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    Giovani, osate i sogni

    Luciano Manicardi


    I giovani di oggi sono molto diversi da quelli di ieri, perché repentino è stato il cambiamento sociale degli ultimi decenni. Agli adulti spetta la responsabilità di non sottrarre loro la dimensione della generatività, senza la quale non c’è futuro.

    Mentre parlava dei giovani come coloro che «in se stessi rappresentano la speranza», papa Francesco puntava il dito sulla responsabilità degli adulti nei loro confronti: «Non possiamo deluderli… prendiamoci cura delle giovani generazioni» (Spes non confundit, 12). La speranza dei giovani è anche responsabilità degli adulti. E ciò di cui gli adulti devono anzitutto prendere coscienza, e che devono conoscere, è quella che Michel Serres, parlando appunto dei giovani, ha chiamato la «nascita di un nuovo umano».
    Quelli di oggi sono giovani che, rispetto ai loro padri, hanno diversa attesa di vita, diversa famiglia, diversa sofferenza, diversa formazione – ormai monopolio dei media –, diverso spazio in cui vivere grazie alla «onniconnettività», diverso linguaggio, diverso modo di pensare e relazionarsi alla realtà, diversa temporalità, diverso rapporto con il lavoro, diversi legami dovuti alla precarizzazione delle appartenenze (nazionali, politiche, religiose, di genere). Prima responsabilità degli adulti è ascoltare, conoscere, comprendere.
    Solo ora cominciamo ad avere una certa conoscenza degli effetti che la familiarità quotidiana – praticamente fin dalla culla – con gli smartphone, può avere sui bambini e sugli adolescenti. Jonathan Haidt, studiando la generazione Z (i nati dopo il 1995), ha notato la crescita di fenomeni di ansia, angoscia, depressione, comportamenti autolesionistici, suicidi. Crescere avvolti nel cosiddetto mondo virtuale non aiuta certo ad affrontare il mondo reale e influenza pesantemente lo sviluppo sociale e neurologico dei bambini. Nel suo libro La generazione ansiosa, dopo aver notato che da un’infanzia fondata sul gioco si è passati a un’infanzia fondata sul telefono, l’autore sostiene che l’iperprotezione nel mondo reale e la scarsa protezione nel mondo virtuale sono alla base dell’«ansietà» di questa generazione.
    Ma, soprattutto, agli adulti spetta di dare fiducia e fare spazio al giovane, non di istituire paragoni e giudicare. Solo dando fiducia si crea speranza. Responsabilità sociale e culturale, oggi, è recuperare la dimensione della generatività senza la quale i giovani vengono derubati del futuro: se il mondo del lavoro, l’economia, la politica si appiattiscono sul presente, investendo e puntando su obiettivi solo di breve e brevissimo termine, le giovani generazioni ne pagano le conseguenze. Senza fiducia nel futuro viene tolta speranza ai giovani. Il deficit di generatività è connesso alla scomparsa dell’iniziazione nelle società occidentali. Le iniziazioni sono ritualizzazioni dei passaggi dell’esistenza umana che insegnano all’iniziato il prezzo del vivere, inculcando l’antico principio del «muori e divieni».
    Purtroppo, ormai in Occidente mancano (o sono in grave crisi) istituzioni deputate ad accompagnare la crescita umana del giovane. Vi è necessità di una educazione emotiva che dia strumenti al giovane per riconoscere, nominare e governare le proprie emozioni. Altrimenti succederà sempre più spesso che emozioni non riconosciute di rabbia vengano disregolate in aggressività, portando a violenze; o che emozioni non riconosciute di tristezza vengano disregolate in depressione. Così come sarebbe fondamentale una formazione al pensare, alla solitudine, al silenzio, al lavoro di conoscenza di sé, alla coltivazione dell’interiorità.
    E che cosa spetta al giovane? È fondamentale per un giovane imparare a guardarsi dal demone della facilità. Egli incontra oggi un’abbondante offerta di beni di comfort (enormemente accresciuta grazie al digitale) che danno gratificazione immediata, ma poi producono assuefazione, dipendenza e, alla lunga, noia, non gioia. Inoltre, abituano a una temporalità del tutto e subito, contraria al lavoro paziente, fatto anche di attese, correzioni e revisioni cammin facendo, tipiche di quel work in progress che è la costruzione di relazioni profonde. Relazioni in cui consistono tanto il senso quanto la felicità di una vita.
    Ha scritto frère Roger di Taizé: «Solo l’umile dono della propria persona ci rende felici». I cosiddetti beni di stimolo richiedono fatica, sforzo, impegno e risultano meno appetibili, ma solo assumendo la dimensione della fatica e dello sforzo si può costruire un sé robusto e relazioni serie. I beni di stimolo sono beni culturali, relazionali, afferenti l’ambito sociale (per esempio, il volontariato), la pratica sportiva, l’ambito spirituale. Ma per impegnare fatica e sforzo il giovane deve nutrire una passione, perché solo questa gli permette di raccogliere le proprie energie e porle a servizio del perseguimento del proprio scopo. Un consiglio ai giovani? Coltivate creatività e immaginazione. E abbiate coraggio: osate voi stessi e il vostro desiderio.

    Messaggero di Sant'Antonio - 9 Agosto 2025


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