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    (NPG 2025-02-8)


    Nessuno sapeva.
    Nessuno sapeva del suo cuore stanco. Dell’avversione provata nei confronti di se stesso. Di come, ogni parte di sé si rifiutasse di andare avanti. La lingua ad invadere la bocca senza più guizzi. La mente soffocata dalle domande ostinate, da voci profonde che non tacevano mai, neanche quando fuori era silenzio. Mille mani e ancora mille a frugarlo. Toccarlo. Ancora e ancora fino a non restare più nulla per sé. Volti deformati e suppliche e grida e spruzzi di saliva. L’oggetto del desiderio di tutti. Tutti a volerlo con tanta intensità da fargli temere che, potendo, l’avrebbero divorato.
    Non era il demonio a volerlo fiaccare, facendolo cadere nella trappola della resa. Non era il demonio che dal deserto era fuggito, stordito dall’armonia degli angeli. Non era quello. Era il calcolo sbagliato, il peso che spostava, l’arroganza, la sua arroganza vestita da umiltà.
    Come aveva potuto pensare… credere… osare… davanti all’immensità dell’altro. Era quello.  La sensazione di non essere abbastanza, di non bastare a saziare, a riempire quegli occhi, quelle mani, quei cuori. La sensazione che in quelle bocche, in quegli occhi, in quelle mani e in quei cuori sarebbe potuto affogare. Ora davvero sentiva il loro peso, fino allo schianto. Pesanti fino a sanguinare.
    E poi, all’improvviso, alcune visioni, leggere ed evanescenti come soffioni sciolti dal vento. Quelle visioni che spesso lo avvolgevano e gli raccontavano storie di mondi e tempi di là da venire.
    Uno strano villaggio di baracche, immerso nella neve. L’aria satura di cenere. Uomini ridotti a larve in quel deserto pieno di demoni. All’improvviso, dal nulla, una musica, stentata, soffocata, pur sempre una melodia. In una baracca, un uomo ridotto a nulla, soffia in un pezzetto di legno, forato alla bell’e meglio, mille orbite vuote lo guardano, le bocche senza denti sorridono, un accenno di canzone e di danza. Per un attimo via il male e avanti la gioia del bene. Uomini in croce che guardano al cielo.
    Una donna. Scarpe basse. Gonna leggera. Maggio caldissimo. Scende dall’aereo sorridente. Sale in auto per tornare a casa. È Francesca Morvillo. Insegue il bene da sempre. Da sempre la giustizia. Che sia un magistrato e che abbia sposato un magistrato sono soltanto dettagli. È il cuore a guidarla e la sua anima leggera come quella gonna che svolazza. È una missione che pesa come un macigno. Pesa fino a sanguinare. Ma la donna è felice e ride di gusto un attimo prima che la sua auto esploda in aria.
    Una città martoriata, Sarajevo si legge su un cartello distrutto, in cinquecento, dopo aver attraversato il mare in burrasca, la raggiungono. Un ometto col berretto di lana, don Tonino Bello, li guiderà in una marcia di pace e in un cinema abbandonato, alla luce delle candele le sue parole veggenti: “Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati”. Incredibile l’energia. Incredibile la sua gioia. È già malato. Pochi mesi dopo, morirà.  Un esercito disarmato che ha camminato sulle acque.
    Una piccola sagoma bianca, così vecchia, così fragile gira instancabile e con mani grandi accarezza lebbrosi e sofferenti. Tutti la chiamano Madre Teresa e si domandano dove trovi la forza. Dalla gioia, è la risposta. Dalla gioia infinita dell’amore.
    Gesù allontana le mani dal volto, commosso dalla potenza delle immagini. Sorride intenerito dalla potenza dei figli dei suoi figli e vede con chiarezza che ora tocca a Lui. 
    È Lui l’amore che avrebbe fatto diventare quelle visioni realtà. Lui con la sua storia, i suoi fatti e le sue parole. Il coraggio di suo padre. Sua madre di acciaio. Gli amici e la tavola divisa con loro. E poi la sua sofferenza, la sua paura, le sue pene, anche quella che lo aveva afflitto un attimo prima.
    È Lui. La sua forza, la sua gioia, la sua vitalità che mai cedono e non rinunciano mai a gridare la felicità e la potenza dell’amore.
    È Lui che cammina sulle acque e soffre nel deserto. È Lui cacciato dalla sinagoga fin sul ciglio del monte. Che carezza i lebbrosi, si intenerisce con l’emorroissa, strappa la prostituta alle pietre.
    Gesù salta in piedi e il suo sguardo sfiora la folla senza più peso.
    Ve lo dirò, pensa. Vi dirò che siamo fatti per amare ed essere felici. È l’unico disegno pensato per gli uomini. L’unica missione. L’unico destino. L’unica vocazione.
    Che il vostro cuore sia trasparente come il cristallo. Colmo di misericordia verso ogni altro cuore. Che le vostre mani si spacchino per costruire ponti, ponti per unire, per comunicare, perché la pace nasca dalla consapevolezza che la diversità è sempre ricchezza.
    E sarà così. Vi dirò che l’ora dell’amore e della felicità sta arrivando. Vi indicherò la via da percorrere. Vi incoraggerò: non abbiate paura! Mettetevi in cammino, si apriranno nuovi orizzonti di bellezza.
    Lui lo sapeva, lo aveva sperimentato su di sé che la malattia, la sofferenza, la paura non soffocano la gioia e anzi ci spingono a trasformare la nostra vita in un capolavoro d’amore.
    Gesù capì che soltanto se lui fosse stato abbastanza folle da dire tutto questo, il mondo avrebbe avuto una possibilità.
    Di lì a qualche millennio, le sue parole sarebbero risuonate, lontane nel tempo, sulle labbra di un giovane uomo di colore, un uomo che aveva un sogno e l’avrebbe gridato da un palco cambiando la faccia del mondo, prima di essere ucciso.
    L’uomo avrebbe detto così. Proprio così: “Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano, speranza sufficiente a renderti felice. Mettiti sempre nei panni degli altri. Le più felici delle persone non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa soltanto traggono il meglio da ogni cosa capiti sul loro cammino. Ci aspettano giornate difficili, ma davvero, per me non ha importanza ora, perché sono stato sulla cima della montagna! E Lui mi ha concesso di salire fino alla vetta. E stasera sono felice, non c’è niente che mi preoccupi, non temo nessun uomo…”.
    Rideva Gesù, con tale gioia che i discepoli se ne stupirono giacché da ore lo vedevano a capo chino, seduto nella polvere.
    Gioiva Gesù e consapevole della potenza che le sue parole avrebbero trasmesso ai secoli e consapevole che soltanto a Lui toccasse rendere possibile tutto quello che aveva appena visto, allargò le braccia e, pazzo di gioia, gridò le sue promesse: “Siate colmi di felicità voi che…”.


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