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    La personalità morale cristiana (cap. 3 di: Libertà e legge)


    Guido Gatti, LIBERTÀ E LEGGE, Elledici 1995

     


    Conformati a Cristo

    La saggezza morale che, nelle varie culture umane, ogni generazione trasmette alle generazioni successive, perché la assimilino, la rielaborino in maniera creativa e la ritrasmettano ad altre generazioni, non è costituita soltanto da un qualche codice di norme o di criteri per la valutazione della bontà o negatività morale delle azioni. Attraverso queste norme e questi criteri, l'educazione morale trasmette un certo disegno ideale di umanità, un modello ideale di uomo cui ispirarsi nella progettazione della propria vita. L'esperienza morale umana quindi assume sempre il carattere di una formazione graduale della propria personalità: attraverso le sue azioni, le sue intenzioni, i suoi atteggiamenti interiori, l'uomo costruisce se stesso, si dà quella concreta e originale fisionomia morale che lo costituisce, che fa di lui quell'uomo, più o meno riuscito, che egli è.
    Attraverso l'impegno di fare il bene egli si rende buono; le sue scelte non cambiano soltanto il mondo intorno a lui, plasmano il suo carattere, danno un orientamento unitario e coerente alla sua vita.
    La formazione della personalità cristiana si sviluppa naturalmente attorno a quelle linee portanti della vita in Cristo che sono le virtù teologali.
    Partendo dal cuore della persona, la fede, la speranza e la carità plasmano, attraverso un impegno morale coerente e continuato per tutta la vita, la personalità del credente, conformandola a Cristo, sotto la guida e la spinta dello Spirito.
    Facendo il bene, in coerenza con la propria fede, il cristiano costruisce in sé Cristo.
    Questa plasmazione della persona interessa:
    - L'intelligenza: è la formazione di una mentalità cristiana, capace di vedere, giudicare, progettare con gli occhi di Dio; è la formazione di una coscienza morale cristiana, capace di riconoscere la propria vocazione in Cristo, di discernere «ciò che è gradito a Dio e perfetto» nelle diverse situazioni della vita e di progettare in modo creativo la propria fedeltà a Cristo (nello stile dell'amministratore responsabile di tante parabole del Vangelo).
    - La volontà e l'affettività: aprendole all'amore di Dio e dei fratelli e rendendole capaci non soltanto di fare il bene perché comandato e doveroso ma anche di amarlo e di realizzarlo con la interiore spontaneità dell'amore, messo in noi dallo Spirito.
    - Il carattere morale: dando unità e coerenza interna a tutta la personalità e assimilandola sempre di più a Cristo, legge viva del credente.
    Per quanto ispirato a questa legge viva e teso a conformarsi a Cristo, il credente non fa del suo impegno morale una qualche specie di omologazione impersonale nei confronti di un modello prefabbricato ed estraneo ai suoi dinamismi interiori di sviluppo.
    Dio non crea gli uomini su stampo: egli ha nei confronti di ognuno di loro un progetto unico e irripetibile.
    Questo spiega perché i santi siano tra loro così diversi; ognuno di loro si è fatto tale soltanto nella più assoluta fedeltà a una vocazione unica e irripetibile.
    Il credente scopre le linee di questa vocazione unica all'interno delle sue doti personali, delle sue qualità umane e dei suoi doni di grazia, delle circostanze in cui si trova a vivere e dell'appello che gli rivolgono gli uomini e le cose in mezzo a cui vive.
    Sviluppando i talenti che Dio gli ha affidati, egli realizza pienamente se stesso, e fa della sua vita un capolavoro unico per la gloria di Dio, il bene suo e dei suoi fratelli.
    L'esistenza cristiana è quindi come un germe che deve essere portato a maturazione. La crescita nella fede è un compito di tutta la vita che procede attraverso una serie di tappe, ed è correlata allo sviluppo e alla maturazione di tutta la persona.
    La giovinezza è, nella formazione della personalità cristiana, una tappa decisiva, contrassegnata dall'acquisizione della fortezza cristiana e dalla «vittoria sul maligno» (cf 1 Giovanni 2,13-14), cioè dalla capacità di sottrarsi al conformismo nei confronti di un mondo e di una cultura ostili al Vangelo, per affermare coraggiosamente la propria fede e realizzare in sé i tratti originali di una personalità cristi forme.

    Viventi nella Chiesa

    Un piccolo d'uomo può diventare uomo soltanto attraverso l'apprendimento di un linguaggio, di un particolare modo di pensare e di vedere la realtà, un determinato modo di comportarsi con i suoi simili.
    Questo apprendimento ha luogo nella famiglia, nel gruppo dei coetanei e nella società di cui egli, venendo al mondo, è entrato a far parte.
    Esso esige da parte sua una certa disponibilità a lasciarsi insegnare, un discepolato più o meno lungo nei confronti dei suoi genitori, dei suoi educatori, degli adulti del suo gruppo sociale.
    Senza questo lungo discepolato non si può diventare uomini, anche se si possiede dell'uomo tutto il bagaglio di eredità genetica.
    Per questo chiamiamo «materna» la lingua che parliamo, non soltanto perché l'abbiamo appresa sulle ginocchia della madre, ma anche perché essa ci apre le porte della società, ci genera alla vita culturale, cioè specificamente umana.
    Si diventa uomini solo attraverso l'appartenenza attiva a una comunità educante, inserita a sua volta nella grande famiglia umana.
    Così si diventa cristiani solo attraverso l' appartenenza alla Chiesa.
    Si diventa cristiani soltanto imparando da Cristo, diventando suoi discepoli; è il nostro discepolato nei suoi confronti che ci fa appartenere a lui, è la docilità alla sua parola che fa di noi dei cristiani.
    Ma la sua parola è custodita, mantenuta viva e trasmessa ai credenti di ogni nuova generazione nel seno della madre Chiesa.
    È la Chiesa il luogo concreto del nostro discepolato nei confronti di Cristo, lo spazio vivo dove possiamo incontrarlo e lasciarci insegnare da lui.
    L'appartenenza ecclesiale non è quindi, per la fede, un «optional di lusso», ma un elemento insostituibile ed essenziale.
    In quanto fatto della libertà, la fede è naturalmente qualcosa di assolutamente personale; eppure si può giustamente dire che il cristiano crede con la fede della Chiesa. La sua fede viene educata dalla Chiesa e si sviluppa e cresce solo nel seno della Chiesa. Le stesse parole con cui egli esprime la sua fede (il suo «credo») sono formulate e proposte a lui in modo vincolante dalla Chiesa, sono il credo della Chiesa, il simbolo degli apostoli.
    È alla Chiesa che Cristo ha affidato il compito di annunciare il suo vangelo agli uomini di tutti i tempi e di tutti i popoli.
    Per questo egli le ha promesso una particolare assistenza dello Spirito Santo che le insegna ogni verità e le garantisce fedeltà indefettibile agli insegnamenti di Cristo.
    Presenza viva di Cristo e luogo privilegiato dell'azione dello Spirito per la salvezza del mondo, essa rappresenta, nel tempo della storia, un segno efficace e una anticipazione credibile di quella riconciliazione degli uomini tra di loro e di quella comunione con Dio che avrà la sua realizzazione piena solo nella manifestazione finale del Regno di Dio.
    Come una grande fraternità, la Chiesa avvolge e accompagna il credente nella sua crescita umana e cristiana. Essa è l'ambito concreto della vita cristiana. In essa il credente ritrova, attualizzato e reso significativo per la propria situazione, l'imperativo morale di Cristo. Essa è l'ambito più immediato di quell'amore dei fratelli che è il «comandamento nuovo» di Cristo.
    Nella celebrazione eucaristica, la comunità cristiana fonda la sua solidarietà fraterna sulla presenza di Cristo e sulla proclamazione della sua parola.
    La Chiesa sorregge i credenti nella loro lotta contro il peccato e, attraverso il sacramento della riconciliazione, sigilla il loro itinerario di conversione con la parola del perdono che essa pronuncia a nome e per incarico di Cristo.
    Sposa di Cristo e testimone della fedeltà del suo amore, la Chiesa sigla il patto di amore dei coniugi cristiani, che diventa così un sacramento, il sacramento del matrimonio, segno efficace della presenza di Cristo e della sua grazia nel cuore della vita coniugale cristiana.
    La fedeltà a Cristo e l'interiore docilità allo Spirito impegna il credente a vivere con coerenza la sua appartenenza ecclesiale, e a costruirsi come pietra viva del tempio santo di Dio e come cellula del corpo di Cristo.

    Modelli di vita

    Imparare a vivere in Cristo non significa soltanto imparare un codice di norme o una gerarchia di valori. Non basta neppure agganciare saldamente queste norme e questi valori a una determinata visione dell'uomo, del mondo e del futuro che giustifichi l'impegno morale e gli fornisca un adeguato «vale la pena».
    Per raggiungere una vera maturità umana e cristiana occorre riferirsi a un certo modello ideale di vita, su cui plasmare la propria personalità. Ogni forma di esperienza morale umana si costruisce sempre attorno a un paradigma di umanità riuscita.
    Ma un simile modello ideale non può plasmare efficacemente una vita, soprattutto durante l'età evolutiva, fin che resta unicamente un paradigma astratto, impersonale e astorico: ha bisogno di concretizzarsi in una persona storica particolare.
    Chi si pone davanti un simile modello umano, come incarnazione concreta dei suoi ideali morali, tende a identificarsi con lui, ne assimila i sentimenti e gli atteggiamenti interiori, i valori e i comportamenti: è quello che comunemente si chiama «identificazione».
    Si tratta di un processo che è mediato dalla immaginazione e dal sentimento, ma che impegna anche la ragione, in un discernimento intelligente dei tratti specifici di una umanità riuscita.
    L'identificazione gioca un suo ruolo privilegiato nello sviluppo della personalità, soprattutto durante l'adolescenza e la giovinezza, cioè durante i momenti in cui la plasticità della persona è massima, ma il fascino di un modello riuscito di umanità esercita un influsso positivo di orientamento, di stimolo e di critica, in tutte le età della vita.
    Anche la crescita della fede ha bisogno di modelli di identificazione. Naturalmente il modello vivo di ogni vita credente è Cristo, uomo perfetto e paradigma ideale di ogni umanità.
    La morale cristiana si risolve in un impegno di identificazione e di «conformazione» nei confronti di Cristo: «Non sono più io a vivere - dice san Paolo - è Cristo che vive in me» (Calati 2,20). «Per me il vivere è Cristo» (Filippesi 1,21).
    L'identificazione in Cristo in qualche modo ci divinizza poiché ci mette in misterioso contatto con quella paradossale identificazione di Dio con l'uomo e umanizzazione di Dio che è l'incarnazione.
    L'imitazione di Cristo è una dimensione costitutiva di tutto l'impegno morale cristiano; essa non va intesa come ripetizione dall'esterno, ma come assimilazione interna che ha in Cristo il vero protagonista.
    L'identità cristiana è quindi un modo parziale ma originale di riprodurre e far rivivere Cristo.
    Ma in questo impegno di far rivivere in sé Cristo, il credente è orientato e sorretto anche da altri modelli vivi, figure riuscite di umanità credente: sono i santi, i grandi della fede, esempi originali di una umanità tanto più piena quanto più illuminata da Cristo e animata dallo Spirito.
    Naturalmente, anche se ognuno di questi modelli ha qualcosa da dire e da offrire per la vita di ogni credente, essi non sono anonimi e intercambiabili, non sono fatti su stampo.
    Ogni cristiano vive in una condizione particolare, con doti, propensioni, limiti e problemi esclusivamente suoi. In un certo senso nessun altro all'infuori di lui può essere modello adeguato della sua crescita nella fede e della sua riuscita in umanità.
    Ma ci sono indubbiamente nella storia della fede (e anche in quella, più vasta, dell'umanità) persone riuscite in cui egli può riconoscersi più da vicino, a cui egli si può ispirare in maniera privilegiata. Così il giovane si rispecchierà più facilmente in giovani cristianamente riusciti, che lo hanno preceduto nel discepolato di Cristo realizzando in modo esemplare le qualità più specificamente giovanili della vita morale, come la fortezza, la lealtà, il coraggio, l'ottimismo, la capacità di assumersi responsabilità e di pagare di persona.
    Una certa giovinezza dello spirito non conosce età anagrafiche ed esiste una modalità giovanile di umanità e di fede che può essere presente in ogni cristiano riuscito.
    Del resto questa identificazione non deve avere nulla della imitazione pedissequa ed esteriore e tanto meno del plagio.
    Ognuno di questi grandi della fede rappresenta un modello originale e irripetibile di incarnazione del Vangelo in una situazione storica, culturale e psicologica diversa da ogni altra.
    Il credente trova in loro uno stimolo a prendere sul serio il Vangelo, una prova della sua affidabilità, la garanzia che, affidandosi alle sue severe esigenze, non ci si perde, anzi ci si realizza in pienezza. Ma da loro egli può anche imparare a fare della propria vita quel capolavoro originale e unico di umanità e di fede che Dio vuole da lui.

    In lotta col peccato

    La percezione del contrasto che esiste tra l'altezza della vocazione cristiana (misurata soltanto dall'amore senza misura con cui Dio ci ha amati in Cristo) e la povertà della sua risposta di fede è una sorgente di inquietudine continua per il credente.
    Anche quando la sua vita si ispira a una sincera adesione di fondo a Cristo e alla sua parola, anche quando essa è illuminata dalla speranza e sorretta da un amore sincero verso Dio e verso i fratelli, mille gesti concreti più o meno pesanti, mille decisioni particolari della vita quotidiana sfuggono continuamente alla logica di questa ispirazione di fondo e la contraddicono in modo più o meno radicale.
    Pur sapendosi redento dal sangue di Cristo, il credente scopre dentro di sé quanto sia tenace la resistenza che i germi dell'uomo vecchio, continuamente rinascenti in lui, oppongo alla sua fragile buona volontà.
    È l'esperienza dolorosa e umiliante del peccato, tanto più acutamente percepita e sofferta, quanto più vivamente è sentita l'urgenza del bene, nella luce della fede.
    Questa esperienza dà a tutta la vita cristiana il carattere di un faticoso e mai del tutto concluso cammino di conversione permanente, siglato dai segni della nostra miseria e debolezza, del nostro persistente egoismo, della nostra pochezza di fede, ma anche dai gesti del pentimento, dai propositi sempre rinnovati di ripresa e soprattutto dalla fiduciosa certezza del perdono di Dio.
    Convertirsi significa appunto riorientare la propria vita dal peccato a Dio, attraverso una libera presa di posizione contro il peccato commesso e una rinnovata volontà di bene, come espressione e autenticazione della propria fede e del proprio amore a Dio.
    Una conversione sta all'origine stessa della vita cristiana.
    La vita cristiana inizia con una adesione incondizionata a Cristo che ha sempre in sé l'aspetto di una conversione.
    Essa ha sempre alle sue spalle una storia di peccato o di solidarietà col peccato del mondo, che deve essere rinnegata e vittoriosamente superata.
    Fin dall'inizio della sua predicazione, quando annunciava: «Il regno di Dio è vicino», egli invitava insieme a credere e a convertirsi. Sempre egli esigeva da chi voleva seguirlo un rovesciamento radicale delle prospettive e dei modi precedenti di vita.
    San Paolo invita i credenti a «deporre l'uomo vecchio con la condotta di prima, l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici» per rinnovarsi nello spirito della propria mente «e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera» (Efesini 4,24).
    La necessità di un rinnovamento così radicale viene dunque dal fatto che l'uomo vecchio è l'uomo del peccato, venduto in potere del peccato, schiavo di passioni ingannatrici, solidale con tutto un mondo e una storia segnata dal dominio del peccato.
    Il Vangelo è soprattutto la buona notizia della vittoria di Cristo sul peccato. La sua morte e risurrezione apre un capitolo nuovo nella storia del mondo; nel mistero di questa morte e risurrezione è offerta a tutti gli uomini la possibilità di una remissione dei peccati, intesa non come semplice condono, ma come possibilità di iniziare una vita nuova, riconciliati con Dio e partecipi della vittoria di Cristo sul peccato.
    Il Battesimo, che dà inizio alla vita cristiana, è appunto una partecipazione al mistero della morte e risurrezione di Cristo e quindi della sua vittoria sul peccato.
    Ma la grazia battesimale è data al credente come un germe da sviluppare e da portare a compimento. Il Battesimo lo ha unito alla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte; ma egli possiede questa vittoria solo in modo germinale, come una realtà da custodire e approfondire.
    Restano in lui le tracce di una oscura solidarietà con il peccato del mondo che segna profondamente di sé tutta la storia umana e prende corpo nelle strutture della società e nelle creazioni di ogni cultura umana. Queste tracce sono profondamente radicate nelle strutture della personalità dell'uomo e possono essere cancellate soltanto in modo graduale, all'interno di un itinerario di autorinnovamento progressivo e di difficile crescita nella fede che alternerà inevitabilmente lentezze e fragilità con momenti di ripresa e di lotta vittoriosa.
    Questa lotta non è risparmiata al credente: anche lui è costretto a combattere contro qualcosa che è dentro di lui e che gli appartiene: il vecchio Adamo, che solo faticosamente e lentamente cede il posto all'uomo nuovo.
    Ma la lotta costituisce soltanto il versante oscuro e faticoso di un itinerario di crescita; è soltanto il prezzo da pagare alla necessità di un autosuperamento e di autorinnovamento continuo per realizzare in sé la maturità della vita in Cristo.
    È la dimensione penitenziale e autorinnovativa della vita cristiana.
    Egli è costantemente consapevole della sua condizione di peccatore e del suo bisogno di perdono. Ma sa anche di poter contare sull'amore misericordioso di Dio e, sorretto dalla speranza, tende alla perfezione della fede e della carità.
    Il sacramento della riconciliazione dà espressione e autenticità a questa lotta di ogni giorno contro il peccato.
    Nel sacramento della riconciliazione, il credente rientra in se stesso, e rinnovando la consapevolezza umile e penosa delle sue colpe, prende il coraggio di chiamare per nome queste colpe di fronte alla Chiesa, testimone e custode della misericordia di Dio. Davanti alla Chiesa rinnova il suo impegno di lotta, i suoi progetti di rinnovamento della vita, la sua volontà di ripresa.
    Egli sa di poter incontrare, nelle parole di perdono che il sacerdote pronuncia a nome della Chiesa e di Cristo, la grazia di un perdono capace di trasformarlo interiormente e di unirlo sempre più efficacemente alla vittoria di Cristo sul peccato. Anche nei momenti più difficili di questa lotta, il credente è sostenuto dalla certezza che Cristo combatte con lui.
    Le rinunce e i sacrifici che rendono faticoso, e a volte incerto e tortuoso, il cammino della fede sono così illuminate dalla luce della risurrezione di Cristo e dalla speranza della piena rivelazione della gloria dei figli di Dio: nella misura in cui accetta coraggiosamente di morire al vecchio uomo segnato dal peccato, il credente accede alla novità di vita inaugurata da Cristo e diventa partecipe della sua risurrezione.

     


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