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    L’allegria di

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    Vivere per gustare le piccole gioie

    Alle nostre orecchie, allegria suona come sinonimo di spensieratezza, buonumore. Quelli della mia generazione la ricordano come la parola d’ordine di un noto conduttore di quiz televisivi, che esordiva proprio così: “Allegria!”.
    Niente di male nel riferirsi ad essa; anzi… Però, non è certo un vocabolo che ci aspetteremmo di trovare tra le pagine delle Scritture. La Bibbia non è letteratura d’intrattenimento o di evasione; la dura realtà della vita umana determina lo scenario dei tanti racconti. All’idea del divertirsi, la Scrittura preferisce quella del convertirsi.
    Eppure, proprio in un quadro di realismo senza sconti e di responsabilità storiche inadempiute, come quello tracciato dal libro di Qoèlet, troviamo l’elogio dell’allegria: Faccio l’elogio dell’allegria perché non c’è per l’uomo altro bene sotto il sole, fuori del mangiare, del bere e del gioire; questo è quello che lo accompagnerà in mezzo al suo lavoro, durante i giorni di vita che Dio gli dà sotto il sole (Qo 8,15).
    Un invito a guardare la vita con ottimismo, per vivere fino in fondo i propri giorni godendo delle piccole gioie quotidiane, gustando il buono ed il bello che, di giorno in giorno, si presenta davanti ai nostri occhi. Lo sguardo ottimista, posato sui giorni finiti consegnati ad ognuno di noi, ci restituisce al presente, ci libera dai rimpianti del passato ma anche dall’attesa nevrotica di un cambiamento futuro e crea le condizioni per accogliere il buono: quello piccolo, spesso invisibile o sottovalutato, quello che non fa rumore e che si presenta alla mensa delle nostre vite come ospite inatteso. Un cambiamento di sguardo sulla vita che, se non è in grado di cambiare la realtà, la riapre al nuovo, all’inedito mettendola nuovamente in moto.

    L’ottimismo divino

    Lo stesso movimento, qui in piccolo, avviene del resto in tutte le Scritture. Nella Bibbia, Dio è presentato come un inguaribile ottimista, Colui che, nonostante le evidenze contrarie, si ostina a credere che lo sguardo umano possa un giorno essere conquistato dalla sua visione, dal suo sogno. Non è, forse, questo il filo rosso che attraversa tutta la Scrittura, il controcanto di Dio al fallimento dell’esperienza umana? Di fronte all’evidenza dei sentieri interrotti, in cui l’umanità precipita, Dio resiste alla resa ostinandosi a riaprire percorsi con il suo ottimismo. Una lotta cosmica sembra instaurarsi tra due visioni del mondo: da una parte, quella cinica, che denuncia l’inadeguatezza umana rispetto al progetto originario; e dall’altra, quella divina che, con ostinata energia, pratica il massaggio cardiaco al cuore infartuato di un’umanità moribonda.
    Non è un ottimismo a buon mercato, che nega le difficoltà. Il Signore sa che non basta la benedizione originaria sul mondo, posta al suo sorgere, per proteggerlo ed impedirgli di precipitare in un mare di guai.

    Un mondo malato

    La Bibbia non tace le difficoltà e ne fa oggetto di narrazione fin dalle prime battute, fino ad arrivare ad amplificare quel pessimismo che troviamo come ritornello martellante nel libro del Qoèlet: tutto è effimero, niente tiene! Anche la realtà più fertile, come quella di un giardino delle delizie, può essere deformata dal sospetto strisciante. Non tengono le relazioni familiari, incrinate dal sospetto e dalla gelosia. Non tengono le relazioni tra fratelli, che facilmente degenerano nell’odio, fino al fratricidio. Non durano gli idoli, costruiti da mano umana, ma nemmeno la parola divina, incisa nella pietra direttamente per mano di Dio (le tavole spezzate). Non tiene nemmeno il progetto della terra promessa. Israele, infatti, scoprirà di riprodurre nel suolo donato le stesse strutture oppressive da cui era fuggito. Insomma, nella Scrittura vengono messe in scena le promesse che, di volta in volta, precipitano, i progetti continuamente abortiti.

    Dio, il grande Ricominciatore

    E Dio è colui che, di fronte a storie fallimentari, a legami che si spezzano, riapre possibilità. Ecco perché la Bibbia è un libro ottimista: narra la storia dei nuovi inizi, delle seconde volte, dell’altra possibilità, del tempo sospeso affinché l’altro si converta e possa cambiare vita. La storia biblica è tenuta aperta da un Dio che non si rassegna a cestinare un progetto che risulta fallimentare.
    L’intera vicenda di Israele, a iniziare dal suo evento fondativo, l’esodo, è una storia sempre a rischio di chiudersi, di estinguersi: non soltanto perché il popolo è schiacciato da un potente tiranno; ma anche perché il faraone il popolo se lo porta dentro di sé, come un demone, un cancro distruttivo che sembra impedire ogni forma di governo buono e giusto. Nonostante ciò, Dio non si rassegna: è il “Ricominciatore”, Colui che si ostina a tenere aperta una storia anche quando questa rischia di chiudersi. Egli è colui che sollecita la ripresa.
    La Bibbia fa del tema della ripresa, dei ricominciamenti, uno dei suoi motivi forti. A cominciare dalla creazione, che è in realtà una ri-creazione: scomparsa la generazione di Adamo ed Eva, siamo figli dei sopravvissuti al diluvio.
    Dio, il grande “Ricominciatore”, ci rivela che la vita, pur nella sua fragilità, può essere aperta, sollevata, rimessa in piedi, quando la sperimentiamo spezzata; fino all’apertura più radicale: la risurrezione. Della vita, ma non solo: è l’intero creato a rinascere! L’epilogo del grande Libro annuncia nuovi cieli e nuova terra: l’immagine di una creazione rinnovata, trasformata. Nel finale, tutto si rimette in moto, in un grande inizio.

    Osare l’ottimismo

    Di fronte ai cocci delle relazioni infrante, della fiducia tradita, la disperazione paralizzante o il titanismo che nega il fallimento non sono l’unica risposta possibile. Nel mondo della Bibbia prende voce un realismo che nulla rimuove e, insieme, una tenacia che porta a ricominciare, nonostante tutto, senza mai nulla lasciare intentato. È la voce di Dio che chiama i suoi alla fiducia e all’ottimismo, a fare cioè un atto di pazzia per ostinarsi a credere nella bontà del progetto originario, a dispetto dei segnali contraddittori. Per essere ottimisti ci vuole coraggio, energia, creatività. Si rischia l’impopolarità, si va incontro ad una mole di lavoro infinito...; ma, forse, è solo recuperando questo sguardo di fiducia nella vita, nell’umanità, che potremo scacciare i demoni di morte che ci impediscono di essere benedizione per il mondo.
    «Essere pessimisti è più saggio: si dimenticano le delusioni e non si viene ridicolizzati davanti a tutti. Perciò presso le persone sagge l’ottimismo è bandito. L’essenza dell’ottimismo non è guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che ogni cosa vada per il verso sbagliato, la forza di sopportare gli insuccessi, un forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per sé.
    Esiste certamente anche un ottimismo stupido, vile, che deve essere bandito. Ma nessuno deve disprezzare l’ottimismo inteso come volontà di futuro, anche quando dovesse condurre cento volte all’errore». (Dietrich Bonhoeffer, «Dieci anni dopo», in Resistenza e Resa, Queriniana, Brescia 2002, p. 38).


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