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    Pudore

    Giuseppe Angelini


    1. Il «pudore» è un sentimento che tutti, nell'una o nell'altra circostanza, conoscono; ma è anche un sentimento del quale sembra diventato impossibile parlare.
    Le espressioni più consuete sembrano riferirsi al «pudore» quasi esclusivamente per dichiararlo «falso». È ripetuto quasi come un imperativo categorico quello che impone di parlare «senza falsi pudori». L'aggettivo «pudico» poi ha ormai quasi sempre una connotazione ironica.
    Per quanto riguarda più in particolare il pudore nella materia sessuale - la materia alla quale più facilmente è associato quel sentimento nel comune modo di pensare - è diventato sommamente difficile per i giudici dei tribunali italiani determinare quella misura del «comune senso del pudore» che dovrebbe consentire di fissare il limite tra lecito e illecito a livello di spettacolo: il «senso del pudore» non è più in alcuna misura «comune».
    Dunque, dobbiamo rassegnarci a considerare il «pudore» come la patetica reliquia di una sensibilità infantile ed inibita, ormai in procinto di scomparire dal repertorio emotivo della persona moderna adulta e spregiudicata? E ancora, il pudore è un tratto della sensibilità psicologica e naturale immediata, oppure è il frutto di un'assuefazione civile? È un tratto del carattere, oppure è il frutto di una positiva coltivazione morale dei sentimenti umani?
    Come tutti gli attributi umani più essenziali, il «pudore» è realtà estremamente sottile e complessa, che comprende una gamma di realizzazioni estremamente varie, le quali solo analogicamente sono accostate le une alle altre. Cos'è la forza? Un attributo fisico, o psicologico, o morale dell'uomo? Non si può scegliere tra le tre alternative prospettate: a tutti tre i livelli ha significato parlar di «forza», e non si tratta di uso semplicemente equivoco del termine. La vita dell'uomo è profondamente connessa nei suoi diversi livelli, e le virtù morali si nutrono di inclinazioni psicologiche come pure di immagini offerte dall'esperienza corporea.
    Così accade del «pudore».

    2. Il livello più opportuno da cui procedere per delinearne il senso complessivo sembra essere quello psicologico, ossia quello dei sentimenti e delle emozioni indeliberate. Una donna, la quale si senta dichiarare («spudoratamente») da un uomo, di fronte ad altre persone: «come sei bella», ovviamente arrossisce; e se non arrissisce, se ha particolare prontezza di spirito, magari troverà la battuta ironica capace di trasformare l'apprezzamento in uno scherzo. Basterà assai meno di una dichiarazione così esplicita, basterà magari il fatto di riconoscersi osservata con insistenza, per determinare analogo disagio. Questo disagio, questo desiderio di nascondersi, si chiama «pudore». Ma che cos'è? Come interpretarlo? Osserviamo che la stessa donna, quando sentisse il medesimo apprezzamento o il medesimo sguardo quando è sola, a tu per tu con un uomo, intenderebbe spontaneamente questi atteggiamenti come espressione di un sentimento, e reagirebbe di conseguenza: allontanandosi sorpresa e infastidita, oppure in qualche modo rispondendo a quel sentimento. La bellezza del volto, dell'aspetto complessivo, non è un fatto obiettivo e a tutti accessibile? perché dunque «vergognarsi» se esso è notato? Ci si «vergogna» di ciò che è indegno.
    Certo il «pudore» non è - come pure invece dicono i dizionari - «avversione dell'animo e abito mentale che porta ad aborrire le cose sconce e disoneste». Il «pudore» è invece il sentimento di una particolare vulnerabilità della persona umana. Essa esprime le proprie disposizioni di spirito attraverso il volto; ma il volto esprime in qualche modo lo spirito anche al di là della volontà dello spirito stesso. Il volto è come uno spettacolo di fronte a tutti. Quando la persona umana si senta «spiata» dallo sguardo altrui, al di là di ciò che il deliberato rapporto di reciprocità consente, avverte spontaneo il desiderio di nascondersi e il pericolo di apparire.
    Quello sguardo dello spettatore estraneo produce infatti quasi una cosificazione dello spirito. La persona che invece si compiacesse di tale sguardo estraneo, mostrerebbe di essere spudorata, esibizionista, senza dignità, «seduttrice» e falsa. Questi giudizi suggeriscono di per sè come, sul sentimento psicologico spontaneo, s'innesti la scelta libera; e quindi come quel sentimento possa e debba diventare virtù morale, ma possa anche deprecabilmente essere rinnegato e diventare vizio morale.
    In qualche parte dei suoi scritti, Nietzsche osserva che, quando si compie un'opera buona nei confronti di una persona, e subito dopo ci si accorge di essere stati notati e magari ammirati da estranei, vien voglia di prendere un bastone e punire gli indebiti spettatori. Anche questa è un'espressione - un po' brutale, certo - del pudore: l'opera buona è sciupata dagli spettatori; essa infatti può essere giustamente intesa soltanto da colui a cui è rivolta. Vediamo confermata la medesima legge: lo spirito è geloso della propria trasparenza; essa non deve risultare ad altri che a coloro ai quali lo spirito liberamente si rivolge, ossia mostra il volto.

    3. C'è un pudore del proprio corpo, e c'è un pudore dei propri sentimenti: ma se consideriamo con più attenzione questa seconda forma del pudore, ci accorgiamo che anch'esso è pudore del proprio corpo. E cioè, è un sentimento che prende quando si avverte che i propri sentimenti traspaiono involontariamente dalla mimica del volto e del corpo tutto.
    Il pudore ha sempre a che fare con la distinzione e la connessione reciproca tra esteriorità ed interiorità nella vita dell'uomo. L'interiorità si nutre di immagini e deve darsi sempre figura esteriore per manifestarsi all'altro.
    Ma la persona non sopporterebbe di consegnarsi all'altro se non a condizione che, e nella misura in cui, riconosca nell'altro le disposizioni giuste nei propri confronti; anzitutto, le disposizioni consistenti nel riconoscimento della propria soggettività libera e indisponibile.
    Si comprende in questa luce come il pudore riguardi soprattutto i comportamenti attinenti alla sfera sessuale: è questa infatti la sfera nella quale più facile é la cosificazione, la prevaricazione dell'attenzione al corpo altrui e al corpo proprio rispetto all'attenzione alla persona dell'altro.
    Si comprende anche come il pudore possa essere seriamente minacciato nella nostra società: è questa infatti una società nella quale l'anonimato minaccia tutti i rapporti; la mimica collettiva facilmente sostituisce l'espressione della persona (troppo insicura di sé); e quindi ogni persona rischia di ridursi a «spettacolo» esposto all'attenzione di tutti, magari desiderosa di farsi ammirare da tutti. La «spudoratezza» in tal senso non è soltanto quella delle immagini stampate e proiettate sugli schermi; ma è anche e soprattutto quella meno appariscente della quotidiana recita collettiva, incoraggiata dalla precarietà di tutti i rapporti nella massificata convivenza urbana.

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