Giovani e associazionismo
Cesare Martino
(NPG 1983-06-36)
In due convegni dell'A.C. emergono problemi e prospettive sulla vita dei ragazzi e delle più giovani fasce d'età.
Due avvenimenti tra loro volutamente coordinati ci permettono di riflettere su di un tema generale che riguarda la società civile e la comunità ecclesiale. Una riflessione che si incentra sulla categoria della «vita dei ragazzi».
In questi termini il problema è stato posto in due convegni organizzati a distanza di un mese l'uno dall'altro dall'Azione cattolica specializzata nell'educazione dei ragazzi, nei mesi di febbraio e marzo. I due incontri si sono guadagnati anche un certo interesse della stampa, solitamente portata a descrivere la «questione cattolica» nei termini dei più immediati schieramenti politici. Qui no, si è colto un po' più puntualmente la sostanza del discorso che era indubbiamente scottante anche dal punto di vista della problematica civile e non solo ecclesiale.
In due tappe diverse si è parlato del rapporto tra mafia, camorra, criminalità in genere, con la condizione dei ragazzi e nell'altro di questa ultima in rapporto alla crisi economica che affligge il nostro paese. Una tematizzazione che può parere inconsueta in associazioni che proclamano la fedeltà alla «scelta religiosa»: un modo di proclamare il criterio evangelico nella complessità sociale evitando goffi integralismi o goffi tecnicismi confessionalizzati. Ma gli organizzatori hanno dichiarato di volersi attenere ad un preciso monito che Giovanni Paolo II ha rivolto, in occasione della prima sessione del Consiglio Nazionale di A.C. nell'anno in corso: «Siate dunque tra i propugnatori di tale difesa dei diritti dell'uomo... Siate promotori della garanzia di tali diritti sulle varie frontiere: quelle della vita in tutti i suoi stadi fin dal concepimento, quelle dell'infanzia, degli anziani, di chi è solo e orfano, è ammalato, o abbandonato, o scoraggiato».
In realtà si è voluto dare un segno importante di un interesse che certo è carente nella cultura dominante sia politica che religiosa. Uno scossone all'idea di un mondo dei ragazzi inteso come un limbo di pre-uomini e pre-donne dove evaporerebbero le conseguenze di una organizzazione sociale pilotata dagli adulti, dove le insufficienze e gli scandali di comportamenti irrazionali sarebbero tutto sommato attutiti nella percezione «infantile» dei più piccoli. È un vecchio istinto di vanificazione che ogni tanto si manifesta nella sua cruda realtà. È ancora difficile in molti casi interpretare la «vita dei ragazzi» come vita di protagonisti a pieno titolo, con tutti i diritti che ne conseguono.
Che sono dunque questi ragazzi delle più giovani fasce di età? Dei soggetti anch'essi portatori di bisogni e di giudizi sulla realtà, o degli oggetti da manovrare a piacimento. Oggetti di sperimentazioni di consumo, di ginnastiche psicologiche e magari, perché no, di avventuristiche sperimentazioni pedagogiche e catechetiche. Certo è vero i ragazzi non votano, non hanno incarichi politici, non maneggiano interessi economici e sindacali, e potenzialmente nella società competitiva non contano nulla. Ma tutto ciò che avviene nella società li riguarda perché in essa vivono, perché in essa si usa della loro non-forza per essere più forti. In molti di noi risuona il rimprovero consueto «taci, non sentire il discorso dei grandi». Ma grande in che cosa? Sul mondo dei ragazzi gravano le insufficienze di un mondo adulto «infantilizzato» ed egoista, di persone che non sanno più essere padri, madri, cittadini, non sanno vivere il sacrificio della storia e non sanno amare. Ai più piccoli si nasconde ancora la verità o gliela si dice nei modi meno opportuni, come se la loro sensibilità fosse a energia ridotta. Come se non vivessero in una concretezza storico sociale fortemente condizionante la loro storia di vita, come si è ben detto nei convegni menzionati.
Vi può essere anche una tentazione tutta interna all'ambiente ecclesiale, quella di sospendere la specifica solidarietà educativa e morale col mondo dei ragazzi per non «opprimerli» con un messaggio che semmai potranno capire più avanti. Intendendo magari questo rinvio come un appuntamento di confronto con raffinate disquisizioni teologiche molto spesso indirizzate ad usi elettorali per collateralismi di ogni segno. Per fortuna nella realtà ecclesiale ha resistito un associazionismo dei ragazzi, non inteso come mero servizio distaccato, ma come organizzazione protagonistica dei più piccoli.
È un avvenimento tutto sommato ancora profetico nella nostra società. In ultima analisi è uno spirito di condivisione e di solidarietà che deve ispirare la condotta delle comunità cristiane. Il gioco e la fantasia dei ragazzi, loro momento utopico, si misurano quotidianamente con la realtà. Quella di un vuoto benessere privo della ricchezza dell'affetto, quella di una dura miseria che ancora esiste ed umilia le intenzionalità vitali, quello di uno spettacolo di morte e di violenza che viene somministrato dalle forze oscure del complotto antidemocratico e criminale. La crisi della società è anche crisi per i ragazzi, per la loro coscienza, la quale ha registrato certo ancora un breve segmento di storia, ma che tuttavia è capace già di reagire o soccombere.