Sono stato volontario
al Giubileo dei giovani
Antonio Corcione *
Se non è riscattato in alcuno altro modo, se ne andrà libero nell'anno del giubileo
Lv 25,54
16Perciò, ecco, io la sedurrò,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
17Le renderò le sue vigne
e trasformerò la valle di Acor
in porta di speranza.
Là mi risponderà
come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì dal paese d'Egitto.
21Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa
nella giustizia e nel diritto,
nell'amore e nella benevolenza,
22ti farò mia sposa nella fedeltà
e tu conoscerai il Signore.
Os 2, 16-22
C’era un clima denso sin dal pomeriggio, il sole accecante ci avvolgeva col caldo ma non era minaccioso come nei giorni precedenti, e man mano che tutti accorrevano a riempire di sacchi a pelo i settori non mi sembrava ci fossero quella fatica e quel disagio generalizzato che ricordavo alle varie GMG. Qualcuno accoglieva con sospiro il passaggio continuo delle nuvole scherzando sul fatto che Dio avesse steso la sua ombra su di noi per tutto il tempo opportuno, visto che subito dopo l’evento l’aria è tornata a cuocere a gradi indicibili come nei giorni precedenti l’evento stesso.
A sera l’aria era diventata tesa, vibrante di attesa; mi sembrava che il vento stesso sapesse che stavamo per vivere qualcosa di irripetibile, e lo sottolineava, dando eco a parole vecchie di una generazione, rimaste come bloccate nella sua voce, incastrate nella terra umida di quel suolo, che si univano ora finalmente alle nostre. Ed è proprio il vento ad accompagnare i movimenti dell’elicottero bianco sulla pista, mentre tutti curiosi osservavano da ore ormai l’azzurro. Migliaia di volti, lingue e bandiere si sono mescolate in un’unica chiassosa festa al vederlo.
Poi un fremito ha attraversato all’improvviso ogni respiro intorno a me, quando scorgo io stesso la papamobile farsi largo tra noi, la Croce, alta come faro in mezzo alla folla, la tiene in mano un ragazzo, per consegnargliela, anch’egli è un figlio di don Bosco come me. Lo affianchiamo con gli altri nel cammino… mascelle che sorridono, gambe che tremano, cuori che palpitano silenziosi di preghiera e ansia.
Io avevo un compito in questo giubileo dei giovani che, più che un servizio, si è rivelato un dono: il volontario. Che parola intrigante e così bisognosa di maggiori approfondimenti spirituali, mi dico tra me e me.
E così ora sono lì, siamo lì, sulla strada, ogni passo entra dentro alla notte: la attiva, non la trascina.
Il palco mentre s’avvicina ci sorride, acceso da luci e voci che si tendono verso quel momento così preparato e desiderato nel mondo e nell’anno.
Un frate agostiniano di un non più esistente quartiere periferico di Chicago è pastore universale, senza ancora rendersene conto del tutto forse, e Tonio, un giovane salesiano animatore e da poco anche cooperatore, di un remoto borgo medievale in provincia di Siena, è al suo fianco per dirgli che non è solo. È chiamato a rappresentare la giovinezza della Chiesa che sostiene il suo vincolo di unità. Insieme, essi, sono manifesto della giovinezza del Vangelo, il volto vivo e speranzoso della sua imprevedibile energia storica… che riempie il tuo spazio, come quello di Abramo e di Mosè, di Elia e Pietro, di Paolo e Agostino, di don Bosco e Madre Mazzarello e così via fino a te, e prima te ne rendi conto prima la tua vita cambia veramente.
Dal palco non si riusciva più a distinguere il sopra con il sotto, il firmamento sembrava sceso in terra con tutte le sue stelle, che illuminavano la valle, sembrava voler restare sveglio con noi, ammirarci e aiutarci nel fare una tenda in cui incontrare Dio e parlarci, avere conferme, e perché no anche negazioni, chiare. Lì si sono intrecciate domande e risposte, sorrisi e ammiccamenti, canti e preghiere… e alla fine è apparso in mezzo a noi col Suo corpo, risorto, trasfigurato, candido e lucente: l’adorazione eucaristica ha avvolto tutto.
Il frastuono incredibile di prima si è trasformato in un respiro comune, l’apnea di un sol corpo gigantesco, giudicata impossibile dalle tv e dai giornali del mondo, dagli opinionisti della gioventù e dai sociologi. Nessuno li capisce veramente questi ragazzi, per un attimo eterno nemmeno io, lì su quel palco, pietrificato in questa situazione che sapevo sarebbe stata impossibile da raccontare e documentare con fedeltà alla realtà. Ma che importa!
Non ero solo io, non c’eravamo solo io e il Papa: eravamo tutti, c’era la Chiesa, giovane e bella, accanto al suo Signore.
Leone XIV qualche volta si è “per sbaglio” girato verso di noi, mentre fissava adorante il Santissimo, incrociando il nostro sguardo, mettendo i suoi occhi nei nostri, eravamo gli unici giovani che poteva vedere dietro il magnifico ostensorio in cui è intronato Gesù eucaristico, lo stesso ostensorio davanti al quale hanno adorato il Santissimo Sacramento in Torino anche San Giovanni Bosco e Pier Giorgio Frassati in seguito. Non poteva immaginare cosa accadesse alle sue spalle nel silenzio incredibile che anche lui avvertiva, come se nel girarsi non avesse trovato più nessuno. Noi invece vedevamo bene, il volto del Papa nel volto di Gesù, le nazioni in adorazione dietro di loro, come pellegrini in sosta nel deserto, ai piedi della montagna, davanti alla nube in cui Israele riconosce il Signore nell’antico testamento, e sopra di loro, alta e raggiante, la luna piena, come riflesso celeste dell’Ostia posta a due passi da noi.
Il silenzio diventa una melodia, il possente coro sembra un assaggio di quel che udremo forse dagli angeli quando si apriranno i cieli per sempre.
In quei momenti ho capito che la vera forza di un evento generativo così non è solo nella sua portata storica ed aggregativa, ma nella semplicità essenziale dell’incontro unitivo spirituale: tra generazioni, culture, un pastore e il suo popolo, Dio e ciascuna anima presente, nello stesso tempo e spazio. Tor Vergata non è stato spettacolo, ma la convocazione del popolo santo per noi oggi in questa epoca non dimenticata dall’Altissimo, quel radunarci divino che non potevamo solo continuare a leggere nella storia, pur sacra ed eterna, ma di altri, dovevamo viverlo, ciascuno infatti deve sperimentare fisicamente, intellettualmente nella propria esistenza almeno una volta questo entrare della Storia nella propria storia. Tor Vergata è stata una veglia, sì, ma le veglie iniziano col tramonto di qualcosa e servono soprattutto per aspettare un’alba: quella di un cammino che continua, che vede morire il nostro peccato, con esso colpa e pena, e sorgere nuovi figli, anzi figli nuovi, una nuova generazione di cristiani, una nuova era ecclesiale, di rinnovamento.
Il grande abbraccio delle parole del Papa è stato ripetuto da Dio con quella gentile e breve pioggia notturna. Ci ha abbracciato il Santo Padre dicendoci di essere come fiori in un prato, e Dio lo ha evidenziato mandandoci la sua irrigazione simbolica dall’alto, svegliandoci appena addormentati, facendoci spaventare un poco e sorridere tanto per l’imbarazzo, per vigilare ancora, per non perdersi le prime luci del mattino, il sabato senza tramonto, in cui celebrare il banchetto celeste insieme a tutti i popoli della terra, con una schiera di vesti bianche, un popolo sacerdotale intorno al trono dell’Agnello.
«Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno.
Allora vedrete crescere ogni giorno, in voi e attorno a voi, la luce del Vangelo.
Vi affido a Maria, la Vergine della speranza. Con il suo aiuto, tornando nei prossimi giorni ai vostri Paesi, in tutte le parti del mondo, continuate a camminare con gioia sulle orme del Salvatore, e contagiate chiunque incontrate col vostro entusiasmo e con la testimonianza della vostra fede! Buon cammino!»
(Leone XIV, Omelia Tor Vergata, 3 agosto 2025)
* 27 anni, di Colle di Val D’Elsa, Siena. Salesiano cooperatore e docente di IRC a Roma.