, tutta la storia del Redentore, e addirittura posero sulla sua bocca versetti dei Salmi, che davano ad ogni riga una fittissima risonanza. Qualcuno ha l'impressione che Gesù (o, dietro di lui, il segreto e silenzioso Dio degli eventi) abbia voluto che la sua passione imitasse quella del Giusto biblico, intervenendo nella storia, provocando o adottando gli eventi, perché compisse qualcosa che era stato immaginato molti secoli prima. Attorno a mezzogiorno, si fa buio su tutta la terra. Tre ore dopo, verso le quindici, Gesù crocifisso grida a voce altissima - con la voce sovrumana di un Dio Heloì Heloì lamà sabachtani? (Marco) oppure: Helì Helì lemà sabachtani?(Matteo): “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. Le parole aramaiche di Marco e quelle ebraico-aramaiche di Matteo richiamano alla mente dei fedeli cristiani l'inizio del Salmo 22, che tante volte avevano recitato nei momenti di desolazione: “Mio Dio, Mio Dio, perché mi hai abbandonato?... Il giorno, chiamo, e tu non rispondi, mio Dio, la notte, e non trovo riposo... I nostri padri contavano su di te, e tu li liberavi. Gridavano verso di te, ed erano liberati... Ma io, io sono un verme e non più un uomo, ingiuriato dalle persone, rifiutato dal popolo. Tutti quelli che mi vedono, mi scherniscono; sghignazzano e scuotono la testa”. In quel momento, avvolto dal buio della terra, Gesù esperimenta che le parole del Salmo si sono compiute nella sua passione. Dio l'ha lasciato solo: solo, flagellato, col suo manto scarlatto, la sua corona di spine, il suo compito di salvare gli uomini attraverso la sofferenza: lui, il Redentore, è stato abbandonato da chi gli ha chiesto di redimere il mondo; nessun conforto, nessuna consolazione, nessuna parola sono scesi dall' alto. Aveva detto: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Ora, sulla croce, capisce che, almeno ora, lui e il Padre non sono una cosa sola: sono separati; e per l'unica volta nelle sue preghiere, non lo chiama Padre, ma Dio. Come il Giusto sofferente del Salmo 22, Gesù rivolge a Dio una domanda: perché è stato abbandonato. Non conosce una risposta a questa domanda: proprio lui, che verrà chiamato Logos, e dovrebbe conoscere le risposte a tutte le domande. Non è arrivato all' assoluta conoscenza. Non capisce che, in questo istante, egli è solo un uomo: come il Giusto dei Salmi, l'uomo soffre e viene abbandonato da Dio, ed egli deve essere uomo sino alla sventura assoluta. Ma sa che il Salmo 22 conteneva altre parole: “Tu mi hai risposto!... Voi che temete il Signore, lodatelo! Tutti voi, stirpe di Giacobbe, glorificatelo!... Il Signore non ha respinto, non ha riprovato l'infelice che soffre; non gli ha nascosto la sua faccia; quando gridava verso di lui, lo ha ascoltato”. Certo, Gesù (come i lettori del Vangelo) conosce queste parole del Salmo: ma esse non fanno per lui. Nessuno ha ascoltato il suo grido: nessuno gli ha risposto; Dio gli ha celato il suo volto nel silenzio. La sua condizione è molto più tremenda di quella del lontano salmista ebraico; e né lodi né inni di trionfo salgono dalla croce verso i cieli. La sapienza che Gesù, nel buio della Croce, insegna ai suoi discepoli è assai più paradossale di quella del Salmo ebraico. L' unica rivelazione possibile di Dio è quella del Dio che si nasconde: l'unica parola possibile è quella del Dio che tace e non dà risposta. Questo Dio non è presente nella felicità, nella luce e nella lode, ma soltanto nel dolore più estremo flagellazione, scherno, spine, crocefissione, tenebra, morte. Per ora, almeno finché è in vita, Gesù non può comunicare altre conoscenze ai suoi discepoli presenti e futuri. Gesù muore, “rende lo spirito”, gettando di nuovo un altissimo grido. Poi ci sono i segni (che Matteo moltiplica): la cortina del Tempio di Gerusalemme si squarcia in due parti, la terra trema, le rocce si spaccano, i sepolcri si aprono, i corpi dei patriarchi o dei profeti o dei giusti risorgono ed entrano a Gerusalemme; e questi segni anticipano la fine dei tempi e la fine del Tempio. La morte di Gesù è già l'ultimo giorno. I discepoli sono fuggiti chissà dove: ci sono soltanto le donne galilee - Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e Salome - che guardano da lontano verso il Golgotha, dove Gesù è appena morto. Il vero segno viene da un'altra persona. Il centurione romano, che comanda le guardie accanto alla croce, dice: “Veramente, costui era Figlio di Dio”: secondo Marco, lo dice senza paura, secondo Matteo con timore e sbigottimento. Ma che egli avesse o no timore non ha molto rilievo. Il fatto straordinario è che la verità fondamentale per cui sono stati scritti i Vangeli - Gesù è figlio di Dio - non viene dichiarata da Gesù morente o dai suoi discepoli, o dalle donne di Galilea o da un ebreo convertito. Viene proclamata da uno straniero, che appartiene al popolo dei persecutori, e deve guardare con ironia o indifferenza alle risse religiose di Israele, questo strano popolo che crede (parola che egli non capisce) in un solo Dio, e non in una colorata moltitudine di dèi. Prima che l'angelo con la veste bianca, come la neve riveli alle donne la Resurrezione, questo è l'unico trionfo di Cristo: decretato, come è giusto, da uno straniero. Ma i discepoli sanno che anche le parole del centurione romano erano state annunciate nel Salmo 22, secondo il quale “la terra intera si ricorderà e ritornerà verso il Signore, e tutte le famiglie delle nazioni si prosterneranno davanti al suo volto”. Mentre il centurione allude, senza saperlo, a queste parole del Salmo, annuncia la futura conversione di “tutte le famiglie delle nazioni” al Figlio di Dio rivelato sulla croce.
    * * *
    I racconti di Marco e Matteo sulla passione e la crocefissione (o almeno le loro fonti più antiche) furono certo conosciuti da gran parte dell'antica comunità cristiana. Simone Weil, che negli ultimi mesi di vita leggeva e commentava ogni giorno queste pagine dei Vangeli, trovava “un'armonia tra il perché del Cristo (ripetuto incessantemente da ogni anima nella sventura) e il silenzio del Padre. L' universo (noi compresi) è la vibrazione di questa armonia”. Tra i primi cristiani, quest' armonia e questa vibrazione non furono sempre evidenti. Sebbene Gesù avesse preannunciato la propria passione, la preghiera inascoltata nel Getsemani, il silenzio di Dio, l'abbandono e quasi la separazione di Cristo sulla croce, dovettero sembrare scandalosi. Non importava che tutta la rivelazione cristiana fosse, di per sé, uno scandalo: come dissero sia Paolo sia i sapienti greci e cinesi, appena ne vennero a conoscenza. Così Luca cercò di attenuare e poi di cancellare lo scandalo. Quando Gesù pronuncia la preghiera sul Getsemani, “Padre, se vuoi allontana da me questo calice”, Dio non accoglie il suo desiderio, ma invia un angelo del cielo a confortarlo e fortificarlo. Tra il Padre e il Figlio, resta dunque un rapporto di consolazione, invece di quel tremendo silenzio. Quando scende il buio e Gesù muore sulla croce, non ripete le parole del Salmo 22: “Mio Dio, Mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. Luca mette sulle sue labbra il versetto di un altro Salmo: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”. Per Gesù, Dio torna ad essere dunque non Dio ma il Padre, come aveva sempre detto, nelle preghiere dei Vangeli: la distanza dal lontanissimo cielo è annullata; e l'ultima frase conferma che non c' è più separazione tra il Padre e il Figlio. Mentre Cristo rimette lo spirito nelle mani di Dio, spirito e mani si confondono, le due figure divine sono riunificate. Con il Vangelo di Giovanni, le inquietudini e i dubbi, che avevano torturato le prime comunità cristiane, si capovolgono in un trionfo glorioso. Giovanni trasforma il racconto degli altri evangelisti. Abolisce la scena notturna del Getsemani, dove Cristo aveva sofferto lacrime di sangue, invocando un'altra possibilità, un'altra salvezza. Insiste sul fatto che mai, nemmeno per un attimo, durante la passione e la crocefissione, Gesù era rimasto solo: perché il Padre era sempre vicino a lui, e parlava con lui, senza conoscere né il silenzio né il segreto. Dio, per lui, non era mai nascosto. E infine, mentre negli altri Vangeli la tenebra avvolge per tre ore l'agonia di Cristo, nel racconto di Giovanni c' è sempre luce: Gesù è “la luce vera, che illumina ogni uomo”, e dunque attorno a lui forse splende la stessa fresca aria primaverile che aveva illuminato qualche giorno prima, durante la festa di Gerusalemme, i rami delle palme pasquali. Tutto muta. La terribile umiliazione del Giusto biblico, abbandonato da Dio sulla croce, rivela in ogni evento, anche i più dolorosi, la maestà, l'esaltazione, la dignità regale del vero Re - il cui regno non appartiene a questo mondo, ma giudica e condanna il mondo e i suoi regni. La croce di Gesù è un trono: il suo trono. Quando Cristo muore sulla croce, dice: “Tutto è compiuto”; Consummatum est. Questa parola non era stata pronunciata dai salmisti e dai profeti dell'Antico Testamento, come se Gesù volesse dire una parola completamente sua, che appartiene ai termini privilegiati del suo linguaggio: il linguaggio del Vangelo di Giovanni (tetélestai). Che tutto sia compiuto non significa, o non significa soltanto, che il lungo spettacolo tragico a cui abbiamo assistito è giunto alla fine. In questo istante supremo, non sotto la tenebra ma nella piena luce del giorno, tutto è compiuto. La passione è compiuta: è compiuta la glorificazione che il Figlio ha fatto del Padre e il Padre del Figlio: Maria è stata affidata al “discepolo che Gesù amava”, la madre al figlio, il figlio alla madre, in modo che le parole di Cristo non si perdano: la volontà del Padre si compie, piena, completa e perfetta, come egli aveva stabilito; e con un'ultima allusione ai Salmi anche la Scrittura si compie - la mente del Padre distesa in migliaia di pagine divine ed umane. Mentre Cristo pronuncia l'ultima parola terrestre, ricorda la sua preghiera dopo la Cena, pronunciata alzando gli occhi verso il cielo. Prima che il mondo esistesse, Gesù era già “una cosa sola” col Padre. Con la passione, questo essere uno, in cui culmina il Vangelo di Giovanni, si è moltiplicato: il Padre è “una cosa sola” col Figlio, il Figlio col Padre: i discepoli presenti e futuri sono “una cosa sola” tra loro: essi sono “una cosa sola” col Figlio, come il tralcio e la vite; e lo sono anche, attraverso la mediazione di Cristo, col Padre o almeno prendono dimora presso di lui. Queste successive identità di amore e di conoscenza, queste fusioni sempre più vaste di cuori e di spiriti, che si allargano come onde nel lago dell'amore cristiano, in un gioco continuo di riflessi e di rispecchiamenti, ripetono l' unità originaria che, prima della creazione, esisteva tra le due figure divine. Qualsiasi separazione e divisione, nel cielo e nella terra, è caduta. Non c' è che l'Uno celeste e terrestre: fuori di esso soltanto le tenebre del mondo, che non riconoscono e non accolgono la luce del Figlio. Questo è il compimento trionfale della rivelazione di Cristo secondo Giovanni, che era (forse) “il discepolo che Gesù amava”.

    (La Repubblica, 29-01-04)


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo

     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu