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    Giubileo. I giovani di Roma

    hanno sete di un nuovo inizio

    Alessandra Smerilli


    Vediamo ragazzi col cuore aperto a proposte alternative che rispondano ai desideri più profondi. Non sono ideologizzati, sognano meno, ma hanno le idee chiare sul mondo. E vanno in cerca di senso.

    Indicando Gesù come centro del mondo la Chiesa suggerisce ai ragazzi nuovi pensieri, pratiche di condivisione, prospettive coraggiose Così si mette in ascolto e si lascia sfidare da chi arriva per infinite strade con tante domande. E una identica ricerca di significato Avviene in ogni comunità cristiana. Anche per la Chiesa universale quando i giovani vengono in primo piano tutti prestano attenzione. Non significa che tutti fanno loro spazio, ma su di essi si riversano le più disparate aspettative. Si tratta della vita che pulsa, di ciò che abbiamo saputo generare, ma anche di quello che chi viene dopo di noi farà di quanto siamo stati. Così, una fede che vive di trasmissione – da persona a persona, da una generazione all’altra – gioisce e si interroga quando a celebrarla sono i giovani.
    Li si guarda con un po’ di ammirazione, a volte una punta di invidia, o con scetticismo, ma di certo non si può restare indifferenti di fronte all’onda variegata e gioiosa che invade la città di Roma. È significativo che anche papa Leone abbia deciso di salutarli al termine della Messa in piazza San Pietro, sebbene non fosse previsto: i giovani e il loro entusiasmo sono contagiosi. Il Giubileo è per sua natura un grande invito a ripensare, a ridistribuire, a ricominciare. Venendo a Roma, centinaia di migliaia di ragazze e di ragazzi da tutto il mondo stanno percorrendo vie e compiono gesti ricchi di storia. È naturale, ad esempio, pensare ai loro genitori – forse – che nel 2000 convergevano allo stesso modo per l’Anno Santo. E ci si potrebbe spingere con l’immaginazione indietro nel tempo, sulle grandi vie di pellegrinaggio, che negli ultimi decenni migliaia di persone hanno riscoperto, mettendosi in cammino alla ricerca di un nuovo inizio.
    Più degli adulti, per quanto possiamo intuire, i giovani hanno sete di un nuovo inizio. Rispetto al passato non sono ideologizzati e all’apparenza sognano meno, ma hanno in genere un giudizio lucido sulla direzione che il mondo ha preso. Come chiede il Vangelo, credono occorra un’inversione a U – la si può chiamare in molti modi, ad esempio “conversione” – e sono disposti a fare qualcosa, a mettersi in gioco. Sono nell’età in cui si intraprendono passi concreti in direzione del futuro, ma al tempo stesso hanno il cuore ancora aperto alle possibili alternative, in cerca di ciò che risponda ai loro desideri più profondi, che dia senso e significato a una vita a servizio degli altri e della nostra casa comune. La Chiesa abbraccia una generazione concreta, col cuore universale, una sensibilità ecologica senza precedenti, la naturale disposizione alla fraternità e alla cooperazione.
    Abbraccia giovani spremuti da modelli di sviluppo spregiudicati, cui sono pronti a opporre non solo resistenza ma alternative che includono e riavvicinano. E una Chiesa sinodale, che li accoglie a Roma, sa mettersi in ascolto e si lascia sfidare dai giovani che arrivano con tante domande e con le loro proposte.
    Ripensare la crescita, perché sia equa e integrale. Ridistribuire opportunità, risorse economiche e naturali, accesso all’educazione e al lavoro. Ricominciare dal cuore, da quella sete di senso che accomuna latitudini e culture, generando vie molteplici non solo al Mistero, ma anche alla giustizia. Indicando Gesù come centro del mondo, la Chiesa suggerisce ai giovani nuovi pensieri, pratiche di condivisione, audaci prospettive. Roma è crocevia di dialogo nel nome di Gesù, il nome in cui ogni muro è stato abbattuto e la fraternità è consacrata per sempre. Molti giovani, non solo cattolici, hanno raggiunto o guardato a Roma negli ultimi mesi. La testimonianza di papa Francesco – la sua vita e la sua morte così radicalmente giubilari – ha commosso e interrogato. A Pasqua il tempo si è fermato per un istante, e ha cambiato ritmo. Si è accesa come una luce nel buio delle innumerevoli crisi che fanno di questa una generazione apocalittica.
    Nel Nuovo Testamento, Apocalisse è però rivelazione. I giovani che hanno alzato gli occhi verso il camino della Sistina, in attesa della fumata bianca, hanno ancora in sé il presentimento che vicino al Papa possa iniziare qualcosa che il mondo attende. Aspettano qualcuno che li aiuti a lasciare le reti e a mettersi in cammino per seguire il Maestro. Ci sono fallimenti collettivi da cui rialzarci. Bisogna non disperdere, adesso, la speranza che i mesi scorsi hanno fatto balenare. Non è speranza in un uomo. È speranza nel Dio che si rivela e che ci libera dal male. Certo, nel suo lavoro vuole coinvolgere anche noi. Ai giovani dobbiamo questo tipo di fiducia, questo tipo di speranza.

    Avvenire - 2 agosto 2025


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