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    Mani invisibili dell'economia e mani "con anima" degli operatori sociali



    Marco Menni *

    (NPG 2021-08-37)


    La Chiesa produce da sempre responsabilità sociali: anche tra le nostre cooperatrici e i nostri cooperatori, le biografie sono piene di manifestazioni di questa chiamata. Veniamo da una storia di impegno, sostanza, opere comuni che sono state rese possibili da una forte volontà di “fare”. È una storia che si alimenta tutti i giorni e che parte dalle esperienze e dalla formazione.

    Anche la mia storia è disseminata da percorsi formativi e umani, spesso nati e animati “nella sagrestia” di una parrocchia e capaci di generare volontà di impegno sociale e civile. Volontà che si sono espresse in vari modi nel Paese generando pratiche, oggi strutturate fino ad essere considerate “storiche”, incarnando una responsabilità sociale nata dal protagonismo attivo di sacerdoti e laici delle comunità locali.
    La cooperazione ha applicato la diversità di approccio che sentiamo essenziale come cattolici: il fenomeno sociale che precede la teoria, dove la testimonianza è più urgente della regolamentazione; e l’economia che è pratica comune, collettiva, profondamente “reale”. Le esperienze delle banche di credito cooperativo nascevano nelle parrocchie per gestire il risparmio e i bisogni finanziari in maniera equa; le cooperative agricole erano essenziali per dare ai piccoli agricoltori un giusto riconoscimento di valore per i loro prodotti; la cooperazione sociale nasceva da un desiderio di “fare di più” per rispondere al bisogno degli ultimi che traeva la sua forza ideale da tante esperienze di volontariato ecclesiale locale.
    La nostra e la mia storia è questa storia.
    Chiesa e cooperazione sono fortemente assonanti e producono ancora oggi, coi fatti, legittimazione reciproca. Confcooperative richiama nello Statuto (art.1) i principi della Dottrina Sociale della Chiesa; la Chiesa riconosce l’opera e l’apporto della cooperazione.
    Nel ‘900 si è alimentata una dicotomia Stato / Mercato: ma oggi riconosciamo con chiarezza che non sono sufficienti questi due fattori se non fanno spazio ai concetti di bene comune, relazioni, fiducia. Ne parlava già Antonio Genovesi nel 1765 nelle sue "Lezioni di commercio o sia d'economia civile".
    Abbiamo visto come la mano invisibile dell’economia non basti e tenda a provocare fallimenti di mercato: l'interesse individuale non produce sempre il bene collettivo.
    Abbiamo visto altresì come la "potenza" dello Stato non basti e le istituzioni siano alle volte inefficaci e inefficienti.
    Ma la crescente percezione che Stato e Mercato debbano rispondere a tutti i bisogni sta portando a una progressiva riduzione della capacità “propositiva” della Chiesa con i suoi laici e sacerdoti.
    Anche per questo nascono meno cooperative: i bisogni ci sono sempre stati, e ancora oggi ci sono; ma c’è meno “intraprendenza”, meno “profeti” in grado di aggregare e portare speranza. Da qui dobbiamo ripartire, con una vera politica formativa e propositiva.
    Oggi tra le principali priorità c’è certamente il lavoro, unito alla tutela dei territori in condizione di spopolamento e alla cura delle persone.

    Il tema del lavoro

    Sul tema lavoro, l’esperienza del Progetto Policoro è una manifestazione di questa intenzionalità a portare un contributo in questo senso. Rappresenta un Patto tra chiese locali e associazioni laicali. Nello specifico riconosce il fattore “lavoro” come centrale, da rafforzare, da orientare sui giovani. Dalle collaborazioni tra Chiesa e privato sociale sono nate moltissime esperienze esemplari.
    Anche Papa Francesco, nel suo discorso davanti ai Giovani del Progetto Policoro, il 5 giugno 2021, ha sottolineato come occorra dare un’anima all’economia. Siamo chiamati a dare anima e senso a un’economia che sembra, soprattutto dopo la pandemia, dividere tra vincitori e vinti, tra aree forti e deboli, tra generazioni, tra generi.
    L’economia a cui guardiamo è quella reale che si nutre di relazioni, di fiducia, di capitale umano. Il punto di atterraggio è sempre lo stesso: il “lavoro”, non a caso una delle 3 parole che caratterizza il Progetto Policoro assieme a “giovani” e “vangelo”.
    Come dice Papa Francesco, bisogna pensare al lavoro come “atto creativo”, come “imitazione del Dio Creatore”. E allora, su questa strada dobbiamo continuare ad operare per farlo di più, e meglio. Mettiamo assieme tutte le componenti che possono giocare un ruolo in questa creazione: il mondo della cooperazione rappresentato da Confcooperative, insieme ad altre associazioni che si fondano sulla Dottrina Sociale della Chiesa, ha questo obiettivo e questa responsabilità.
    Sono diverse le realtà di ispirazione cattolica che si parlano, e parlano questo linguaggio. Nostro dovere è favorire questo processo di attivazione: crediamo che da questo confronto, che è prima di tutto incontro, possano emergere percorsi concreti sul tema del lavoro: prima formativi, poi di accompagnamento e supporto.
    In questo senso dobbiamo sviluppare relazioni e collaborazione tra tutti i componenti la nostra Chiesa, triangolandole con gli attori associativi ed economici che hanno a cuore il tema giovani e “lavoro”.
    Il “lavoro” che abbiamo in mente ha alcune caratteristiche:
    - come diceva il Santo Padre, è frutto di un atto creativo e va quindi creato, soprattutto dove scarseggia: abbiamo la responsabilità di creare le condizioni per cui i nostri giovani sappiano creare lavoro per sé e per (ma vorrei dire “con”) gli altri;
    - è elemento di realizzazione personale e collettiva: il lavoro permette la realizzazione di percorsi di vita, la costruzione di famiglia e la generatività; permette anche lo sviluppo in senso ampio dei territori e delle comunità;
    - è frutto di un pensiero lungo: il lavoro che abbiamo in mente non è predatorio, non è inutile, non è dannoso, ma è costruttivo, solido, capace di durare nel tempo, frutto di un impegno comune.
    Per questo crediamo che in linea con le parole di Papa Francesco abbiamo voluto mettere la componente “lavoro” al centro delle associazioni di ispirazione cattolica, rendendolo ancora più strategico nelle formazioni di ogni livello, negli obiettivi, nella misurazione dei risultati prodotti.
    Nel documento di audizione alle Settimane Sociali di Taranto abbiamo sottolineato la necessità di un patto di corresponsabilità tra le diverse generazioni, tra le diverse categorie lavorative, tra chi ha responsabilità educative e formative.
    Papa Francesco nella Fratelli Tutti (162) diche che “Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze.”
    Il lavoro è una dimensione fondamentale per lo sviluppo integrale delle persone perché ci permette di garantire il sostentamento e il futuro della nostra famiglia, di esprimere i nostri talenti. Con esso ci poniamo al servizio della comunità di appartenenza secondo “un patto di reciprocità”, contribuendo alla sua crescita e al suo sviluppo, dato che il lavoro implica sempre relazione e condivisione e non è mai fine a se stesso.
    Confcooperative ha tra gli ambiti di maggiore cura, nella promozione, alcuni temi che sono a cavallo tra lavoro e tutela dei territori “fragili” che vanno spopolandosi. Pensiamo ai workers buy-out (imprese in crisi rilevate dai lavoratori e trasformate in cooperativa) e alle cooperative di comunità (presenti nelle aree interne e periferiche e capaci di rappresentare un argine allo spopolamento e impoverimento dei territori).
    Il workers buy-out ci consente di “ricreare” il lavoro, che rischia di scomparire, tramite la forma cooperativa. Si tratta di un insieme di processi, competenze, strumenti finanziati che anche Confcooperative fornisce per costruire opportunità cooperative. Dalle crisi a volte si può ripartire con speranza. Sono decine le esperienze di questo tipo e il protagonista è sempre il territorio, con gli attori che lo animano. In questo senso, serve la collaborazione di tutti: per questo sarebbe utile richiamare con forza come Papa Francesco abbia più volte sottolineato che il "lavoro recuperato" ha un valore particolare che ci vede tutti impegnati. Su questo fronte possiamo e dobbiamo crescere nella collaborazione.

    I territori “fragili”

    Per quanto concerne la tutela dei territori “fragili”: quello della cooperazione di comunità è un ambito di azione che intende contribuire alla nascita e alla crescita di realtà imprenditoriali nelle aree che più ne hanno bisogno.
    Le cooperative di comunità si stanno diffondendo nelle aree interne, marginali, periferiche e di montagna del Paese, oltre che nelle periferie urbane. Sono realtà che necessitano di “cura” particolare.
    Sono una manifestazione preziosa e rappresentano strumento di auto-organizzazione attiva dei cittadini per creare i presupposti dell’abitare i luoghi, o rigenerarli, attraverso la cooperazione. Nella loro azione le cooperative di comunità puntano alla valorizzazione delle risorse locali che costituiscono ed esprimono i caratteri peculiari e unici della tradizione e della specificità dei luoghi. In questo senso, le cooperative di comunità parlano un linguaggio di testimonianza e possono crescere nel confronto e nella collaborazione con le Diocesi.
    Sulla cura della persona le manifestazioni sono molte, ma le possiamo raggruppare, per semplificazione, in alcuni macro-ambiti. Questi ambiti svelano la propositività della Chiesa nell’esserci e invitano tutti noi a rilanciare patti cooperativistici locali per rinnovare e garantire prossimità:
    - strutture sanitarie. Sono tante quelle in cui cooperazione e Chiesa operano per fare la differenza, portando cure e speranza;
    - residenze per anziani e case di riposo parrocchiali. Come abbiamo sostenuto nel documento di audizione alle Settimane Sociali di Taranto, la sfida a cui siamo chiamati oggi consiste nel delineare, pensare e realizzare una sanità e un welfare a misura di anziano. Gli anziani vanno sostenuti nelle loro fragilità e, al tempo stesso, valorizzati per il contributo che possono dare alla comunità. La fragilità è propria dell’essere umano e del creato e va accolta come dimensione umana. La fragilità va accettata, perché altrimenti anche la cura e l’assistenza diverranno azioni marginali, da tenere ai bordi, e quindi residuali della nostra società;
    - abitazioni, in collaborazione con le diocesi di riferimento, e richiamando la logica dell’Housing sociale, che mette a disposizione alloggi a famiglie e a persone in condizione di fragilità.
    Non possiamo e non dobbiamo dimenticare, in ultimo, quanto facciamo come Chiesa su:
    - scuole parrocchiali. Questa collaborazione virtuosa tra mondo della cooperazione e Chiesa porta a una crescita del livello dei servizi, un’amministrazione sempre più efficiente, e rappresenta una manifestazione di presenza e azione nel panorama scolastico ed educativo dei bambini e delle loro famiglie;
    - musei ecclesiastici delle Diocesi. Le cooperative sono al servizio nella gestione amministrativa e promozionale di questi beni di assoluto valore che sono un patrimonio per il nostro paese e che avvicinano cultura e fede;
    Dalle esperienze che esistono possiamo partire per crescere, tenendo aperte le porte al “nuovo”: tutti quegli spazi di creazione virtuosa che nascono dal confronto e dalla volontà di “fare” manifestata concretamente da Chiesa e cooperazione, la scommessa su un coinvolgimento da protagonisti dei giovani è la vera sfida che ci attende.


    * Vice Presidente Confcooperative


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