Condizionamenti
Giuseppe Angelini
1. Il termine «condizionamento» è diventato assai comune nell'uso recente, e secondo accezioni diverse da quelle previste dai dizionari. Esso è carico di una connotazione spregiativa: «condizionamento» è un torto o un abuso perpetrato nei confronti della libertà o più genericamente dell'autonomia del singolo. Libertà e autonomia, d'altra parte, sono apprezzate come valori tendenzialmente dominanti dalla cultura: sicché i «condizionamenti» sono valutati come massime insidie della persona.
Ma, al di là di queste indicazioni ancora molto generiche, il termine appare confuso ed ambiguo, capace di molteplici significazioni, che vale la pena di distinguere e precisare. Correlativamente si potrà anche precisare l'idea di autonomia o libertà dell'individuo.
Il condizionamento può esercitarsi nei confronti del comportamento, o più a monte nei confronti della coscienza; anche, e soprattutto, a livello di coscienza si può perpretare un'insidia della libertà del singolo: non a caso la libertà di coscienza è rivendicata come una delle espressioni massime della libertà.
2. Cominciamo dunque a considerare i condizionamenti nei confronti della coscienza. «Tu dici questo perché sei condizionato da tua madre»; oppure «Tu pensi così perché sei condizionato dalla tua educazione cattolica». Il condizionamento in queste espressioni è quello esercitato da una cultura (della madre, del cattolicesimo) che si impone - così almeno si valuta - alla coscienza individuale non in base alla semplice forza di persuasione intrinseca che essa possiede, ma in base ad un rapporto personale più complesso (affettivo, educativo) che conferisce estrinseca autorevolezza alla medesima cultura. «Condizionati dalla pubblicità, o dalla moda, tutti ci fingiamo bisogni falsi»: anche in questo caso il convincimento soggettivo («ho bisogno di questo») è giudicato spurio, perché non frutto di un'autonoma deliberazione, ma indotto da una pressione psicologica.
La denuncia dei condizionamenti così intesi si ispira facilmente, con esplicita consapevolezza oppure in maniera del tutto inconsapevole, ad alcuni luoghi comuni del pensiero psicoanalitico. È stato appunto Freud ad iniziare una ricerca metodica dei fattori impulsivi, non coscienti, emotivi ed affettivi, della coscienza. Dall'analisi psicologica concreta egli passò progressivamente ad una teoria generale («metapsicologica») dei rapporti tra pulsione e coscienza, tra Es e lo. Per l'aspetto che a noi interessa, la teoria in questione afferma una radicale dipendenza o accessorietà della coscienza rispetto alla pulsione e agli orientamenti imposti alla pulsione dai rapporti umani più originari e profondi, che sono quelli parentali. in questa prospettiva, parlare di «condizionamenti» quasi si trattasse di indebiti fattori di disturbo dell'autonomia della coscienza, non ha senso. È conseguentemente astratto e irreale immaginare che la coscienza, o il pensiero, o la ragione, costituiscano aspetti dell'esperienza umana in linea di principio del tutto indipendenti da fattori di ordine psicologico ed emotivo, come se l'invadenza che di fatto tali fattori esercitano costituisse un disturbo indebito, una minaccia dell'autonomia e della libertà della persona. Occorre precisare la distinzione tra condizionamenti indebiti ed invece condizioni psicologiche necessarie e positive del costituirsi della coscienza - in particolare della coscienza morale. Questo è compito che può realizzarsi soltanto sullo sfondo di un'antropologia che superi la divisione tra sentimento e ragione, tra emotività ed obiettività, e che superi quindi il falso ed astratto ideale di una soggettività autonoma la quale nulla dovrebbe del suo essere ai rapporti umani ed affettivi, mediante i quali in realtà si costituisce. Per suggerire soltanto un'applicazione, è del tutto astratto pensare che i genitori promuovano la libertà del figlio astenendosi in ogni modo dall'orientare le sue scelte morali e religiose, perchè in tal caso il fattore affettivo interferirebbe sul fattore della convinzione. Al contrario le convinzioni del figlio in questi campi, e le scelte corrispondenti, non possono essere realizzate se il figlio stesso non riesce ad istituire un rapporto tra la dimensione psicologico-affettiva della vita e la dimensione ideale all'interno di fondamentali rapporti parentali.
3. Di condizionamenti si parla anche in rapporto alla «cultura», e cioè al sapere comune caratteristico di un determinato gruppo sociale, sia esso popolo, classe o chiesa. Ad esempio, si dice che il principio «patriarcale» (che dice essere l'uomo superiore alla donna) è «condizionato» dalla proprietà privata o dall'esclusione della donna dal lavoro sociale e produttivo (Engels); oppure si dice che la concezione dell'uomo come individuo è «condizionata» dall'economia di mercato (Marx); o ancora che la concezione della miseria come valore nasce dal risentimento (Nietzsche) o dall'illusione di coloro che non possono operare praticamente la loro liberazione (Marx).
Da un lato il condizionamento qui in questione è ancora quello psicologico di cui già s'è parlato in rapporto all'individuo. Freud, riprendendo per molti aspetti la critica della morale e della visione ideale occidentale in genere già proposta da Nietzsche, ha fatto della psicoanalisi una critica della civiltà oltre che della coscienza individuale (cfr. «Il disagio della civiltà» e «L'avvenire di un'illusione»). Nella stessa linea si pone per molti aspetti la scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse, etc.).
Dall'altro lato - il più rilevante - il condizionamento del sapere sociale è invece attribuito a fattori economici, e quindi al complesso degli interessi collegati con la divisione del lavoro. Il termine «ideologia» esprime sinteticamente questa dipendenza inconsapevole degli ideali dagli interessi.
Anche in questo caso, come in quello di Freud, Marx, partito dalla denuncia dell'ideologia come una distorsione ed un male, pervenne invece alla convinzione che tutto il sapere o il pensiero umano non potesse essere altro che sovrastruttura del fondamentale interesse economico.
Al di là di Marx, è oggi diffusa la convinzione che non ci sia sapere umano che non sia dipendente, e in tal senso «condizionato», dall'universo socio-civile entro il quale si realizza.
Sicché alla categoria della verità si sostituisce quella della funzionalità sociale (»A chi serve?»). La denuncia del condizionamento non ha più senso: non c'è possibilità alcuna di sapere incondizionato.
Il compito che si propone a proposito dei presunti condizionamenti della cultura è duplice. Per un lato è quello di distinguere, più chiaramente di quanto s'è fatto ed era possibile fare nel passato, tra ideali universali almeno intenzionalmente «incondizionati» e ideali civili che viceversa tentano di prospettare un bene praticamente realizzabile a partire dalla situazione storico-sociale esistente. Il condizionamento di questi ultimi ideali sarebbe consapevole, voluto, e non patito: ma sarebbe controllato dal più fondamentale riferimento agli ideali incondizionati.
Il secondo compito è appunto quello di chiarire la figura del sapere storico- civile, e dei modi (non sillogistici, non deduttivi, ma più complessi) in cui esso realizza la sintesi tra esperienza pratica immediata e valori ideali incondizionati. In ogni caso, perde senso la denuncia del «condizionamento» come elemento indebito di disturbo del sapere umano, qualora tale sapere rinunci per principio alla conoscenza o alla ricerca dell'«incondizionato».
4. Diversa è la problematica del condizionamento in rapporto ai comportamenti individuali. Condizionamento può essere detto in generale tutto ciò che impone un determinato modo di agire scavalcando il consapevole e libero consenso della coscienza individuale.
Ma in senso più ristretto e preciso si parla di condizionamento quando un fattore estraneo impone un comportamento, facendolo insieme apparire come voluto e non imposto. In tal senso non si chiama condizionamento la costrizione esplicita, che si impone al singolo il quale pure consapevolmente vi resiste, come ad esempio l'ordine che un genitore autoritario impone al figlio; ma si chiama condizionamento per esempio la persuasione occulta esercitata dai mass-media o anche da un adulto autorevole (insegnante, leader d'ogni genere) nei confronti del singolo «minore»: chiamiamo «minore» colui che per qualsiasi motivo (non solo per l'età) non ha le risorse per riconoscere e quindi eventualmente resistere consapevolmente alla persuasione in questione. Oppure si parla di condizionamento quando un determinato comportamento, che non sarebbe liberamente assunto dal singolo, è sollecitato dal singolo attraverso una pressione di carattere emotivo o psicologico. Pensiamo al caso classico del genitore che non comanda espressamente, ma piange o comunque soffre se il figlio si comporta diversamente da come egli si attende.
È quest'ultimo tipo di condizionamenti che propone i problemi più interessanti. L'inclinazione dell'uomo d'oggi a moltiplicare all'infinito le denunce di condizionamenti subiti nasce spesso da una concezione discutibile, e alla fine inaccettabile della libertà. Intendiamo riferirci alla concezione che pensa la libertà come esplicazione della spontaneità individuale, o come «realizzazione del sè». È facile immaginare come una tale concezione incontri l'altro, i suoi bisogni, specialmente le sue attese d'ordine affettivo, come un intralcio indebito della propria libertà, come un condizionamento appunto. La figura ideale del rapporto interindividuale in questa prospettiva appare essere quello della libera convenzione, del «contratto», risolvibile in ogni istante per iniziativa delle parti. Ma gran parte dei rapporti interumani - specie quelli più seri e profondi - non sono di questo tipo, e sono quindi patiti quali condizionamenti dal singolo che abbia queste convinzioni.
La libertà non è l'esplicazione di una spontaneità soggettiva, la quale per un lato si trasformerebbe ineluttabilmente in arbitrio, e per altro lato condurrebbe all'inutile consumo delle proprie energie e del proprio tempo mortale. Libertà è piuttosto quella dell'uomo che sa spendersi, sa offrirsi, sa alla lettera «dare la propria vita» per il bene degli altri riconosciuti come «prossimi», come fratelli, e non tenuti distanti come estranei.
In tale prospettiva l'attesa dell'altro non sarà vissuta come condizionamento, ma piuttosto come compito liberamente assunto.
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