L’icona del possibile:
Frassati
Paolo Asolan
La gioia è forse la più potente calamita del desiderio umano: è ciò che l’essere umano in fondo cerca quando cerca qualcosa. È ciò a cui aspira al netto di ogni cosa desiderata, sia essa potere, salute, denaro, compagnia, sapere, riconoscimento sociale. È nel cuore di questa immensa e mai compiuta ricerca che cade l’annuncio del Nuovo Testamento: «Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Ed è per questa gioia annunciata – l’evento di Dio venuto fra noi per farsi carico della questione della nostra salvezza – che Paolo può intimare ai cristiani di Filippi: «Rallegratevi nel Signore!» (Fil 4,4).
Dunque, quando si vive nel Signore, si vive veramente. La gioia cristiana segnala la presenza del Signore e la sua accoglienza da parte degli uomini. Pier Giorgio Frassati è stato, nei primi decenni del secolo ventesimo, un testimone luminoso della gioia cristiana che genera la vera vita. «Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la Verità, non è vivere, ma vivacchiare». Papa Francesco ha recentemente preso in prestito queste parole di Frassati per spronare i giovani cattolici olandesi (riuniti nel loro Festival Nazionale, svoltosi a Nieuwkuijkad) a essere “rivoluzionari” come le Beatitudini di Gesù.
È noto come la definizione di Pier Giorgio quale “uomo delle otto beatitudini” risalga all’allora cardinale di Cracovia, Karol Wojtyla, il quale – inaugurando nel 1977 una mostra fotografica dedicata al giovane torinese – lo definì «uomo delle otto beatitudini, che reca con sé la grazia del Vangelo, della Buona Novella, la gioia della salvezza offertaci da Cristo. In ciò è tutta quella pienezza che porta in noi Cristo, che reca Cristo in noi e con noi: e si chiama la salvezza del mondo. Non è una parola troppo grande. Ogni uomo delle otto beatitudini è la salvezza del mondo, di tutto il mondo». A suo modo, Pier Giorgio fu un autentico rivoluzionario, e lo fu in quanto “uomo delle otto beatitudini”.
Eppure, proprio Karl Rahner testimoniò dell’assoluta mancanza di uno “spirito di ribellione” in lui: «pochi» – scrisse il teologo tedesco – «provenienti da un siffatto ambiente liberale della grande borghesia, diventarono ciononostante così come Pier Giorgio Frassati, senza che sia possibile attribuire questo fatto al solito meccanismo psicologico della ribellione dei figli contro i genitori». Non fu, dunque, un sessantottino; e tuttavia compì in se stesso la rivoluzione delle beatitudini, dando così un orientamento affatto nuovo alla sua esistenza.
Quale rivoluzione? Quella di mettere al centro della propria orbita non se stesso, ma Gesù Cristo; sistemando tutto il resto in rapporto a quel centro; onorando la realtà con quel valore e quella consistenza che Cristo e non il giudizio del mondo vi attribuisce. Le Beatitudini sono forse il testo evangelico che più documenta questo ribaltamento rivoluzionario di giudizio, laddove Gesù proclama beato chi per la logica umana è gente sfortunata ovvero da compatire. Lo ha ricordato il Papa ai giovani olandesi: è «Gesù stesso la via» e «attraverso la sua vita ci ha mostrato concretamente come vivere ognuna delle Beatitudini». La rivoluzione alla quale il Papa chiama i giovani cattolici non ha nulla a che vedere con la violenza o con la sopraffazione: consiste piuttosto in un atto di amore grazie al quale si esce continuamente dal proprio io per allargarlo a Dio e al prossimo, i quali (inseparabilmente: Mt 22,34-40) passano a diventare il nuovo centro dei pensieri, dei sentimenti, delle opere e dei giorni.
Una tale rivoluzione è possibile e la vita di Pier Giorgio – morto a soli 24 anni – è lì a mostrarlo nei fatti, con una semplicità e una evidenza perfino disarmanti.
Divenuto papa, e avendo avuto la grazia di poterlo dichiarare beato, Wojtyla interpretò la gioia di cui era traboccante la vita di Pier Giorgio proprio come beatitudine: «Egli proclama, con il suo esempio, che è “beata” la vita condotta nello Spirito di Cristo, Spirito delle Beatitudini, e che soltanto colui che diventa “uomo delle Beatitudini” riesce a comunicare ai fratelli l’amore e la pace. Testimonia che la santità è possibile per tutti e che solo la rivoluzione della carità può accendere nel cuore degli uomini la speranza di un futuro migliore».
Come avviene questa rivoluzione alla quale, dunque, è unito il dono della gioia? La vita di Frassati indica due vie: quella della preghiera contemplativa e quella del servizio della carità.
La preghiera quotidiana di cui fu capace, in particolare l’adorazione eucaristica e il rosario, lo introdusse sempre più profondamente nel mistero di Dio, il cui potere appare nell’ostia così diverso dai poteri del mondo: inerme, silenzioso, completamente dato e offerto. Lo Spirito gli insegnò a incarnare i tratti tipici di Gesù, facendo emergere in ogni situazione della sua vita il pensiero di Cristo, insegnandogli a trovare la via creativa per esprimere Cristo stesso. L’intimità e la dedizione amichevole con le quali egli pregava furono strade per le quali il medesimo Spirito gli donò la propria capacità realizzatrice – la forza efficace tipica dell’amore – educandolo passo passo a praticare, non come costrizione, ma come un bisogno del suo essere, la vita di Cristo, fino a rendere leggibili in lui i tratti del suo volto.
Il servizio della carità non ebbe in Frassati nulla di romantico, fu spesso anzi contrassegnato da preoccupazioni e difficoltà di ogni genere. Tuttavia, che si trattasse di vuotare i vasi da notte di poveri ammalati, o di sistemare famiglie senza lavoro (la sua ossessione, si potrebbe dire, era trovare un lavoro a chi l’aveva perduto), o condurre battaglie politiche in seno al Partito Popolare e in opposizione al fascismo, la sua allegria mai lo abbandonò. E furono questi anche i campi di azione nei quali la strada delle beatitudini da lui percorsa lasciò tracce visibili anche all’esterno. I molti che collaborarono con lui nelle sue attività, o che semplicemente lo vedevano presente e affaccendato dovunque vi fosse un bisogno da risolvere, testimoniarono la sua determinazione a servire la causa della giustizia, della pace (in Italia e in Europa, con la Pax Romana), della verità, del diritto e della misericordia. Lo fece senza mai odiare o calunniare le persone, senza dar la caccia a privilegi e a esenzioni, senza mai usare la violenza o l’intimidazione. Ma non fu nemmeno timido, vile, rinunciatario. Anzi, manifestava, si metteva in mostra, denunciava, fronteggiava a viso aperto.
Pier Giorgio rivoluzionò la sua esistenza mettendovi al centro coloro che Gesù proclama beati nel suo vangelo: così divenne lui stesso beato. Li amò uno per uno, nome per nome, ciascuno con la sua singola voce, il suo fiato pesante, le sue singole malattie, i suoi singoli malumori. Fu un indefesso frequentatore di soffitte maleodoranti, di ospedali, di prigioni, di ospizi per vecchi e per reduci di guerra, di cucine popolari, di dormitori per barboni, di circoli universitari, di sedi di partito e di giornali. Il modo col quale egli era presente, ascoltava, teneva allegri, consigliava, soccorreva anche finanziariamente, è uno dei più squisiti poemi dell’amore umano che il secolo scorso ci abbia consegnato.
Italo Alighiero Chiusano – il cui padre aveva conosciuto bene Pier Giorgio quand’era addetto all’ambasciata italiana a Berlino – arrivò a scrivere che «se ci fu qualcuno che in ogni essere, anche il più misero e magari odioso, vedesse Gesù e lo amasse come tale, fu Pier Giorgio».
La via delle beatitudini – la via battuta da Pier Giorgio – è per questa ragione una via che rivoluziona l’esistenza: la rende intensa, ricca, capace di iniziativa e di quella circolazione di vita in cui consiste la pace vera. Al contrario di quanto si possa immediatamente pensare, è proprio questa strada che allarga le possibilità dell’io fino a dimensioni impensate e umanamente impossibili, che poi sono le stesse di Cristo. In questo senso non è mai grigia, spenta o impegnata a chiedersi come trascorrere il tempo o come divertire la noia. Non una vita stagnante, sclerotica, ma continuamente rivoluzionata e piena di speranza.
Dobbiamo vedere come una grande opportunità – per i giovani, ma non solo – che il traguardo verso la prossima Giornata mondiale della gioventù sia preparato dall’ascolto delle Beatitudini, e che proprio un giovane come Pier Giorgio sia stato riconosciuto come “l’uomo delle otto beatitudini”. Dovremmo approfittare di questa convergenza per chiederci come far conoscere di più e meglio alla gioventù di tutto il mondo la rivoluzione gioiosa del giovane torinese. E dobbiamo vedere come provvidenziale anche il legame tra Frassati, Wojtyla, Cracovia e la spinta missionaria data alla chiesa da papa Francesco.
Pier Giorgio avrebbe aderito con assoluta dedizione alle indicazioni pastorali del Pontefice venuto “dalla fine del mondo”, riconoscendovi quasi un sigillo a quanto nella preghiera e nel servizio della carità egli stesso aveva intrapreso.
Papa Francesco ha centrato sulla gioia la sua importante esortazione apostolica sull’annuncio del vangelo nel mondo attuale: incontrare Gesù e lasciarsi salvare da lui significa essere liberati “dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento” (n. 1). Pier Giorgio mostra al vivo quali frutti dia la rivoluzione delle beatitudini, la rivoluzione della carità che muta in gioia che nessuno può togliere la “tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata” (n.2).
(fonte: Questo l'ultimo paragrafo della relazione «Una conversione pastorale della PG?» tenuta al Convegno Nazionale di PG nel febbraio 2015 a Brindisi. L'assoluta mancanza di pagine nella rivista ha "costretto" alla scelta di riportare tale paragrafo solo nel sito. Il resto della relazione è nel numero unico di PG aprile-maggio 2015 che riporta appunto gli "Atti" del Convegno, con un link qui)